Valori e diritti nei conflitti della politica
Dietro ai conflitti della politica un paese diviso dai grandi dilemmi della
bioetica
Dalla legge sull´aborto alle questioni legate alla vita nelle sue diverse forme
Ecco la storia di due concetti che hanno segnato la civiltà occidentale
Non si parla mai tanto di valori, quanto nei tempi di cinismo. Questo, a mio
parere, è uno di quelli. Le discussioni e i conflitti sulle questioni che si
dicono "eticamente sensibili" (come se le questioni, non gli esseri umani,
fossero sensibili) sono un´ostentazione di valori. Tanto più perentoriamente li
si mette in campo, tanto più ci si sente moralmente a posto. Che cosa sono i
valori? Li si confronti con i principi. Principi e valori si usano, per lo più,
indifferentemente, mentre sono cose profondamente diverse. Possono riguardare
gli stessi beni: la pace, la vita, la salute, la sicurezza, la libertà, il
benessere, eccetera, ma cambia il modo di porsi di fronte a questi beni.
Mettendoli a confronto, possiamo cercare di comprendere i rispettivi concetti e,
da questo confronto, possiamo renderci conto che essi corrispondono a due
atteggiamenti morali diversi, addirittura, sotto certi aspetti, opposti.
Il valore, nella sfera morale, è qualcosa che deve valere, cioè un bene finale
che chiede di essere realizzato attraverso attività a ciò orientate. E un fine,
che contiene l´autorizzazione a qualunque azione, in quanto funzionale al suo
raggiungimento. In breve, vale il motto: il fine giustifica i mezzi. Tra
l´inizio e la conclusione dell´agire "per valori" può esserci di tutto, perché
il valore copre di sé, legittimandola, qualsiasi azione che sia motivata dal
fine di farlo valere. Il più nobile dei valori può giustificare la più ignobile
delle azioni: la pace può giustificare la guerra; la libertà, gli stermini di
massa; la vita, la morte, eccetera. Perciò, chi molto sbandiera i valori, spesso
è un imbroglione. La massima dell´etica dei valori, infatti, è: agisci come ti
pare, in vista del valore che affermi. Che poi il fine sia raggiunto, e quale
prezzo, è un´altra questione e, comunque, la si potrà esaminare solo a cose
fatte.
Se, ad esempio, una guerra preventiva promuove pace, e non alimenta altra
guerra, lo si potrà stabilire solo ex post. I valori, infine sono "tirannici",
cioè contengono una propensione totalitaria che annulla ogni ragione contraria.
Anzi, i valori stessi si combattono reciprocamente, fino a che uno e uno solo
prevale su tutti gli altri. In caso di concorrenza tra più valori, uno di essi
dovrà sconfiggere gli altri poiché ogni valore, dovendo valere, non ammetterà di
essere limitato o condizionato da altri. Le limitazioni e i condizionamenti sono
un almeno parziale tradimento del valore limitato o condizionato. Per questo, si
è parlato di "tirannia dei valori" e, ancora per questo, chi integralmente si
ispira all´etica del valore è spesso un intollerante, un dogmatico.
Il principio, invece, è qualcosa che deve principiare, cioè un bene iniziale che
chiede di realizzarsi attraverso attività che prendono da esso avvio e si
sviluppano di conseguenza. Il principio, a differenza del valore che autorizza
ogni cosa, è normativo rispetto all´azione. La massima dell´etica dei principi
è: agisci in ogni situazione particolare in modo che nella tua azione si trovi
il riflesso del principio. Per usare un´immagine: il principio è come un blocco
di ghiaccio che, a contatto con le circostanze della vita, si spezza in molti
frammenti, in ciascuno dei quali si trova la stessa sostanza del blocco
originario. Tra il principio e l´azione c´è un vincolo di coerenza (non di
efficacia, come nel valore) che rende la seconda prevedibile. Infine, i principi
non contengono una necessaria propensione totalitaria perché, quando occorre,
quando cioè una stessa questione ne coinvolge più d´uno, essi possono combinarsi
in maniera tale che ci sia un posto per tutti. I principi, si dice, possono
bilanciarsi. Chi agisce "per principi" si trova nella condizione di colui che è
sospinto da forze morali che gli stanno alle spalle e queste forze, spesso, sono
più d´una. Ciascuno di noi aderisce, in quanto principi, alla libertà ma anche
alla giustizia, alla democrazia ma anche all´autorità, alla clemenza e alla
pietà ma anche alla fermezza nei confronti dei delinquenti: principi in sé
opposti, ma che si prestano a combinazioni e devono combinarsi. Chi si ispira
all´etica dei principi sa di dover essere tollerante e aperto alla ricerca non
della giustizia assoluta, ma della giustizia possibile, quella giustizia che
spesso è solo la minimizzazione delle ingiustizie.
Passando ora da queste premesse in generale alle loro conseguenze circa il modo
di legiferare sulle questioni "eticamente sensibili" di cui si diceva all´inizio,
avvicinandoci così alle discussioni odierne sul tema dell´aborto, qui prese a
esempio (ma ci si potrebbe riferire anche ad altro, come l´eutanasia, la
fecondazione assistita, ecc.), si può stabilire un´altra differenza a seconda
che si adotti l´etica dei valori o quella dei principi. Nel primo caso (il caso
del valore), saranno appaganti le norme giuridiche che proteggono in assoluto il
bene assunto come valore prevalente, e inappaganti le norme giuridiche che danno
rilievo, cercando di conciliarli relativizzandoli l´uno rispetto all´altro, a
beni diversi. Possiamo parlare, per gli uni, di assolutismo etico-giuridico; per
i secondi, di pluralismo (non certo, evidentemente, di relativismo etico,
equivalente a indifferenza morale).
Nell´assolutismo, si trovano a casa propria tanto coloro che parlano dell´aborto,
né più né meno, come di un assassinio (oggi si dice "feticidio"), quanto coloro
che ne parlano come diritto incondizionato. Assassinio e diritto sono due modi
per dire il riconoscimento assoluto, come valori, della vita o della libertà. I
primi, in nome del valore prevalente della vita del concepito, si disinteressano
di tutto il resto: la salute e la vita stessa della donna, messa in pericolo
dagli aborti illegali e clandestini; i secondi, in nome dell´autodeterminazione
della donna come valore prevalente, si disinteressano della sorte del concepito.
Costoro, pur su fronti avversi, si muovono sullo stesso terreno e possono farsi
la guerra. Ma, tutti, si troveranno insieme, alleati contro coloro che,
ragionando diversamente, non accettano il loro assolutismo.
Questo ragionar diversamente, cioè ragionar per principi, è certo assai più
difficile, ma è ciò che la Costituzione impone di fare: la Costituzione, ciò che
ci siamo dati nel momento in cui eravamo sobri, a valere per i momenti in cui
siamo sbronzi. Orbene, la Costituzione, attraverso l´interpretazione della Corte
costituzionale, dice che nella questione dell´aborto ci sono due aspetti
rilevanti, due esigenze di tutela, due principi: l´uno, a favore del concepito
la cui situazione giuridica è da collocarsi, "con le particolari caratteristiche
sue proprie", tra i diritti inviolabili della persona umana, il diritto alla
vita; l´altro, a favore dei diritti alla vita e alla salute, fisica e psichica,
della madre, che può essere anch´essa "soggetto debole". Quando entrambe le
posizioni siano in pericolo, occorre operare in modo di salvaguardare sia la
vita e la salute della madre, sia la vita del concepito, quando ciò sia
possibile. Quando non è possibile, cioè quando i due diritti entrano in
collisione, deve prevalere la salvaguardia della vita e della salute della
donna, "che è già persona", rispetto al diritto alla vita del concepito, "che
persona non è ancora". Dunque: si parla di diritti della donna e del concepito,
ma non si parla mai di aborto come (dicono i giuristi) "diritto potestativo"
della donna, né, al contrario, di dovere di condurre a termine la gravidanza. Ci
si deve districare tra le difficoltà e non ci sono soluzioni a un solo lato.
Non interessa, ora, se la legge 194 bene abbia svolto il suo compito. Interessa
il modo di ragionare e di porsi di fronte a questo "problema grave", un modo non
intollerante, carico di tutte le possibili preoccupazioni morali, aperto alla
considerazione di tutti i principi coinvolti. Se nel dibattito pubblico, si
usano quelli che si sono detti "esangui fantasmi in lotta per diventare i
tiranni unici delle coscienze", cioè i valori, la legge che ne verrà sarà solo
sopraffazione.
C´è poi un altro aspetto della distinzione valore-principi, importante per il
legislatore. Il ragionare per valori è compatibile, anzi esige leggi tassative:
tutto o niente, bianco o nero, lecito o illecito, vietato o permesso. Il
ragionar per principi spesso induce la legge a fermarsi prima, rinunciare alle
regole generali e astratte e a rimettere la decisione ultima alla decisione
responsabile di chi opera nel caso concreto. Prendiamo la discussione odierna
circa la sorte degli "immaturi", i nati diverse settimane prima del tempo,
portatori di deficienze nello sviluppo di organi e funzioni destinate a pesare
più o meno pesantemente sull´esistenza futura, sempre che ci sia. C´è un
qualunque legislatore che possa ragionevolmente imporre una regola assoluta
circa il che fare? Per esempio, la rianimazione sempre e a ogni costo, senza
considerare nient´altro? Solo la cieca assunzione della vita come valore
assoluto, della vita come mera materia vivente, potrebbe giustificarla. Ma
sarebbe, in molti casi, un arbitrio. Ogni caso è diverso dall´altro e i rigidi
automatismi legali, quando si tratta di principi da far valere in situazioni
morali di conflitto, si trasformano in sopraffazione.
C´è un dialogo classico tra Alcibiade e Pericle, riferito da Senofonte, che ci
fa pensare. Il discepolo chiede al maestro, semplicemente: che cosa è la legge?
Pericle risponde: ciò che l´assemblea ha deciso e messo per iscritto. Anche la
sopraffazione, decisa e messa per iscritto? No, questa non sarebbe legge. È
legge solo quella che riesce a "persuadere" tutti quanti, il resto è solo
violenza in forma legale. Chi professa valori assoluti non si propone di
persuadere ma di imporre. Chi ragiona per principi può sperare, districandosi
nella difficoltà delle situazioni complicate, di essere persuasivo; naturalmente
a condizione che si sia ragionevoli, non fanatici.
Gustavo Zagrebelsky Repubblica 22.2.08