Urne cattoliche
Non passa giorno senza
che la gerarchia cattolica rinnovi la sua offensiva. Non si sa bene, poi, contro
chi si rivolgano i reiterati attacchi, se è vero che, al di là dei pochi
contestatori del cardinale Ruini, dalla destra alla sinistra non si sente altro
che professioni di fede e di devozione. Professioni più o meno sincere o
imbarazzate, comunque espressioni di una battaglia a senso unico. I termini del
confronto sono ormai chiari, come ha ripetuto anche ieri la Conferenza
Episcopale. Soprattutto il matrimonio, con tutto quello che il matrimonio
coinvolge e comporta, dalla sessualità (condanna della pillola) alla famiglia.
La gerarchia cattolica continua a ripetere la correttezza dei suoi interventi,
sulla base di almeno due presupposti fondamentali, che sarebbero indiscutibili.
Il primo: l'unica forma di famiglia è quella che la dottrina cattolica sostiene
e che è valida per tutti. La sancisce e la insegna un diritto «naturale» che la
chiesa cattolica ha il compito di mantenere e insegnare, anche se non tutti -
non ancora! - lo accettano. Da ciò il secondo presupposto: a questo unico
matrimonio valido anche gli stati si devono adeguare.
A questa posizione che cosa rispondono i «laici» (ermine
da adoperarsi con molte virgolette)? I «laici» che non vogliono essere
considerati «laicisti» costituiscono ormai una popolazione piuttosto ridotta,
anche se sempre molto preziosa. La risposta è ben nota: la gerarchia ha il pieno
diritto di diffondere il suo insegnamento, di dire, cioè, la sua dottrina ai
suoi fedeli. Ma non può pretendere di imporla anche al di là del suo recinto,
tanto meno pretendere che a essa si adeguino gli stati, anche se a maggioranza
cattolici.
Posizioni, dunque, piuttosto chiare che, però, non
impediscono un dibattito anche aspro. Come mai? Non è difficile rispondere,
ricordando che a queste posizioni dottrinali - religiose, etiche - si uniscono
posizioni politiche, con collegamenti che entrano a vele spiegate nel mondo del
potere. Un mondo nel quale non è in gioco tanto la verità quanto il successo
elettorale.
Non è un caso, infatti, se le pretese a dir poco
discutibili della gerarchia sono apprezzate quasi senza eccezioni dal centro
destra: uno schieramento a favore si pensa che significhi un maggior successo
elettorale. Anche a prescindere dalla verità e dai comportamenti di ciascuno.
Di altro segno l'atteggiamento delle forze di
centrosinistra. Qui l'imbarazzo è grave. Da una parte si riconosce l'equivoco
sul quale gioca la gerarchia cattolica, ma, dall'altra, si teme lo scontro: si è
ancora convinti che un contrasto sui temi religiosi ed etici comporterebbe una
diminuzione di voti.
Un imbarazzo che la sinistra si trascina da tempo,
nonostante le strepitose vittorie sui referendum del divorzio e dell'aborto.
Forse la recente sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita ha
rafforzato quegli antichi timori. Né ci si rende conto del fatto che ormai, da
anni, il cattolicesimo italiano non rappresenta una realtà compatta e univoca,
tutt'altro. La sinistra dovrebbe conoscerne meglio la complessità e anche le
contraddizioni.
Chissà che le attuali pretese della gerarchia non
siano da leggersi proprio come un tentativo di ricompattamento, come
l'affermazione di una presenza visibile e importante? Come una reazione a quel
silenzio a cui la gerarchia cattolica era stata costretta dalla fine della
Democrazia cristiana.
Filippo Gentiloni
I DUE PAPI
Ratzinger e Ruini all'assalto della politica
Ci
sono due papi. Entrambi sono affascinati dal potere temporale ed entrambi
sembrano disposti a chiudere, in una doppia tenaglia, gli esiti della scena
politica italiana e della storia della Chiesa. Giocano su due fronti diversi ma
il loro obiettivo appare comune: prendere possesso del patrio panorama politico
e riportare l'ordine nella diaspora cattolica.
Uno, il cardinal Ruini - presidente della Conferenza
episcopale italiana - gioca ormai con disinvoltura il suo ruolo di politico
esperto, difende il matrimonio sacramentato da Santa Romana Chiesa e attacca i
Pacs, si piazza al centro della politica italiana intervenendo su pillola
abortiva, intercettazioni telefoniche e Bankitalia. Celia quando lo si attacca
per le sue eccessive ingerenze e sempre risponde con un gesuitico sorriso. Si è
fatto soggetto politico, Camillo Ruini, sempre e comunque pronto a interloquire
con un centrosinistra sbandato che da Fassino a D'Alema predica, insieme,
professioni di fede e attestati di laicità. E con un centrodestra che al
presidente della Cei riconosce quel ruolo che già fu di Giulio Andreotti: il
mediatore per eccellenza.
L'altro è il vero papa, l'ex cardinale Joseph
Ratzinger ora diventato Benedetto XVI, il «prefetto» della fede. L'uomo che
viaggia nei cieli della teologia e che in soli due mesi riesce a incontrare
tutti i transfughi possibili del cattolicesimo. Il 29 agosto, il vescovo
lefebvriano Barnard Fellay e sabato scorso il teologo liberal Hans Küng che
dalla cena col papa è uscito entusiasta: «E' stata una gioia reciproca vederci
dopo tanti anni». Nel mezzo un incontro - sinora taciuto dai media e dai diretti
interessati - con Oriana Fallaci. E non è detto che nei prossimi giorni, il
successsore di Giovanni Paolo II non decida di incontrare anche i rappresantanti
del movimento «Noi siamo Chiesa» o, ancora, il vescovo francese Jacques Gaillot
privato - nel 1995 - della sua diocesi per aver, appunto, sostenuto posizioni
simili a quelle di Küng.
L'idea è che Ratzinger e Ruini stiano procedendo
nella medesima direzione. Razzolando - l'uno - i voti e i consensi politici
possibili e raccattando, l'altro, quelle particelle impazzite della chiesa delle
quali, pure, la Chiesa - con la maiuscola - ha bisogno. E' come un gioco delle
parti: Ruini lavora ai fianchi i partiti dell'Unione e della maggioranza da
tutti cercando di prendere un po'. Benedetto massaggia gerarchie e dissensi e si
apre ad un ascolto che nessuno può ancora giudicare sincero. Ma il duetto
funziona: Ratzinger e Ruini sono una vera una coppia di fatto.
IAIA VANTAGGIATO
I due articoli da il manifesto 28/9/05