Uomini che amano le donne
Ha perfettamente ragione Stefano Rodotà a chiedere (su Repubblica di ieri) che
il nuovo corso politico auspicato dal presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano (sul Corsera di domenica) non cominci «all'insegna di una omissione»,
ovverossia archiviando scandali e rivelazioni che hanno travolto la figura,
immagine e sostanza, del presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Ha ragione,
e con lui hanno ragione vari esponenti dell'opposizione, a chiedere che il
premier riferisca in parlamento, che venga restituito onore alla responsabilità
politica, che quello che è accaduto non venga rinchiuso in una «parentesi
moralistica», che si ristabilisca il valore dirimente della verità nella sfera
pubblica. Sono princìpi basilari della democrazia liberale, mica di chissà quale
rivoluzione, che dovrebbero essere dati per assodati e ampiamente condivisi, e
che scopriamo invece essere negletti e calpestati non solo dal premier ma da chi
lo sostiene con i voti e con gli argomenti; princìpi, dunque, per i quali non
bisogna smettere di lottare.
Tuttavia, man mano che passano le settimane, cresce la sensazione che la
difficoltà o il pudore di parlare del merito della questione, oltre che dei
principi liberaldemocratici violati, indebolisca altro che rafforzare le armi
dell'attacco a Berlusconi. Difficoltà e pudore si possono capire ovviamente,
perché quando c'è di mezzo la sessualità sono forti sia la tendenza a confinare
il discorso della sfera privata - e abbiamo visto quanto questa tendenza sia
stata prevalente nell'opposizione - sia la tendenza ad astenersi dal giudizio
per non essere tacciati di moralismo; per non dire di una incoffessata e
incoffessabile complicità maschile pronta a scattare trasversalmente e
inconsciamente. E però, finché l'opposizione - politica e intellettuale -
non troverà le parole per dire qual è l'elemento insopportabile della
berlusconeide degli ultimi due mesi, non troverà di conseguenza nemmeno
l'elemento irrinunciabile della propria battaglia. E l'elemento
insopportabile non è né l'esuberanza o l'edonismo del premier, né i suoi gusti o
le sue preferenze sessuali, né la quantità di amanti che gli piace esibire.
E' l'uso sistematico di un sistema di scambio sesso-danaro-potere, quale
risultava fin da subito dalle parole di sua moglie e quale è stato confermato
dalle inchieste giornalistiche. Un uso sistematico che prima che
inquinare la vita istituzionale, denota un indecente disprezzo delle donne,
camuffato da seduzione e galanteria. E segnala dunque una questione di civiltà,
di fronte alla quale la politica non può tacere e non deve fare un passo
indietro ma due avanti.
Sembrerebbe lapalissiano ma non lo è affatto, infatti questo argomento compare
poco, troppo poco nel dibattito sulla moralità pubblica del premier, sull'onore
delle istituzioni, sulla trasparenza della democrazia eccetera. E non può
trattarsi di una omissione casuale. Senza fare paragoni incongrui, la
controprova sta nel caso dello stupratore seriale che si è abbattuto nel
dibattito precongressuale del Pd. Ignazio Marino l'ha trattato, impropriamente,
come indice di una «questione morale» che riguarderebbe la selezione dei
dirigenti del partito. Altri hanno avuto buon gioco nel rispondergli che
strumentalizzava un caso doloroso a fini di lotta congressuale, tacendo sul
merito. Altri ancora - esempio, Marco Follini nella conversazione domenicale con
Marco Pannella trasmessa da Radio radicale - hanno fatto di peggio, equiparando
come spesso capita questione morale e giustizialismo e archiviando la faccenda
onde non apparire giustizialisti. Ora, fatta salva la presunzione di innocenza
pur di fronte ai pesanti indizi di colpevolezza del caso, è evidente che il
dibattito è completamente fuori fuoco. Lo stupro non è una questione
morale, e prima di essere una questione penale è - di nuovo - un problema di
civiltà, che riguarda la sessualità maschile, purtroppo non solo nelle sue
espressioni perverse. E nel caso in questione, stando pur solo ai
precedenti di Luca Bianchini, ai suoi dvd e ai suoi minuziosi diari, siamo di
fronte - di nuovo - a una sessualità compulsiva, a una concezione
quantitativa e accumulativa dei rapporti con le donne («Avere tanti
rapporti con donne grandi e stare tranquillo senza impulsi» è quello che
Bianchini si propone), a una bizzarra associazione fra «fare» sesso e
«fare» politica, come fossero due carriere parallele e reciproche. Può
darsi che il Pd non abbia e non voglia avere gli strumenti di valutazione e
filtro dei vecchi partiti sui suoi quadri, e che non possa e non voglia indagare
sulla loro fedina penale. Ma da qui a non avere nulla da dichiarare ce ne corre.
E a proposito delle assurdità del suo statuto, provate a leggervi con questo
silenzio nelle orecchie l'articolo 3.
Ida Dominijanni Il manifesto 14 7 2009