Una tragica
assunzione di responsabilità
Prendiamo esplicita distanza dal linguaggio violento e aggressivo con cui è
stata attaccata la conferma
della sentenza della Cassazione (peraltro esauriente e ben calibrata, vedi il
box), con le successive
vicende di ammissibilità o meno dei ricorsi, dato che su temi tanto delicati
occorrerebbero
toni rispettosi e misericordiosi. Anche da parte dei vertici ecclesiastici
romani sono stati proclamati
veri e propri diktat, apodittiche e assolutistiche dichiarazioni di principio
(che sono altra cosa dai
grandi e fondamentali principi ispiratori della bioetica). Con le tecniche
moderne di rianimazione
non esiste una (naturale) obbligata prosecuzione inerziale, per cui bisogna
comunque decidere, vuoi
in un senso vuoi nell'altro, in un processo di assunzione di responsabilità.
La stessa nota dei vescovi nella fattispecie potrebbe suonare: «Eluana è e sarà
amata da Dio, con la
riserva escatologica che la sua vita non andrà perduta». Il che di per sé, in
prima istanza e a prima
vista, non sembra deporre né pro né contro la sospensione dei trattamenti
medici. Il vangelo chiama
alla responsabilità etica, senza contenere direttive preconfezionate per es.
relative alla morte
corticale (cioè della corteccia cerebrale, con perdita irreversibile di
coscienza, conoscenza, relazione,
esperienza e sentimento).
Invece i nostri vescovi, anziché annunciare il vangelo, preferiscono
disquisire e dissertare di filosofia
della medicina, definendo una «menzogna» il fatto che alimentazione, idratazione
e
ventilazione sarebbero terapie o cure: a loro parere quindi
l'alimentazione-idratazione non può
essere sospesa, come invece è ammissibile fare per le cure terapiche.
Quand'anche fosse, non ci
sono dubbi (confermato dall'amico e abbonato al foglio dott. Furio Bouquet,
ex-primario di neuropsichiatria
infantile nonché ex-direttore sanitario e membro del comitato di bioetica
dell'ospedale
Burlo G. di Trieste) che l'alimentazione parenterale è un atto medico, che
quindi rientra
perfettamente nei trattamenti che si possono sospendere secondo la sentenza
della Cassazione (sul
piano del diritto) e secondo una bioetica non ideologizzata (sul piano morale).
Disinformazione tendenziosa
Più in generale, nel panorama pubblico italiano, ci sconcerta l'imprecisione
linguistica e la tendenziosità
male informata: è scorretto parlare di «omicidio» e di «condanna a morte», come
pure
tirare in ballo l'eutanasia, che non c'entra perché si tratta di sospendere i
trattamenti medici. Si tocca
altresì la corda emotiva del «morire di fame», che insinua o dice chiaramente
che ciò
comporterebbe delle atroci sofferenze. Ma è assolutamente falso: già risulta
sufficientemente chiaro
che senza alimentazione ci si spegne «come una candela». Per quanto invece
concerne la cessazione
dell'idratazione, facciamo nostre le parole del senatore Ignazio Marino, medico
e cattolico, che ci
sembra una persona saggia e competente: «Al di là delle legittime posizioni
personali in proposito e
del valore simbolico che la nutrizione (mangiare e bere) hanno nell'immaginario
collettivo, vorrei
che il dibattito sulla fine della vita si basasse su informazioni
scientificamente corrette, in modo che
i cittadini possano consapevolmente formarsi un'opinione. La letteratura clinica
di tutto il mondo è
chiara: non solo la sospensione dell'idratazione non comporta sofferenze per il
paziente, ma può
stimolare il rilascio di endorfine e composti biologici dall'effetto anestetico
che favoriscono un
senso di benessere nel paziente. Questa è l'opinione dell'autorevolissimo Nih,
il National Institute of
Health, e delle grandi riviste internazionali di medicina, e contraddice
chiaramente ciò che sostengono
alcuni giornalisti e politici poco informati» (presente in vari siti del Web).
Un alto esponente dei vertici vaticani l'ha definita una scelta «tragicamente
sbagliata». Dovrebbe
però almeno precisare se afferma questo sulla base della fede cristiana (nel
qual caso non può essere
imposta alla società intera), oppure in nome di una presunta legge o diritto
naturale, relativo al
cosiddetto «morire naturale», che è assolutamente impossibile definire.
Se si fosse infatti «lasciato
fare alla natura» in senso drasticamente letterale, Eluana sarebbe morta 17 anni
fa. Non è successo
perché siamo stati noi ad attivare e conservare una condizione che purtroppo è
rimasta allo stato vegetativo;
o meglio il sapere medico, nel tentativo estremo di salvarla, ha avviato
trattamenti riani
matori e terapeutici, confidando in una sua ripresa. Perché non si può
sospendere, senza essere etichettati
come «assassini», quello che nell'arco di 17 lunghi anni, senza colpa alcuna di
chicchessia,
non ha raggiunto il suo scopo benefico?
«In una situazione cronica di oggettiva irreversibilità del
quadro clinico di perdita
assoluta della coscienza, può essere dato corso, come estremo gesto di rispetto
dell'autonomia del malato in stato vegetativo permanente, alla richiesta,
proveniente dal tutore che Io rappresenta, di interruzione del trattamento
me«In una situazione cronica di oggettiva irreversibilità del quadro clinico di
perdita assoluta della coscienza, dico che lo tiene artificialmente in vita,
allorché
si appalesi quella condizione, caratterizzante detto stato, di assenza di
sentimento
e di esperienza, di relazione e di conoscenza — proprio muovendo dalla volontà
espressa prima di cadere in tale stato e tenendo conto dei valori e delle
convinzioni propri della persona in stato di incapacità — in mancanza di
qualsivoglia prospettiva di regressione della patologia, lesiva del suo modo di
intendere la dignità della vita e la sofferenza nella vita» (dalla premessa
della
sentenza del 16.10.2007, n. 21748, della Cassazione civile, sez. I).
in “il foglio”, mensile cattolico torinese,
n. 357 del dicembre 2008