Una sfida sul destino
della democrazia
È mai possibile che si accetti senza reagire una politica che si manifesta
con la distorsione dei fatti, l´aggressione alle istituzioni, l´esibizione di un
potere ispirato da una logica autoritaria?
Questi sono i temi nitidamente posti da Eugenio Scalfari, e conviene seguire la
strada da lui indicata tornando su alcune delle cose dette sabato dal presidente
del Consiglio ad una platea di imprenditori. E tuttavia, prima di seguire
Berlusconi lungo l´abituale suo itinerario di aggressioni e vanterie, bisogna
sottolineare la novità rappresentata dai tre fatti gravissimi narrati da
Scalfari, rivelatori non tanto di una inammissibile doppiezza, ma di un
sistematico mentire al presidente della Repubblica, che configura un caso
clamoroso di slealtà costituzionale. Mentre Giorgio Napolitano si adopera per
creare un clima propizio per una riforma rispettosa della Costituzione, Silvio
Berlusconi tiene comportamenti pubblici e privati che mettono in discussione la
funzione esercitata dal presidente e gli lancia una sfida che può sfociare in un
gravissimo conflitto al vertice delle istituzioni.
A Parma il presidente del Consiglio si è descritto come prigioniero di lacci e lacciuoli che gli impediscono un´azione efficace, come se non avesse una maggioranza parlamentare senza precedenti nella storia repubblicana e come se non avesse nei fatti mostrato che, quando le convenienze lo spingono, è in grado di far approvare rapidamente qualsiasi provvedimento. Ha imputato l´origine della crescita del debito pubblico ai "governi del compromesso storico", mentre proprio gli imprenditori dovrebbero sapere che quella vicenda comincia con il governo Craxi, un politico dal quale l´attuale presidente del Consiglio non era poi così lontano. Ha detto meraviglie di riforme che si sa bene che non saranno in grado di produrre i miracoli che ad esse vengono associate. Ma soprattutto ha descritto la Presidenza della Repubblica come un luogo che interferisce impropriamente nell´azione di governo, controllando «minuziosamente anche gli aggettivi» dei provvedimenti. E per l´ennesima volta ha definito la Corte costituzionale un "organo politico", che sta lì per smantellare la legislazione che non piace ai pubblici ministeri e ai giudici di Magistratura democratica. Un attacco frontale è stato così portato alle due istituzioni che in questo periodo hanno garantito la legalità costituzionale.
Quest´insieme di falsificazioni è il frutto di una strategia deliberata, basata
sulla ripetizione degli stessi concetti e delle stesse parole, ispirata
all´antica regola "calunniate, calunniate, qualcosa resterà". In questo
modo si è già creato un perverso senso comune, al quale si fa appello nel
momento in cui si deve raccogliere consenso. E ora, gonfiate le vele dal vento
elettorale, si pensa di poter portare tutto all´incasso. Che cosa si sta
facendo per contrastare questa che non è soltanto una strategia comunicativa, ma
una sempre più pesante strategia politica?
L´obiettivo di Berlusconi è chiaro e ormai esplicitamente dichiarato.
Spazzar via tutte le garanzie e i controlli che "disturbano il manovratore",
concentrare il potere nelle mani di una sola persona, invocando quel che accade
in altri paesi europei, ma ignorando del tutto i contrappesi che lì esistono.
Così, quello che con approssimazione viene chiamato semipresidenzialismo si
presenta come concentrazione di potere nelle mani di una sola persona. Non a
caso si rifiuta ogni modifica della legge elettorale, che si è rivelata un
docile strumento per avere parlamentari scelti dall´alto, vanificando proprio
quella sovranità dei cittadini alla quale Berlusconi strumentalmente si richiama
quando vuole avere le mani libere da qualsiasi controllo. Si scoprono le carte a
proposito della riforma della magistratura. Viene annunciata una antidemocratica
riforma elettorale del Csm. La separazione delle carriere dovrebbe portare alla
creazione di due consigli superiori, uno per i magistrati e l´altro per i
pubblici ministeri, quest´ultimo presieduto dal ministro della Giustizia. Dalla
proclamazione della volontà di cancellare la politicità della pubblica accusa si
passerebbe così ad un controllo politico, anzi governativo, dei pubblici
ministeri con l´evidente possibilità di distogliere il loro sguardo da indagini
che potrebbero riguardare chi è vicino alla maggioranza e di indirizzare la loro
azione verso chi si muova in modo sgradito al potere.
A
Berlusconi la democrazia dà fastidio, e non a caso annuncia un plebiscito.
Non vuole una riforma, vuole un referendum sulla "sua" riforma. Un referendum
che inevitabilmente spaccherebbe il paese, e farebbe percepire la nuova
architettura costituzionale come il progetto di una parte, nella quale gli altri
non potrebbero riconoscersi. Dalle riforme condivise si passerebbe alle riforme
"divisive".
Avendo deciso di imboccare questa strada, Berlusconi ha fatto una mossa che, per
chi conosce la sua attenzione per il sistema della comunicazione, era
prevedibile. Si è materializzato su Facebook. Da tempo, e non solo in
Italia, si sottolinea che Internet non è di per sé uno strumento di democrazia e
che, anzi, proprio l´insieme delle nuove tecnologie può dare sostegno al
crescente populismo.
Si torna così all´interrogativo iniziale. Come contrastare questa pericolosa
deriva? Contare solo sulla dialettica interna alle forze politiche, sperare nel
dissenso dei finiani, cercare pontieri tra maggioranza e opposizione perché la
minacciata eversione costituzionale venga ricondotta nel più ragionevole alveo
della "buona manutenzione costituzionale"? Guardiamo pure in questa direzione,
anche se la sconsolata ammissione del pontiere per eccellenza, Gianni Letta,
riferita da Eugenio Scalfari, non autorizza alcun ottimismo.
Il compito
dell´opposizione si è fatto più difficile, perché non basta contrapporre una
bozza Violante ad una bozza Calderoli. Bisogna contrastare Berlusconi sul
terreno che lui stesso ha scelto, quello della mobilitazione dell´opinione
pubblica che dovrebbe sostenere l´impresa di riforma. Ma bisogna fare un
passo oltre la registrazione di questa difficoltà, mostrando a tutti che cosa
sia effettivamente diventata la questione della riforma costituzionale: una
sfida sul destino della democrazia italiana.
Se così stanno le cose, vi è una responsabilità più ampia di quella che riguarda
partiti e gruppi di opposizione. Vi è una responsabilità collettiva legata ad
una cittadinanza attiva, alla necessità che tutti prendano la parola. La
difesa della democrazia non è stata mai affidata a maggioranze o minoranze
"silenziose". Proprio perché le tecnologie hanno fatto diventare "continua" la
democrazia, continua dev´essere pure l´azione dei cittadini. E oggi il
silenzio si rompe in molti modi, da quelli tradizionali a quelli che si affidano
alla faccia democratica delle tecnologie, né plebiscitaria né populista. Di
tutto questo bisogna parlare, per non lasciare solo il Presidente della
Repubblica nella difesa della Costituzione, per scongiurare un cambiamento di
regime, per non rassegnarsi al destino di spettatori. Esattamente quello che il
Cavaliere vuole.
Stefano Rodotà Repubblica 12.4.10