Una memoria
presente
Ogni anno che passa ci sembra sempre più difficile tornare a riflettere sul
Giorno della memoria. Da
una parte sembra di conoscere già tutto intorno alla vicenda della Shoah e delle
immani
deportazioni che hanno segnato il secolo breve degli stermini; dall'altra la
reiterazione dei giorni
commemorativi e la loro diffusione, a seconda delle aree del nostro paese, si
potrebbe dire capillare
attraverso le sedi scolastiche e le reti di un vecchio associazionismo che mai
come ora assolve a una
funzione di supplenza politica dei compiti di educazione civile che in altra
epoca erano affidati ai
partiti, potrebbe fare pensare ad una ritualizzazione ed anche banalizzazione di
queste occasioni. In
entrambi i casi gli interrogativi che emergono esigono risposte complesse a
partire dalla
constatazione banale ma reale e realistica che nessuna risposta può essere
definitiva perché di anno
in anno nuove generazioni si affacciano all'età della conoscenza e pongono
domande sempre nuove
e in modo sempre diverso, perché più ci si allontana dall'epoca degli eventi
della seconda guerra
mondiale più si modifica la percezione con la quale quegli eventi vengono
recepiti. Apparentemente
la maggiore distanza di tempo facilita le risposte, perché le domande sono
depurate dal sovraccarico
di emozioni; nella realtà non è così e non solo perché le risposte richiedono
maggiore chiarezza di
circostanze ma perché il fatto stesso di avere a che fare con un contesto
spoglio di emozioni pone
allo storico problemi quasi insolubili, come ci insegna la lezione di colui che
oggi si può
considerare lo studioso più completo della Shoah, Saul Friedlander, del
quale è stata appena tradotta
in italiano la lezione metodologica con la quale egli trae il bilancio della sua
formidabile ricerca
(Aggressore e vittima. Per una storia integrata dell'Olocausto, Laterza).
Inoltre, nella nostra esperienza quotidiana ci imbattiamo
continuamente in circostanze che ci
sollecitano a ritornare su evenienze che credevamo superate o acquisite per
sempre. Al di là di
quello che è il revisionismo dei professionisti della menzogna, più insidiose
sono le perdite di
memoria che si operano nei tanti revisionismi della vita quotidiana dovuti
all'ignoranza o alla
sottovalutazione di situazioni che meriterebbero maggiore attenzione e che
attraverso
l'amplificazione mediatica, fossero i giornali o la televisione, contribuiscono
alla deformazione
della memoria pubblica e alla immunizzazione di quelle private. Nel
caso italiano, poi, la presunta
esigenza di una memoria condivisa, in un contesto politico particolarmente
limaccioso e
caratterizzato da una accentuata propensione alla fuga dalle responsabilità di
fronte alla storia, la
vocazione a perdere la distinzione tra ruoli e fronti è un elemento negativo in
più a favore
dell'evanescenza della memoria sino alla sua totale estinzione.
Tuttavia, a fronte di questa somma di fattori che non
agevolano l'esercizio di una limpida
intransigenza della memoria, dobbiamo constatare il riemergere di sempre nuove
fonti, di sempre
nuovi episodi che rappresentano altrettanti tasselli nella conservazione della
continuità della
memoria. Le grandi narrazioni oramai con tutta probabilità sono state già
scritte, dopo Hilberg e
Friedlander non è ragionevole attendersi in tempi prevedibili opere di ampio
respiro sulla Shoah,
laddove viceversa c'è da attendere che non cessi il flusso di documenti, di
memorie e di narrazioni
variamente autobiografiche. Ciò è vero in particolare per settori dell'ebraismo
come quello tedesco
o quello polacco che fisicamente distrutti in patria hanno lasciato importanti
patrimoni documentari
negli spezzoni dell'emigrazione, in particolare negli Stati uniti e nelle
università americane, o anche
nei rifugi clandestini nel suolo patrio, come nel caso delle carte di Emanuel
Ringelblum che
dovrebbero vedere la luce in Polonia. Ma nel nostro piccolo anche in Italia
continuano a emergere
testimonianze della deportazione, memorie, epistolari e soprattutto per quanto
riguarda la categoria
tutta italiana degli Internati militari in Germania siamo convinti che nelle
famiglie italiane sono
custodite tuttora tracce importanti di un'esperienza che non deve restare
sepolta nel segreto delle
memorie familiari.
Sotto questo profilo il discorso pubblico è un fattore
decisivo per sollecitare la fruizione pubblica di
questi potenziali contributi di un patrimonio nazionale di memorie.
Naturalmente, in questi casi,
quello che è fondamentale è il rapporto di fiducia che si può e si deve creare
tra chi è disponibile a
consegnare testimonianze che appartengono a una sfera privata spesso molto
gelosa di piccole
verità dell'intimo familiare e l'eventuale ente o istituzione cui devolvere
questi materiali. Certo, se
io so che tutto andrà a finire nell'indistinto calderone in cui ogni cosa è
eguale a un'altra e
possibilmente anche a quella contraria, non sarò per nulla incoraggiato a
disfarmi del mio privato
segreto per farne partecipe una memoria pubblica. Ecco quindi come il contesto
influisce
fortemente anche nella costruzione di una memoria nella quale ci si possa
riconoscere. Ciò
sottolinea la responsabilità di quanti, soprattutto operatori dei media,
contribuiscono alla
formazione della cornice entro la quale si dovrebbero collocare i frammenti
delle tante verità
parziali di cui si compone la memoria pubblica. Soprattutto in una fase di
ricambio generazionale
come quella attuale, in cui stanno rapidamente scomparendo i protagonisti
diretti degli eventi che
sono oggetto dell'attenzione del Giorno della memoria, la presenza di punti di
riferimento certo
appare assolutamente indispensabile per assicurare la continuità della
consapevolezza di quanto va
trasmesso alle generazioni future.
Qualcuno, non si sa se per ingenuità o per provocazione,
continua a chiederci per quanto tempo
ancora continueremo a trarre occasione da questo Giorno della memoria per
sollevare interrogativi
inquietanti, se non cesseremo mai di turbare gli animi di chi vorrebbe che
finalmente si
abbandonasse all'oblio un passato che inevitabilmente divide. A costui, a
costoro, noi possiamo
rispondere soltanto che non cesseremo di scrivere questa storia e non soltanto
perché veniamo in
possesso di sempre nuovi particolari ma perché fin quando non cesseranno
l'infamia del razzismo
(purtroppo quotidiano) e le pratiche delle discriminazioni ci sentiamo
sollecitati dalla nostra
coscienza a non dimenticare gli esempi di un passato pur sempre così presente.
Enzo Collotti il manifesto 27 gennaio 2010