Una libera scelta
per Eluana
È un annuncio di liberazione e di resurrezione la sentenza della Corte D'Appello
di Milano che
accoglie il reclamo del padre di Eluana, la ragazza in coma irreversibile da
sedici anni. Lo è per lei
e per tutti noi che amiamo la vita e amiamo quindi la sua intrinseca finitezza.
Scusate l'enfasi che mi
è suggerita dal clima regressivo in campo etico che stiamo vivendo in Italia da
molti anni senza un
barlume di speranza. E insisto. Beppino Englaro potrà dare di nuovo la vita a
sua figlia, quasi
generarla di nuovo. Sospendendo l'alimentazione forzata potrà compiere nei
confronti della figlia il
gesto generativo più forte. E sarà anche la scelta più densa di fede cristiana.
Sarà come un secondo battesimo, non in senso ritualista, ma come immersione
nella dimensione
della resurrezione, cioè della vita che perennemente rinasce. L'impietosa e
ottusa intransigenza delle
gerarchie vaticane è ancora una volta il segno di una inadeguatezza di fronte
alle grandi
trasformazioni che investono ormai tutti i campi del vivere ed evidenzia una
forte contraddizione
dal punto di vista della stessa fede cristiana. Ma può essere anche il segno
della estrema debolezza
in cui si trova il sistema del dominio del sacro, mi scuso per
l'approssimazione, che fin dagli inizi
della storia è fondato sull'ancestrale paura della morte. Tutti i sistemi di
potere per affermarsi e
mantenersi hanno sfruttato a piene mani la paura della morte. A cominciare dal
potere attribuito a
Dio in quasi tutte le religioni e culture. Dio e morte sono considerati da
sempre nemici inconciliabili
fra loro, ma in un certo senso anche alleati perché Dio usa la morte come
strumento di condanna per
il peccato. E è proprio questo binomio di opposti, Dio/morte, che forse è in
crisi, già dal tempo di
Francesco d'Assisi che cantava la morte-sorella. Su di esso occorre lavorare per
portare un po'
avanti la nostra liberazione dalla paura. Sul tema dell'eutanasia molto si parla
in termini politici,
biologici, medici, giuridici. E già questo è un segno di maturazione della
coscienza collettiva. Poco
si è parlato e si parla però delle radici inconsce che condizionano le nostre
scelte, fra cui certamente
il binomio Dio/morte. Al fondo dei problemi etici che agitano il nostro tempo
c'è questo Dio tenero
per certi aspetti e terrificante per altri; c'è questo Dio che ci ama fino a
incarnarsi e sacrificarsi per
salvarci dal peccato ma ci condanna a assaporare fino in fondo la sofferenza,
anche se si fa
insopportabile, una sofferenza si badi bene che lui stesso ci manda e ci impone
finché lui vuole,
nella sua imperscrutabile volontà e provvidenza. E se pretendiamo sostituirci a
lui nel decidere,
sostenuti e moderati dalla rete delle relazioni affettive e tecniche, quando è
il momento di rifiutare
una sofferenza il cui scopo è solo la tortura per se stessa, ci condanna alla
seconda morte, cioè a
quella eterna dell'anima. Della paura sono vittime preti, medici, cattolici in
genere. Ma anche tanti
laici. La paura del binomio divinità/morte è sepolta da millenni nell'inconscio
collettivo, nella zona
più oscura della vita individuale e sociale. Quella paura non basta esorcizzarla
con esercizi
puramente mentali; non ritengo sufficiente ad esempio il negazionismo ateista.
Perché dal profondo
emerge in forme mascherate. La paura, sepolta nella zona più oscura della vita,
ha bisogno innanzi
tutto di essere riconosciuta, narrata e analizzata. Le emergenze etiche posso
essere l'occasione per
dare finalmente cittadinanza a esperienze essenziali del vivere umano. Il
problema è che da soli non
ci si riesce e mancano luoghi per socializzare tali elaborazioni e esperienze. O
forse non si cercano.
Enzo Mazzi, Comunità dell'Isolotto- Firenze
il manifesto 11 luglio 2008