Una Chiesa un po’ troppo mondana

Ma davvero tra i “vertici ecclesiastici” ci sono gli scontri di cui si è scritto? Difficile commentare le
polemiche in un Vaticano che sembra «la moderna Avignone», come scrive Giancarlo Zizola su La
Repubblica (10 febbraio). Fa impressione leggere i giornali, a trent’anni dalla morte coraggiosa e
serena di Vittorio Bachelet, il 12 febbraio 1980.
Dov’è il cuore del problema? Al di là di pettegolezzi e moralismi… il punto critico è nella
mondanizzazione della Chiesa, nel clericalismo, nel verticismo burocratico, nel segreto
… E
soprattutto nella inconsapevolezza dei mutamenti epocali che stiamo vivendo e nella poca fiducia
nei mezzi del Vangelo. Il mondo sta cambiando: o la Chiesa lo affronta con la sua coscienza e i suoi
propri strumenti oppure si corrompe.

Il Concilio aveva indicato la strada, ma è stato messo tra parentesi.

Bisogna tornare lì. Cambiare idee, persone, soprattutto ai vertici. Bisogna riproporre la scelta
religiosa, evangelica, comunitaria, dialogica.

L’annuncio di Giovanni e il pontificato di Paolo avevano segnato la strada.
Negli anni ’90 Dossetti diceva: «Dobbiamo convincerci che tutti noi, cattolici italiani, abbiamo
gravemente mancato (...) I battezzati consapevoli devono percorrere un cammino inverso a quello
degli ultimi vent’anni, cioè mirare non a una presenza dei cristiani nelle realtà temporali e alla loro
consistenza numerica e al loro peso politico, ma ad una ricostruzione delle coscienze»
. E il
cardinale Martini nel dicembre 1995: «Un rinnovato discorso sulla politica da parte della chiesa
deve partire da quella scelta evangelica e profetica, un tempo detta scelta religiosa, che è
l’affermazione del primato di Dio e dell’evangelo…
».
Ma che cosa vuol dire «scelta religiosa? » Lo spiegava Bachelet che l’aveva proposta alla Chiesa:
«Di fronte a questo mondo che cambia (...), forse con una intuizione anticipatrice, o comunque con
una nuova consapevolezza l’Ac si chiese su cosa puntare. Valeva la pena correre dietro a singoli
problemi, importanti ma consequenziali, o puntare invece alle radici? Nel momento in cui l’aratro
della storia scavava a fondo rivoltando profondamente le zolle della realtà sociale italiana che cosa
era importante? Era importante gettare seme buono, seme valido. Riscoprire la centralità
dell’annuncio di Cristo, l’annuncio della fede da cui tutto il resto prende significato… questa è la
scelta religiosa
».
L’annuncio della fede è ben altra cosa delle guerriglie ecclesiastiche e delle trattative sottobanco; e
del catalogo strumentale dei valori non negoziabili!!


Angelo Bertani       in “Europa”  12 febbraio 2010

 

 

 

La moderna Avignone

Poche cose, come le bassure avignonesi nelle quali è sprofondata in queste ultime settimane la
credibilità del suo governo centrale, sembrano nuocere maggiormente alla forza viva della Chiesa e
al suo patrimonio ideale.
Una Chiesa alla ricerca del rifacimento interiore delle sue comunità anche
in risposta ai processi di disgregazione che segnano la società in cambiamento. Il Vaticano ha inteso
dare un taglio alla deriva degenerativa, questo è il segnale principale del "comunicato della
Segreteria di Stato". Un messaggio ai vescovi, al clero, al popolo dei fedeli che hanno seguito con
pena crescente questo ritratto deprimente dello "stato di salute" del corpo ecclesiastico dirigente. Un
clima fattosi pesante, carico di tensioni, colmo di risentimento. E che esigeva, più che spiegazioni,
assicurazioni e conforto. Un tentativo di mettere la parola fine al brulicare del gossip, nello stile
imperioso, quanto sterile, del classico "Roma locuta, causa finita" con cui la curia romana liquidava
i casi scottanti, senza ammettere ulteriori interlocuzioni. L'obiettivo, si può credere, è - almeno nelle
intenzioni migliori - di favorire il ritorno alla normalità, il recupero del grande slancio spirituale
infranto, della fierezza cristiana delle radici, il senso della dignità della vocazione cristiana, troppo
esposta ancora una volta alle tempeste e umiliazioni del mondo.


Ammessa ogni buona intenzione, resta l'interrogativo: lo stile apologetico adottato dal documento,
che si fa notare per la forma inabituale, è sufficiente a raggiungere l'obiettivo? La Segreteria di
Stato, cioè una delle parti in causa, poteva farsi credibile emissaria di una sentenza senza appello il
cui esito si traduce in un'autoassoluzione? Se le inquietudini di pastori e fedeli urgevano un
intervento chiarificatore, è davvero esente da dubbi che lo stile delle confutazioni assiomatiche
fosse il più appropriato, anzi il più rispettoso della dignità e intelligenza delle domande? E dal punto
di vista ecclesiale, una volta informato ufficialmente il pubblico che il Papa aveva chiesto di istruire
un dossier cognitivo completo sull'intero affare, per quale ragione si è invece optato di fatto per una
paginetta in cui l'affanno dei dinieghi, pari alla fretta della produzione, tradisce troppo facilmente la
ricerca di una rimozione dei fatti, piuttosto che la disponibilità a tirare umilmente una lezione
profonda dalla distretta storica? Si deve riconoscere che ancora una volta, e per quanto sia minima
la faccenda in cui la Chiesa di Pietro si è trovata afflitta in queste settimane, il sistema istituzionale
ha preferito la scorciatoia del rigetto a tutto campo piuttosto che la via del convincimento razionale,

la via veritativa che tanto sta a cuore a Papa Ratzinger. Una via che non teme di assumere l'analisi
del male infiltratosi anche nella sua vigna. Perché - come diceva proprio Ratzinger da cardinale - la
Chiesa deve difendersi contro la pretesa di una Chiesa solo santa. «Il suo Signore è venuto a cercare
i peccatori e a mangiare alla loro tavola. Non può mai essere una Chiesa fuori dalla realtà del
peccato, ma è la Chiesa in cui si trovano grano e zizzania, pesci di ogni tipo».

Il meno che si può osservare è che il comunicato non sembra riflettere abbastanza questa figura di
Chiesa. Alcune disfunzioni nell'apparato sono deplorate da tempo da membri del Sacro Collegio. La
mancanza di una autocritica al riguardo, di più l'occultamento delle deviazioni emerse non fa che
aggravare il malessere dell'intero sistema e ritardarne la riforma che è nelle attese del popolo cristiano.

È un classico che l'Istituzione tenda a conservare se stessa, è già accaduto che nella
autodifesa confischi la stessa autorità del Papa.
Tuttavia l'operazione di ridurre il soggetto papale
alle logiche dell'apparato è rischiosa per quanti tengono a memoria i conflitti tra Papa Giovanni e
alcuni ceti curiali, tra Paolo VI e il nucleo romano filo-lefebvriano. Nel caso di Benedetto XVI,
l'apparato al suo servizio lamenta delle difficoltà a armonizzare il pluralismo interno con le logiche
del controllo unitario imposto. Nella congiuntura del Boffo bis, non sembra che la figura del Papa
fosse stata messa in scena, neanche tra le quinte. Vero o falso il copione prodotto dall'attacco mosso
dai media laici, fossero o meno orchestrati da fazioni politiche e ecclesiastiche, uno sguardo
ecclesiale avrebbe potuto trarne l'invito paradossale a un severo esame di coscienza, o almeno a
attualizzare il brocardo: «Non timeo Petrum, sed segretarios Petri». Una distinzione necessaria
anche a impedire che qualsiasi funzionario della curia romana possa vantare "ad extra" titoli di
rappresentanza dell'autorità papale, per accreditare abusivamente propri giochi politici personali,
come nel caso della "personalità istituzionale" invocata da Feltri come fonte. Emerge anche in
questa vicenda la risultante di un clericalismo dei "laici" che, nutrito da una generale ignoranza
religiosa, si getta sugli affari interni della Chiesa con una voluttà di cattura napoleonica analoga a
quella con cui Berlusconi è corso a Ciampino da New York per farsi fotografare a baciare l'anello di
Ratzinger.

Ma l'orgoglio con cui il Vaticano ha troncato il Boffo bis attesta anche lo stato di frammentazione in
cui versa la curia romana, ed è un segno di debolezza ecclesiale che l'occasione non sia stata colta
come un appello implicito a una purificazione della Chiesa "in capite et in membris": purificazione
che implica una riforma non solo spirituale ma anche strutturale.

Voci che gridano nel deserto, dal Concilio in avanti, auspicano la riforma collegiale della monarchia
pontificia, coi rappresentanti degli episcopati a governare la Chiesa "con Pietro e sotto Pietro".
L'incidente Boffo conferma che rimedi altrettanto risolutivi non sono stati ancora immaginati. Ma
Roma li ha rigettati. Il cardinale brasiliano Lorscheider chiedeva che il Papa potesse «finalmente
liberarsi da una certa organizzazione troppo ecclesiastica e non abbastanza ecclesiale
». La risposta
del sistema a questa crisi, più grande nell'ordine spirituale che in quello istituzionale, sembra
significare, almeno per ora, una rinuncia a prospettive riformatrici, le sole che possano incidere
sulla condizione della Chiesa e risanarla. «Bisogna divellere - gridava Caterina da Siena a Gregorio
XI, ai tempi di Avignone - i fiori puzzolenti, pieni di immondizia e di cupidità, gonfiati di superbia.
Li mali pastori e rettori intossicano e imputridiscono questo giardino. Gittateli di fuori, che non
abbino a governare. Ohimé, che grande confusione è questa, di vedere coloro che debbono essere
specchio in povertà volontaria, immersi in tante pompe e vanità del mondo, più che se fossero mille
volte nel secolo
». Non era solo una riforma spirituale quella per cui la santa si batteva, ma anche di
struttura. Non dissimile da quella il cui vuoto si fa sentire nella odierna Avignone.


Giancarlo Zizola       la Repubblica  10 febbraio 2010