UNA BUONA NOTIZIA
E' probabile che una qualche "quadra", poi, la troveranno. Ma, intanto, quella di oggi è una buona notizia, e, insieme una lezione assai istruttiva. Su un tema cruciale e su misure delicatissime - e oltraggiose per il diritto e per la convivenza sociale - la destra può essere battuta. Sotto questo profilo - così corposamente simbolico e così significativamente materiale - la destra (attenzione: non solo la Lega) sta giocando una partita estremamente importante. E, ahinoi, già parzialmente vinta. Sul piano ideologico, infatti, laddove si formano il senso comune e la mentalità condivisa, il messaggio perseguito (l'immigrazione come questione criminale) ha prodotto guasti enormi e, per certi versi, non più reversibili. Enorme resta, pertanto, il lavoro culturale e politico da fare: un lavoro in grado di superare le impostazioni prevalenti a sinistra. Impostazioni che, lungi dal costituire un argine contro la diffusione dell'intolleranza, hanno finito per assecondarla o, comunque, per restarle subalterne.
Mi
riferisco a quella opzione solidaristica che, quando si limita ad appellarsi ai
buoni sentimenti e all'enfasi sulla "società multietnica e multireligiosa" quasi
un surrogato dell'orizzonte socialista, si rivela fallimentare. E'
difficile, infatti, evocare la solidarietà quando il peso dell'immigrazione
viene inevitabilmente scaricato sulla vita quotidiana - e sulla fatica
quotidiana - degli strati più periferici e meno garantiti. È allora che si
avverte, più intensamente, la necessità di una politica razionale e
intelligente, fondata sull'allargamento del sistema dei diritti di cittadinanza
e sul richiamo alle garanzie proprie di un regime democratico. E
fondata, ancora, su un "utilitarismo virtuoso", capace di mostrare come
l'immigrazione "ci fa bene". A tutti e sotto tutti i profili. E' qui, solo qui,
che può realizzarsi una relazione vera, affidata alla condivisione di interessi
e di diritti/doveri, tra immigrati e residenti, tra stranieri che già ora
contribuiscono alla produzione di ricchezza nazionale e al sistema di welfare, e
italiani minacciati dalla crisi economico finanziaria e dalla crescente
precarizzazione del mercato del lavoro.E'
qui, solo qui, che può crearsi comunanza di condizione e di programma, nella
consapevolezza - non facile da conquistare - che la sola salvezza può derivare
da strategie di inclusione, capaci di rafforzare le solidarietà orizzontali, e
non da politiche di discriminazione.
Per questo è così importante la notizia da cui abbiamo preso le mosse.
Privare gli imprenditori politici dell'intolleranza di uno strumento (le ronde)
e di un bersaglio (gli immigrati) ed evitare che la condizione di irregolare
diventi, di per sé, fattore di criminalizzazione: ecco, ciò può costituire un
contributo rilevante alla tutela dello stato di diritto. E un contributo
alla maggiore integrazione degli immigrati, sottratti, almeno parzialmente, ai
più aggressivi processi di stigmatizzazione. Che consistono nell'accostare alla
figura dello straniero l'armamentario, il più ampio possibile e tendenzialmente
l'unico a disposizione, della coercizione e della repressione: l'allungamento
dei tempi di permanenza nei Centri di identificazione ed espulsione, la
rilevazione delle impronte digitali (anche ai minori), la sottrazione del corpo
migrante a quelle prerogative fondamentali della persona che sono il diritto al
soccorso e alla cura, il controllo privato del territorio, l'affidamento della
vigilanza sui flussi migratori provenienti dall'Africa a un campione della
democrazia come Muammar Gheddafi… smantellare questo armamentario o, per lo
meno, ostacolarlo e metterlo in discussione è precondizione per qualsiasi
possibilità di integrazione degli stranieri nel nostro paese. Siamo ancora ben
lontani da questo. Ma quanto è successo ieri alla Camera indica come qualcosa è
possibile fare. Ancora una volta a partire da una considerazione: le ronde
e l'estensione della permanenza nei Cie sono un'aggressione nei confronti degli
immigrati, ma - al tempo stesso - sono un'aggressione contro di noi. Le
libertà non sono divisibili: delegare il monopolio legale della forza, connotato
essenziale dello stato democratico, a milizie private deprime gli standard di
garanzie per tutti noi, bianchi e integrati; prevedere la detenzione per un
illecito amministrativo equivale a ridurre le nostre tutele rispetto agli abusi
del potere.
Luigi Manconi Liberazione 09/04/2009