Un Te Deum per tutti
Il Vaticano ha annunciato il ritorno ufficiale della messa
in latino. Un annuncio di grande significato. Un regalo non soltanto ai
nostalgici lefevriani, ma a tutti i tradizionalisti che stanno rialzando la
testa un po' dappertutto, soprattutto nelle religioni e quidni anche nel
cattolicesimo.
In realtà non saranno moltissime le messe in latino - difficile pensare a
schiere di fedeli che stilano petizioni al loro parroco per celebrare nella
lingua ormai morta - ma il ritorno indietro è significativo, soprattutto perché
si iscrive in una tendenza generale, come quella del burka per i musulmani.
Il cattolicesimo aveva compiuto un grande sforzo verso la modernità, iniziato
più o meno nell'Ottocento e culminato nel Concilio Vaticano II. La messa nelle
varie lingue moderne significava l'accettazione del pluralismo e anche della
democrazia, se è vero che la lingua non è soltanto una questione di vocabolario.
Ma, a pochi anni dal Concilio, la reazione ha ripreso quota. Si è cominciato a
ridiscutere la possibilità dell'evoluzione e a temere che la pluralità delle
lingue intaccasse l'unità della chiesa. Segnali di poca fede. Lo si era compreso
già dai primi mesi di papa Ratzinger, con il suo terrore del relativismo, posto
in primo piano nell'elenco dei guai del mondo moderno. Meglio una lingua unica,
ufficiale. Meglio un assoluto. Anche perché così si possono recuperare alcuni
nostalgici, in qualche vecchio paese.
Ma quanti credenti così si allontanano nei paesi emergenti? Quanti giovani? Il
Vaticano risponderebbe che la messa nelle lingue moderne non è proibita, ci
mancherebbe. Ma il segnale del trionfo del passato rimane. Ed forte,
inequivocabile. Più di un Te Deum.
Filippo Gentiloni Il manifesto 29/6/07