UN SINODO "CLONATO"
Le
corrispondenze dei giornalisti, tanto stranieri come italiani, nel commentare il
recente Sinodo vaticano sull'Eucaristia hanno evidenziato i sintomi
dell'imbarazzo di fronte alla povertà del dibattito e alle prevedibili
conclusioni del medesimo.
Sorprende la delusione di giornalisti ed osservatori. Evidentemente non avevano
registrato il fatto che tutti i Padri sinodali erano stati elevati
all'episcopato o al cardinalato da Giovanni Paolo II, avendo previamente giurato
di condividerne le opzioni pastorali. Questo fatto implicava che Benedetto XVI e
gli altri partecipanti non potevano venir meno nelle sessioni sinodali al loro
"giuramento", con cui si erano impegnati chiaramente a non: ordinare uomini
sposati, meno che meno donne; reintegrare ex preti o concedere la comunione ai
divorziati risposati. Si sarebbe trattato di una vera sollevazione se i Padri
avessero negato la loro condizione di "cloni" del papa che li aveva
"consacrati", approvando norme contrarie alla originaria matrice pontificia.
Il primo messaggio del Sinodo, quindi, non consiste tanto nella quantità di "no"
sui temi caldi sopra menzionati, bensì nel fatto che i Padri si sono rivelati in
realtà dei "Figli", privi dello statuto di "Fratelli" rispetto al Padre, non
potendo varcare la soglia delle proibizioni da lui fissate in modo autoritario.
A differenza del Concilio Vaticano II, in cui papa Giovanni XXIII volle
assegnare ai vescovi il ruolo di "confratelli", nei sinodi successivi i vescovi
sono progressivamente tornati al ruolo di bambini afasici, privi del diritto di
critica, con l'unica libertà di assecondare la volontà del Padre dominante.
Non ha causato sorpresa o scandalo il fatto che il Sinodo abbia circumnavigato
tutti i temi pastorali riguardanti l'Eucaristia, primo fra tutti il crescente
tasso di abbandono da parte dei giovani, al punto che la Messa domenicale è oggi
frequentata quasi esclusivamente da anziani. La Curia ha impostato il lavoro
sinodale sulla riaffermazione della "dottrina", non sulla valorizzazione della
"esperienza". Ha trascurato deliberatamente il "vissuto" dei fedeli, cioè quello
che pensano e vivono realmente i cattolici durante una normale celebrazione. Un
sondaggio o una ricerca approfondita avrebbero mostrato l'abisso che separa la
dottrina dalla prassi, e avrebbe certamente disorientato quella maggioranza
silenziosa che ritiene difensivamente che tutti i mali provengano dalle forze
demoniache situate sempre all'ester-no di sé o della Chiesa, mai all'in-terno.
Non desta meraviglia neppure il fatto che il dibattito sinodale abbia scartato
ogni riferimento alla "Cena del Signore". Questo è più comprensibile, dato che è
difficile trovare un fondamento evangelico in Conferenze episcopali, Sinodi o
Encicliche. Al 90% le citazioni sono autoreferenziali: i papi, cioè, citano papi
defunti, mentre i vescovi citano il papa vivente. A tanto si riduce il
"Magistero", salvo eccezioni.
Che Gesù di Nazareth sia stato il grande assente nel Sinodo, nonostante le
numerose citazioni, è testimoniato dall'assenza del riferimento fondante, cioè
il racconto dell'Ultima Cena. In ultima analisi, il primo quesito del Sinodo
avrebbe dovuto essere: la celebrazione delle Eucaristie nella Chiesa rispetta,
rivive e riattualizza lo spirito e la dinamica della Cena istituita da Gesù?
Quesiti del tipo: è lecito dare la comunione ai divorziati-risposati o ai
politici che approvano leggi in favore dell'aborto?, oppure: conviene ordinare
uomini coniugati?, non appaiono nei resoconti evangelici come interessi primari
di Gesù, pur esistendo simili problemi.
I Sinottici e Paolo ci dicono inequivocabilmente che Gesù:
- ha desiderato intensamente festeggiare con discepoli e discepole la Pasqua,
cioè la massima festività del popolo ebraico, istituita non solo per ricordare,
ma per "rivivere" la liberazione del popolo dalla schiavitù reale ed oppressiva
dal Faraone d'Egitto. Non risulta che nel Sinodo, come nei documenti
preparatori, sia stata sottolineata la dimensione dell'Esodo come costitutiva
dell'orizzonte di Gesù stesso.
- Questi ha celebrato tale festa in uno spirito familiare con quanti
condividevano la sua missione. Gli invitati erano seduti attorno ad un tavolo,
sul quale erano disposti gli alimenti tipici della Pasqua ebraica. Se tale fu la
Cena del Signore, è facile dedurre che la Messa attuale non corrisponde
minimamente alle condizioni poste da Gesù, non solo perché assomiglia piuttosto
ad un teatro che ad un banchetto, ma soprattutto perché i partecipanti si
trattano da estranei gli uni con gli altri. Al Magistero va bene che i fedeli
"assistano" o "ascoltino " la Messa, senza nemmeno salutarsi, conoscersi,
correggersi, confessarsi l'un l'altro, o proporre un insegnamento, una
interpretazione, una rivelazione, come suggerisce Paolo in tutte le sue lettere.
- Il mancato riferimento neotestamentario serve anche a riconfermare una
"dottrina" relativa alla "sacralità" del sacerdote (celibe e maschio) e
all'indispensabilità della sua azione per la "transustanziazione" dell'Ostia.
Una lettura scevra da pregiudizi del Vangelo mostra che Gesù non è mai stato un
"sacerdote", né che abbia costituito un ordine sacerdotale, in opposizione alla
condizione profana dei fedeli. Ciò che a lui premeva era il cambiamento
"sostanziale" della vita, la "transustanziazione dei discepoli", non di un pezzo
di pane. Antico e Nuovo Testamento sottolineano più volte che "l'unico culto
essenziale e gradito a Dio è la pratica della giustizia e dell'amore" (Mt5,23).
Per concludere queste note sintetiche e incomplete: i cristiani debbono decidere
se essere "cloni" del Magistero o "discepoli" del Signore. Se desiderano
realizzare vere Eucaristie non possono rifarsi ai testi autoreferenziali del
primo, ma alla prassi originaria di Gesù, ben sapendo che ogni Eucaristia è
seguita da un inevitabile "tradimento". E che incorreranno nei furori dei Sommi
Sacerdoti dell'Ortodossia per aver celebrato Dio fuori del Tempio.
di Luigi De
Paoli , medico-psicoanalista
da Adista n. 75 1/11/05