Un rapporto malato
Non colgo, in queste parole di Rocco Buttiglione, il motivo del contrasto. Nello
scritto al quale egli si riferisce è detto che "le fedi religiose non sono
affatto un problema per la democrazia liberale, anzi ne possono essere forza
costitutiva nella misura nella quale i credenti si impegnino, sulla base delle
loro credenze, nella sfera della società civile". Su che base Buttiglione può
dire che "si cerca di escluderli [i credenti] in via preliminare dalla
partecipazione al dibattito nel quale si forma la decisione pubblica?". Citavo
poi adesivamente l´affermazione di Böckenförde secondo la quale a partire dalla
società civile "la religione può, a seconda dei vigenti processi di formazione
della volontà politica, giungere a influenzare lo Stato nel senso di
un´organizzazione vincolante dell´umana convivenza, a seconda della forza di cui
gode tra i credenti, nella loro qualità di cittadini". Dove sta il cattivo
proposito "laicista" di escludere i credenti dal dibattito pubblico, di cui
parla Buttiglione? Egli mi faccia dire cose che non ho detto, avendo invece
detto, qui e altrove, proprio il contrario. Tutto questo, mi pare così ovvio,
per chi si ispiri all´uguale rispetto dei diritti della libera coscienza di
tutti, da non richiedere altre parole. D´altra parte, volgendosi dai principi
alla realtà dei fatti, si può davvero seriamente credere che i credenti,
cattolici o non cattolici, per il fatto di essere tali, si trovano oggi
discriminati e abbiano difficoltà a far sentire la loro parola?
La questione che ho sollevato, sottolineandola più e più volte, riguarda non i
cittadini cristiani nei loro rapporti con i cittadini non cristiani nella sfera
della società civile e in quella politica, ma i rapporti tra Stato e Chiesa,
cioè tra i soggetti istituzionali che, in certo senso, rappresentano, uno, i
cittadini tutti quanti e, l´altro, i cittadini cattolici.
Nello scritto di Böckenförde sono contenute affermazioni ambigue a questo
riguardo. Su tali affermazioni ci si appoggia, da parte cattolica qui da noi,
per sostenere che, data la "impronta" cristiano-cattolica del nostro Stato
ch´esso deve salvaguardare come una delle sue "premesse" (le Voraussetzungen,
nella lingua di riferimento), è giustificata la sua tacita alleanza con la
Chiesa. Se l´alleanza è tacita, le conseguenze sono esplicite: potere di veto
nella legislazione e nella giurisdizione ("dico", eutanasia, trattamenti
sanitari, rapporti familiari, sperimentazione scientifica, ecc.) e trattamenti
privilegiati di diversa natura (finanziamenti, agevolazioni fiscali,
insegnamento confessionale nelle scuole pubbliche, simboli, presenza nelle
istituzioni e nelle cerimonie pubbliche, ecc.) che si vogliono giustificare
proprio per quella "impronta" (parola significativa) che la Chiesa garantisce.
Questa linea di pensiero comporta precisamente la contraddizione con l´esigenza
liberale primordiale: che le "premesse" del vivere comune nascano dalla e nella
libertà. Böckenförde è ambiguo, anzi contraddittorio, quando parla di "legami
unificanti che precedono la libertà". Se precedono, non sono liberi: sono per
l´appunto la "impronta" che viene dall´accordo tra autorità, lo Stato e la
Chiesa. Ma questo è clericalismo, cioè uno scambio a doppia degenerazione, della
religione a instrumentum regni, dello Stato a braccio secolare della religione:
una rinnovata commistione di trono e altare che contraddice le pretese
affermazioni di tanti che si autodefiniscono laici (chi oggi si proclama
clericale?), ma tali non sono alla prova evidente dei loro atti.
Questa era la questione. Ripeto: non la libertà di manifestare le proprie
opinioni e di concorrere paritariamente alla formazione delle leggi in
parlamento tramite i "compromessi pratici", normali nella democrazia pluralista.
Questa libertà è di tutti, senza bisogno di concessioni o rivendicazioni. Il
problema aperto è invece il rapporto malato Stato-Chiesa e le sue conseguenze
circa la "confessionalizzazione" dello Stato e la "secolarizzazione" della
Chiesa: un duplice motivo di malessere che dovrebbe preoccupare non solo i
non-credenti ma anche, almeno in ugual misura, i credenti. Mi dispiace che il
punto, anche in questo caso, non sia stato colto.
Gustavo Zagrebelsky Repubblica 23.10.07