Un prete scomodo
Lascia Castel Volturno, nel casertano, dopo 15 anni di intensa attività
pastorale e sociale soprattutto
a fianco degli immigrati, il missionario comboniano Giorgio Poletti: i superiori
della sua
congregazione lo hanno trasferito a Venegono Superiore, vicino Varese, in attesa
di assegnargli una
nuova destinazione.
«La mia presenza a Castel Volturno non è mai stata semplice», spiega padre
Poletti. «Fin quando fai
beneficenza tutti ti applaudono; se inizi a lavorare per i diritti e non ti
allinei all'autorità, civile o
ecclesiastica, diventi fastidioso».
Del resto già dom Hélder Câmara, il vescovo brasiliano che aprì il palazzo
residenziale ai poveri,
diceva: «Se do da mangiare ai poveri mi chiamano santo, ma se chiedo perché i
poveri hanno fame
dicono che sono un comunista». «Comunista», a padre Giorgio, non l'hanno
detto, ma di
allontanarlo da Castel Volturno lo hanno chiesto in tanti, uomini di Chiesa e di
Stato.
La prima volta nel 2003, durante le proteste contro la legge
Bossi-Fini e le retate anti-immigrati della polizia: il
vescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino - da poco promosso presidente della
Commissione
episcopale per le migrazioni e quindi membro del Consiglio permanente della Cei
- propose invano
al Consiglio presbiterale della diocesi di chiedere ai comboniani
l'allontanamento di Poletti e del
suo confratello Franco Nascimbene, principali animatori delle iniziative di quei
mesi; poi, l'allora
sindaco di Castel Volturno, il forzista Antonio Scalzone - probabile candidato
sindaco del centro-
destra anche alle elezioni della prossima primavera al grido «siamo pronti anche
noi a fare la
guerriglia per difendere il nostro territorio, come a Rosarno» - denunciò alla
procura il missionario e
chiese al ministro dell'Interno Beppe Pisanu di «prendere provvedimenti per
garantire ordine e
sicurezza pubblica messa a rischio da padre Poletti». Richieste rispedite sempre
al mittente, fino a
qualche settimana fa. «Per molti anni l'ex generale dei comboniani mi ha
sostenuto - spiega - ora
sono cambiati alcuni equilibri interni alla congregazione, le pressioni esterne
sono aumentate,
quindi vado via. Del resto - aggiunge - sono rimasto 15 anni, per noi
religiosi è tanto».
Emiliano, missionario in Mozambico, quando torna in Italia padre Giorgio chiede
di lavorare tra gli
immigrati e nel 1995 arriva a Castel Volturno dove fonda la comunità dei
comboniani che diventerà
una delle più attive in Italia, come lo è oggi: distribuzione di vestiti e
generi alimentari ai poveri,
accoglienza di donne straniere in difficoltà e vittime della tratta, asilo per i
bambini, doposcuola,
pastorale per gli immigrati. E azione di denuncia delle collusioni
camorra-criminalità-imprenditoria,
battaglie per i diritti dei migranti che dalla periferia di Castel Volturno
assumono un rilievo
nazionale.
Come nell'estate del 2003, quando Poletti, insieme a
Nascimbene, si incatena per 10 giorni davanti
alla Questura di Caserta per protestare contro l'operazione «Alto impatto»: una
serie di retate contro
gli immigrati che, spiega padre Giorgio, hanno portato alla «criminalizzazione
di tutti gli immigrati
con rastrellamenti spesso ingiustificati da parte delle forze dell'ordine in
applicazione della legge
Bossi-Fini». Vescovo e sindaco si infuriano, ma la protesta continua e anzi si
espande: in tutta Italia
si organizzano manifestazioni di fronte alle prefetture contro la Bossi-Fini e
Poletti coinvolge
gruppi, preti, religiosi e una dozzina di vescovi, fra cui Tettamanzi di Milano
e Nogaro di Caserta,
per chiedere la revisione della legge e la chiusura degli allora Cpt, ma anche
il riconoscimento del
diritto d'asilo, la velocizzazione delle procedure di regolarizzazione e di
ricongiungimento
familiare.
Immigrazione e guerra: un legame evidente. «L'emigrazione - spiega Poletti
- è la conseguenza
della pessima distribuzione delle ricchezze» e delle guerre che si fanno per
conservare tale
ingiustizia planetaria. E allora, insieme ai comboniani del sud Italia,
nel 2004 scrive ai vescovi
perché dicano «una parola forte contro tutte le guerre: quella contro i poveri,
quelle fatte con le armi
e quella contro il nostro pianeta». Poi, con don Ciotti, don Bizzotto, don Gallo
e padre Zanotelli,
un'altra lettera alla Cei perché, all'indomani del massacro di Falluja, in Iraq,
ritirino i cappellani
militari «che in questo momento sono, assieme ai soldati, di fatto parte della
coalizione responsabile
di quanto sta avvenendo».
18 settembre 2008: davanti la sartoria Ob Ob Exotic Fashion
di Castel Volturno, i killer della
camorra sparano 130 colpi di pistola e di kalashnikov e uccidono sei immigrati
dal Togo, dalla
Liberia e dal Ghana che si guadagnavano da vivere nei campi e nei cantieri edili
per 20-25 euro al
giorno. Il giorno dopo scoppia la rivolta degli immigrati, subito sedata da
padre Giorgio e da Fabio
Basile, del centro sociale Ex Canapificio di Caserta, che mediano con il
questore Carmelo
Casabona. Il ministro Maroni manda i militari a presidiare il territorio, la
stampa parla di
regolamento di conti fra bande rivali - ma nessuna delle vittime era collegata
ai clan - mentre
Poletti, e anche Roberto Saviano, avanza altre ipotesi, legate ai progetti di
riqualificazione del
litorale domizio: «Arriveranno tanti soldi che fanno gola a molti - spiega - Il
traffico e lo spaccio di
droga muovono molto denaro, ma anche questi programmi sono un grande affare per
la criminalità
e per i potentati economici. Se la camorra e alcuni imprenditori puntano alla
riqualificazione della
Domiziana per fare soldi e gli immigrati sono considerati un ostacolo, allora i
soldati dei clan
sparano e uccidono per intimidirli e farli allontanare». Ancora un intreccio:
camorra, politica e
imprenditoria. «Chi comanda a Castel Volturno? La camorra, l'amministrazione
comunale, o i
Coppola?» - la potente famiglia di costruttori edili (la cui rampolla,
Cristiana, è ora vicepresidente
di Confindustria), che a Castel Volturno costruirono un mega complesso
residenziale abusivo, il
Villaggio Coppola Pinetamare, ora demolito: 8 palazzoni a pochi passi dal mare
su una superficie di
800mila metri quadrati prima occupata da una bellissima pineta -, chiedeva la
prima domanda di un
provocatorio questionario distribuito anni fa ai cittadini insieme a Black
and White, il giornale dei
comboniani di Castel Volturno.
Poco più di un anno fa, il violento sgombero dell'American
Palace,
dove vivevano un centinaio di immigrati. «Un'operazione spinta, probabilmente,
dagli interessi tesi
a ridurre la presenza degli immigrati, magari per lasciare il posto ad una nuova
speculazione
edilizia», denunciano i centri sociali. E Poletti, insieme ai sacramentini di
Caserta: gli immigrati
«sono neri, poveri e cercano di sopravvivere in un mondo dove li si vuole
'buttare a mare'. È una
storia vecchia che si ripete quando si intravede il denaro, e in futuro ne
arriverà molto per la
realizzazione delle opere dell'accordo di programma», ovvero «il nuovo
impero dei Coppola, che
dopo aver distrutto l'ambiente, ora dovrebbero ricostruirlo».
Sei mesi fa l'iniziativa contro il pacchetto sicurezza partita da Castel
Volturno e realizzata in tutta
Italia: la distribuzione nelle piazze dei «permessi di soggiorno in nome di
Dio». «In un mondo che
non riconosce dignità e possibilità di vita agli immigrati che vengono a
chiedere le briciole al lauto
banchetto dell'Europa», spiega Poletti, «noi diciamo che Dio è dalla loro
parte e chiama noi alla
conversione, all'accoglienza e alla condivisione. Il Vangelo, che troppo spesso
abbiamo
anestetizzato e reso insignificante, ci porta a questa scelta». «Nel
Paese è in atto una vera e propria
offensiva contro gli immigrati, basta vedere quello che è successo a Rosarno
pochi giorni fa aggiunge
- Le forze dell'ordine (guidate ancora dal questore Casabona, trasferito a
Reggio, ndr), che
hanno difeso gli immigrati, in realtà li hanno mandati via da Rosarno: significa
difendere i loro
diritti? Il punto di partenza di questa aggressione generale è l'approvazione
del pacchetto sicurezza:
l'immigrazione clandestina è diventata un reato, e vogliono portare avanti
questa politica».
Da Rosarno, molti sono tornati a Castel Volturno, da dove erano partiti alla
volta della Calabria alla
ricerca di lavoro. «A Castel Volturno non c'è nessuna emergenza dovuta al
sovraffollamento, sono
solo tornati quelli che già c'erano», dicono oggi i comboniani che, anche senza
padre Giorgio,
continuano le attività e le battaglia per i diritti: bisogna «estendere la
regolarizzazione a tutti i
lavoratori a cominciare dai braccianti agricoli, recepire la direttiva europea
che consente al
lavoratore sfruttato e senza permesso di soggiorno di denunciare il suo datore
di lavoro e ottenere
così il documento» e «smettere di rinchiudere nei Cie lavoratori senza permesso
di soggiorno».
E Poletti, che farà? «Starò fermo per un periodo, poi vedremo. Vorrei continuare
a lavorare con gli
immigrati, anche se non più a Castel Volturno».
Luca Kocci il manifesto 30 gennaio 2010