Un premier sotto ricatto e una suburra di Stato
Le eventuali dimissioni di Berlusconi dipenderanno dal suo senso di
responsabilità e dalle pressioni che riceverà all´interno del governo e del
partito
La domanda che milioni di persone sempre più disgustate si pongono è ormai
martellante: quanto durerà questo sconcio? Come si uscirà da questo pantano?
Attorno al premier l´aria si fa sempre più viziata e rarefatta. Lo scollamento
all´interno del suo gruppo dirigente è ormai visibile. Il distacco di settori
consistenti del suo elettorato è anch´esso palese e lo ha certificato due giorni
fa Gianfranco Fini quando ha detto che il governo è stabile ma cresce
l´indifferenza e la sfiducia del corpo elettorale nei confronti della politica,
aggiungendo che questo fenomeno rappresenta un pericolo molto serio per la
democrazia.
Aumenta anche in modo esponenziale lo stupore dell´opinione pubblica
internazionale e dei governi alleati in Europa e in America. Mai il prestigio
del nostro paese nel mondo aveva raggiunto un così infimo livello.
Finora i "supporters" del Capo si rifugiavano nella condanna del "gossip",
ma ormai anche questo esorcismo è caduto. Anzitutto perché la vita d´un capo di
governo non consente distinzioni tra la sfera pubblica e quella privata. Poi
perché è stato lo stesso interessato a pubblicizzare il preteso "gossip".
Infine perché si è creata una situazione che ormai non è più oltre accettabile:
il premier è ricattabile e ricattato e lo sarà sempre di più perché sono decine
se non addirittura centinaia i potenziali ricattatori.
Un capo di governo nelle mani di ricattatori non può avere una vita politica
lunga perché non può usare lo Stato e le sue istituzioni per soddisfare i
ricattatori senza ampliare a dismisura il numero delle persone "informate dei
fatti" e necessariamente coinvolte e compromesse nei fatti stessi.
Queste persone cominceranno a fargli il vuoto intorno, per ragioni di onestà
personale o di salvaguardia a tutela della propria onorabilità.
Per opporsi a questa deriva che è già in atto il premier cercherà e sta già
cercando di blindare la situazione, intimidire i possibili testimoni, mobilitare
servizi segreti e polizie private allo scopo di rovesciare sui suoi accusatori
la stessa quota di melma nella quale è lui che sta affondando. Se i palazzi e le
ville di Stato sono diventate una suburra, la stessa sorte rischia di
diffondersi a una società deturpata dalla corruzione.
La domanda che milioni di persone sempre più attonite e disgustate si pongono è
ormai martellante e te la senti fare agli angoli delle strade, nelle centinaia
di migliaia di lettere che "Internet" rovescia sui tavoli delle redazioni:
quanto durerà questo sconcio? Come si uscirà da questo pantano?
C´è un passaparola assordante come un rombo di cannone, per usare le parole del
Don Basilio del "Barbiere di Siviglia", e non c´è avvocato Ghedini che possa
silenziarlo. Del resto gli stessi Gasparri, Cicchitto, Bondi, Bocchino, hanno
smesso di ripetere i loro esorcismi. Ognuno dei potenti comincia a pensare a sé,
a prepararsi una via di ritirata e di fuga.
* * *
Molti pretesti fin qui usati e ripetuti come giaculatorie stanno cadendo come
foglie secche a cominciare da quello contro le toghe rosse. Non sono certo toghe
rosse i magistrati della Procura di Bari, che avevano cominciato la loro
inchiesta sulla sanità regionale pugliese, una Regione governata dal
centrosinistra.
Strada facendo l´inchiesta si è imbattuta in Giampaolo Tarantini e, senza
abbandonare il filone iniziale, altri filoni si sono aperti ed altri reati sono
stati ipotizzati. Che cosa dovevano fare quei magistrati? Chiudere il coperchio
o adempiere al loro dovere di titolari della pubblica accusa?
Resta l´intimidazione contro i giornali e i giornalisti, "vil razza dannata". Ma
non tiene più neanche quella. Che cosa doveva fare il direttore del "Corriere
della Sera", Ferruccio De Bortoli, di fronte alle dichiarazioni di Patrizia
D´Addario e alla documentazione da lei esibita? Non pubblicare nulla e buttare
tutto nel cestino? Ha fatto il suo dovere facendo cadere il suo pregiudizio
contro un "gossip" che non è mai stato un semplice pettegolezzo ma, fin dal
primo momento, una questione pubblica come noi l´abbiamo sempre ravvisata.
L´avvocato Ghedini vorrebbe ora, in nome e per conto del suo cliente, che il
silenzio tombale sulle intercettazioni e sui processi penali in fase istruttoria
fosse reso retroattivo e quindi esteso all´inchiesta della Procura di Bari. Una
retroattività chiaramente incostituzionale che probabilmente non avrebbe una
maggioranza neppure in un Parlamento dominato dal governo attuale e tanto meno
la firma di promulgazione del capo dello Stato.
Il problema è a questo punto di una chiarezza elementare: un premier sotto
ricatto che deve provare (provare, non affermare soltanto) che i fatti non sono
quelli raccontati e provati dai suoi ricattatori; una vita privata del capo del
governo costellata da stravizi, alimentata da una corte di ruffiani e gestita da
persone ricompensate con scranni in Parlamento a Roma e a Strasburgo, che
deturpa l´immagine dello Stato e del Paese e non può più oltre essere
sopportata.
Se ne sono resi conto perfino Giuliano Ferrara sul "Foglio" e Giampiero Mughini
su "Libero". Una sprovveduta parlamentare di centrodestra, in una sua lettera al
"Corriere della Sera", è arrivata ad esaltare Lucio Sergio Catilina e l´ha
paragonato a Silvio Berlusconi. La sprovveduta sa molto poco di Catilina,
incallito debitore e uomo d´avventura, compromesso con le peggiori bande di
eversori ed eversore egli stesso delle strutture della Res publica.
L´avventura di Catilina arrivò alla ribellione armata contro i Consoli e il
Senato, ma è vero che una volta imboccata quella via senza ritorno Catilina si
batté con coraggio e perse la vita sul campo di battaglia.
È questo lo sbocco che la sprovveduta prevede e la parte che assegna a Silvio
Berlusconi? Un caimano che porta le sue truppe all´incendio della piazza e delle
istituzioni? Sono questi i consiglieri del premier, "utilizzatore finale" di
prostitute in una stanza dalla cui finestra presidenziale sventola il tricolore?
* * *
E´ legittimo tuttavia porsi il problema d´uno sbocco politico che tenga conto
delle norme e delle consuetudini che regolano il sistema e sul rispetto delle
quali vigila il presidente della Repubblica.
In caso di dimissioni del premier, anche se accompagnate dalla sua richiesta di
scioglimento delle Camere, spetta al capo dello Stato di esaminare la
possibilità che la maggioranza esistente esprima un altro premier o che si possa
formare in Parlamento un´altra maggioranza. Solo nel caso che entrambe le
possibilità si rivelino impraticabili il capo dello Stato procede allo
scioglimento. In tal caso è possibile che il Quirinale designi una figura
istituzionale che conduca il paese alle urne.
Nel caso specifico la figura istituzionale si può ravvisare nel presidente della
Camera, che assomma in sé un duplice requisito: è la terza carica dello Stato ed
è anche il co-fondatore, insieme a Berlusconi, del partito di maggioranza
relativa. Può dunque essere incaricato di portare il paese al voto immediato o
anche di portarcelo dopo avere adempiuto ad altre gravissime emergenze connesse
con la crisi recessiva che non consente pausa nella gestione della politica
economica.
Ma resta la domanda: si dimetterà Berlusconi?
Dipende dal suo senso di responsabilità – che a questo punto sembra piuttosto
scarso e soffocato da un vero e proprio titanismo patologico – e dalle pressioni
che il gruppo dirigente nel governo e nel partito vorrà esercitare su di lui.
Il paragone con il 25 luglio del 1943 è forzato. C´era una guerra già perduta,
l´esercito anglo-americano già sbarcato in Sicilia, quello nazista largamente
presente sul territorio, bombardamenti e rovine dovunque.
Qui si tratta invece di una suburra, di banchetti da Trimalcione, di un
capo di governo ricattabile e ricattato, d´un rischio di avventura quanto mai
incombente, d´un sistema di potere esteso e colluso. Basso impero senza impero,
Vitellio o Eliogabalo, non Catilina.
Per certi aspetti stiamo molto meglio del 25 luglio, per altri purtroppo stiamo
peggio.
Eugenio Scalfari
Repubblica 21.6.09