Un Papa poco sobrio

 

Anch'io   credo,   come   conclude   “l'opinione”   di   Tonino   Perna   sul   numero   di   febbraio   che

Altreconomia sia la sede giusta per un grande dibattito sulla necessità di una “conversione di massa,

una rivoluzione culturale, una presa di coscienza collettiva”. E ciò per “far crescere un nuovo

modello   di   organizzazione   economica   capace   di   servire   la   gente   nel   rispetto   dell'equità   e   del

pianeta,   e   non   gli   interessi   dei   mercanti”,   come   bene   precisa   Francuccio   Gesualdi   a   chiusura

dell'“opinione” del numero successivo. Non riesco tuttavia a capire come Perna arrivi a leggere in

alcune fra le più recenti sortite di papa Ratzinger una spinta verso l'obiettivo altreconomico; e

addirittura  se  ne  conforti,  trascrivendosene  le  frasi  a   suo  parere   più  significative  e   consolanti:

“...preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti” perché è “ormai

evidente   che   solo   adottando   uno   stile   di   vita   sobrio,   accompagnato   dall'impegno   per   un'equa

distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo più giusto”, Frasi che,

osserva giustamente Perna, potrebbero essere “tranquillamente sottoscritte da Francuccio Gesualdi,

o Wolfgang Sachs, o anche dal padre della 'decrescita' Serge Latouche”. E anch'io le sottoscrivo ma

dopo aver “tranquillamente” scorporato il condiviso messaggio dalla persona del suo discutibile

mittente. Il quale non è soltanto, come lo definisce lo stesso Perna, “il papa fondamentalista, della

crociata contro l'aborto e l'eutanasia” ma anche quello che per impartirci la propria sacrosanta

predica sulla sobrietà nostra ci si presenta vestito a quel modo. Che ogni giorno, e più volte al

giorno,   durante   i   riti   solenni,   cambia   vesti   paramenti   mitre   ricami   addobbi   e   tutti   sempre

scrupolosamente “coordinati” con quelli delle decine quando non centinaia di concelebranti preti

vescovi cardinali e dignitari da cui è assistito e scortato. Un guardaroba lussuoso di capi preziosi

raffinati inamidati, spesso eleganti, qualche volta esagerati fino a fare assomigliare a una scatola di

cioccolatini, e neppure dei migliori, la spianata di piazza San Pietro, le navate della basilica e ogni

altro luogo di incontro e raduno allestito per i suoi viaggi-pellegrinaggio.

Questo mio giudizio, lo so, può venire messo in conto di sordità alle suggestioni delle liturgie

spettacolari.

Di   maleducazione   estetica.   O   di   “allergia   all'odore   d'incenso”:   la   malattia   grossolanamente

diagnosticata a chi non frequenta chiese. Io, non credente né quindi praticante, sono comunque un

cittadino. E da cittadino di uno Stato non confessionale rifiuto il ricatto che quello stesso papa mi fa

quando dichiara, nella stessa sortita, che ricercare “uno stile di vita sobrio” e “un ordine di sviluppo

più giusto” è possibile soltanto se si è sostenuti da “una grande speranza” la quale “può essere solo

dio, e non un dio qualsiasi ma quel Dio che possiede un volto umano” (si auspica abbigliato in

modo più sobrio). Da cittadino, rivendico invece il diritto di impegnarmi in quella ricerca per come

so e posso, sostenuto unicamente dalla mia grande speranza laica e dalla mia coerenza etica.

Infine, lettore-abbonato di Altreconomia da quand'è nata e delle testate che l'han preceduta, vorrei

trovare  nei   prossimi  numeri   il   calcolo  pur  approssimativo  di   quanti  soldi   il  Vaticano  potrebbe

impiegare per contribuire praticamente a “un'equa distribuzione delle ricchezze” se cominciasse ad

adottare “uno stile di vita sobrio” in casa propria. È la tecnica del buon esempio, ragazzi. Non

vogliatemene comunque, e prendetela come un piccolo contributo al grande dibattito sollecitato.

Con un augurio di buon lavoro,

 

Giorgio Pecorini    in “Altreconomia” n.93, aprile 2008

Giorgio Pecorini, Volterra (Pi),  giornalista e autore di molti volumi sulla figura di don Lorenzo 

Milani.

 

 

 

La politica miope e l'opzione militante

 

Caro Tonino, ti ringrazio per aver approfittato dell'intervento del papa per richiamare l'attenzione

sul tema della sobrietà e porre una serie di interrogativi. Un tempo pensavamo che per fare giustizia

su questa Terra bastasse battersi per regole più eque in ambito commerciale e finanziario. Oggi

abbiamo capito che contemporaneamente dobbiamo impegnarci per traghettare le nostre economie

dall'opulenza   alla   sobrietà,   perché   il   pianeta   non   ha   risorse   e   spazi   ambientali   sufficienti   per

garantire a tutte le famiglie del mondo il nostro stesso tenore di vita. Il clima è impazzito, il petrolio

è agli sgoccioli, l'acqua scarseggia, le foreste sono decimate, i mari si stanno svuotando: tutto

questo ci ricorda che le mammelle della Terra si stanno avvizzendo e solo se gli opulenti accettano

di sottoporsi a cura dimagrante gli impoveriti potranno disporre delle risorse necessarie per vivere

più   dignitosamente.   Per   questo   la   sobrietà   non   è   più   un  optional,   ma   una   scelta   obbligata   se

vogliamo   salvare   questo   pianeta   e   questa   umanità.   L'alternativa   è   la   guerra,   il   ritorno   al

colonialismo vecchia maniera, un ecologismo razzista che rivendica un pianeta pulito al servizio di

una  minoranza  che  vive  nel  privilegio.  Sono certo  che  la  storia  dell'umanità  prossima  ventura

ruoterà tutta attorno alla gestione delle risorse che si fanno sempre più scarse ed è deprimente

constatare quanto questo tema sia ancora lontano dall'agenda dei partiti. Gli scienziati lanciano

grida d'allarme sul clima, i generali fanno tuonare i cannoni sugli ultimi pozzi rimasti, la Fao

denuncia l'insostenibilità dei biocarburanti, ma i nostri partiti si occupano solo di dispute provinciali

in perfetto stile capital-liberista in ambedue gli schieramenti. Come dice Giorgio Ruffolo, i mali del

pianeta   affondano   le   loro   radici   nella  cortomiranza  della   politica,   e   ancora   una   volta   solo   la

militanza potrà salvarci. Ma, sono d'accordo con te, deve giocare bene il suo ruolo. Di sicuro deve

avere chiaro che non basta limitarsi né alle analisi, né agli stili di vita, né alle lotte locali per opporsi

alla Tav o altri progetti scellerati. Tutto ciò è fondamentale, perché consapevolezza, coerenza e

resistenza sono tre ingredienti imprescindibili della politica, ma tutto ciò deve essere associato a un

altro passaggio che se non viene assunto fa perdere significato anche agli altri libelli di impegno.

Questo passaggio si chiama progettazione politica, rispetto alla quale siamo terribilmente indietro,

perché non abbiamo ancora capito che la sobrietà – o decrescita, come altri la chiamano – fa saltare

molti meccanismi di funzionamento di questa economia compresi quelli di rilevanza sociale come

la piena occupazione e la garanzia dei servizi pubblici. Nel mio libro  Sobrietà  mi sforzo di fare

capire queste implicazioni e mi sforzo di richiamare l'urgenza di cominciare a pensare come può

funzionare un'economia che sappia coniugare sobrietà, piena occupazione e servizi fondamentali

per tutti, tanto per usare un vocabolario condiviso, ben sapendo che la nostra rivoluzione dovrà

cominciare dalle parole e dalle categorie concettuali.

Come   creare   occupazione   senza   stimolare   il   consumo?   Come   chiudere   i   settori   inutili   senza

mandare gente a spasso? Come ottenere dallo Stato molti servizi senza obbligare l'economia a

crescere?  Come razionare le risorse scarse e a favore di chi e per che cosa?  Come conciliare

programmazione e partecipazione? Come regolamentare il mercato affinché non entri in rotta di

collisione con l'interesse comune? La gente valuterà la nostra credibilità in base alla nostra capacità

di dare risposte a questi e altri quesiti estremamente concreti. Per questo nel mio libro chiedo di

compiere un grande sforzo progettuale e, per non rimanere nel vago, avanzo anche delle proposte.

Ma a distanza di tre anni devo constatare che non si è innescato alcun dibattito e mi chiedo perché.

Incapacità di sognare? Pigrizia? O più semplicemente mancanza di idee? Qualunque sia la risposta,

una cosa è certa: non possiamo perdere altro tempo perché il collasso è alle porte. Dobbiamo

rimboccarci le maniche e darci da fare su tutti i piani, con il rinnovamento dei comportamenti

individuali, con la lotta per resistere ai progetti più scellerati, con la presenza negli enti locali per

spingere   verso   scelte   innovative   di   transizione,   con   la   partecipazione   in   tutte   le   aggregazioni

possibili per fare crescere un nuovo modello di organizzazione economica pensato per servire la

gente nel rispetto dell'equità, e non gli interessi dei mercanti.


 

  Francesco Gesualdi      in “Altreconomia” n.92, marzo 2008

   

Francesco Gesualdi, allievo di don Milani,   è coordinatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo di Vecchiano (Pisa). In

questa   pagina   risponde   all'intervento   di   Tonino   Perna   che   abbiamo   pubblicato   nel   numero   di

febbraio. Oggetto del dibattito: la necessità di pensare alla sobrietà e a una progettazione politica

alternativa. “Dalla parte sbagliata del mondo” è il libro-intervista a Gesualdi (curato da Lorenzo

Guadagnucci) fresco di stampa per Altreconomia (www.altreconomia.it/libri)