Un
embrione di clericalismo
Chiesa. Le continue ingerenze del Vaticano si scontrano con le regole
della civiltà democratica. Argomentazioni subdole e fallaci, in un contesto
politico sempre più supino
Dietro alle parole di Jean
Marie Le Menè, membro della Pontificia Accademia per la Vita, secondo cui
“votare a favore di un candidato le cui convinzioni non sono rispettose
dell'embrione costituisce una complicità con l’omicidio di quest’embrione”, ci
sono tutte le classiche perversioni argomentative della retorica vaticana.
Ricostruirle è indispensabile, per smontare un sistema sofisticato quanto
violento di ingerenza nella vita civile.
Innanzitutto, va chiarito un punto: la Chiesa distingue tra le verità di fede,
che riguardano il contenuto della dottrina religiosa per come è rivelata dalla
dogmatica ufficiale, e verità naturali, che sono accessibili per mezzo della
pura ragione; le prime sono vincolanti solo per il gregge cattolico, le altre
valgono per l’intera umanità. Questa distinzione tra fede e ragione, elaborata
dalla scolastica medievale, è stata fondamentale per lo sviluppo del sapere
nell’Occidente cristiano, ma porta con sé tutte le caratteristiche del contesto
in cui è nata. La concezione ecclesiastica della verità naturale, infatti, non
assomiglia per nulla a quella del pensiero moderno, per cui le leggi e le teorie
vanno costruite logicamente e suffragate dall’esperienza, e sono sempre
passibili di verifica e confutazione: al fondo della visione cattolica resta un
principio di gerarchia, per cui esistono delle autorità deputate che decidono
inappellabilmente cosa sia vero e cosa falso. Inoltre, la concezione moderna e
laica prevede una distinzione tra i diversi ordini del discorso, per cui le tesi
scientifiche hanno uno statuto diverso, ad esempio, dalle posizioni etiche: le
prime possono essere dimostrate, le seconde sono molto più opinabili; nulla di
tutto questo per le istituzioni cattoliche, che possono quindi emanare giudizi
morali con assoluta sicurezza.
Questa è la funzione, per l’appunto, della Pontificia Accademia della Vita,
fondata nel 1994 da papa Giovanni Paolo II proprio con lo scopo di decidere, una
volta per tutte, cosa fosse giusto nei sensibilissimi campi della biologia,
della medicina e della genetica. Tutte le tesi ecclesiastiche sull’aborto, le
biotecnologie, la ricerca genetica, ma anche sulla famiglia e la sessualità
vengono da lì, e non dalla Bibbia. Del resto, le posizioni del testo sacro sono
abbastanza diverse da quelle degli studiosi vaticani: basti pensare a Giobbe, 3,
16 (“come l’aborto nascosto, non esisterei, sarei come i feti che non videro la
luce”), Ecclesiaste, 6,4 (“poiché l’aborto nasce invano, se ne va nelle tenebre,
e il suo nome resta coperto di tenebre”) o al salmo 58,8 (“siano essi come
lumaca che si strugge mentre va: come l’aborto d’una donna, non veggano il
sole”) per convincersi che, nella tradizione biblica, quella del feto non è
l’esistenza di una persona, ma una possibilità che può sempre scivolare nel
nulla senza lasciare traccia. I commentatori rabbinici la pensano proprio così,
tanto che l’ebraismo non vieta assolutamente le pratiche abortive né, tanto
meno, la ricerca sugli embrioni.
Quindi, le tesi del Vaticano non attengono alla sfera religiosa, ma sono
costruite a partire da una posizione completamente diversa, del tutto aliena
dalla dimensione della fede. Ora, se è lecito che la Chiesa cattolica possa
vantare tutta l’autorità che vuole nei confronti dei propri fedeli, esattamente
come può fare qualunque altra religione, ed entro gli stessi limiti di rispetto
della legalità laica e democratica, sulla sua facoltà di emettere simili giudizi
pseudorazionali, a partire da presupposti metodologici completamente
incompatibili con la scienza moderna, e per di più arrogandosi il diritto
dell’ultima parola, francamente è lecito qualche dubbio.
Non si tratta più di libertà religiosa, insomma, ma di un’assoluta violazione
delle regole della civiltà democratica: nessuna sede scientifica seria, né,
tanto meno, una pretesa accademia fondata su principi così oscurantisti, può
permettersi di dire cosa sia lecito o meno, dal momento che questa prerogativa
spetta alla sovranità popolare espressa dal potere legislativo esercitato dal
parlamento. Il giochetto dei prelati, a questo punto, appare piuttosto semplice:
si utilizzano le prerogative della libertà religiosa per emettere asserzioni che
non hanno nulla di religioso, e si ricorre alla pretesa autorità morale, che
dovrebbe essere fondata sulla fede e quindi vincolante per i soli cattolici, per
suffragare posizioni che dovrebbero valere per l’intera società.
A questo punto, la risposta da dare a questi signori non può più essere la
confutazione delle loro tesi, dal momento che non hanno nessun diritto ad
esprimerle in questi termini. Sarebbe più opportuno reagire con un’analoga
invasione di campo, ad esempio un disegno di legge sulla transustanziazione o un
referendum sul sacerdozio femminile.
Nane Cantatore AprileOnLine.Info n.113 del 02/03/2006