UN DISPREZZO ANTICRISTIANO
 

C'è dramma e orgoglio nel discorso con cui il presidente del Senato ha aperto il meeting di Rimini, e capisco che quel drammatico orgoglio (l'appello a difendere la nostra civiltà anche con la forza, prima che sia tardi) abbia sedotto la platea di giovani, che hanno applaudito 34 volte.

Ma è un discorso anticristiano e antidemocratico. Marcello Pera applica un sistema in cui la religione fa da guida alla politica, indica il bene, e se lo scontro è tra bene e democrazia non ci possono essere dubbi.

Nel rapporto con i miserabili del pia-neta che entrano in casa nostra deve inserirsi la reciprocità: "Se l'altro non concede la reciprocità del rispetto e ci dichiara guerra, alla fine ci difendiamo (anche) con la forza delle armi". Una buona parte dell'opinione pubblica, non solo del Meeting, la pensa così. Ma è la parte non-cristiana, non-credente, e vorrei dire (spiegherò subito in che senso) non democratica. Ho parlato del problema della reciprocità con un vescovo cattolico. Questo vescovo, quando gli islamici immigrati nella sua diocesi chiedevano di avere una moschea, si diede da fare perché l'ottenessero. Ora la moschea c'è, anzi ce n'è più d'una. Quel vescovo era una specie di ministro degli esteri della Chiesa Cattolica, cioè sovrin-tendeva e visitava le missioni nel mondo. Una volta si reca a una missione lontana e l'aereo deve fare scalo in un paese islamico. Uno scalo tecnico, un pieno di benzina. Nessun passeggero usciva e nessuno saliva. Ma per il solo fatto che l'aereo toccava terra in un paese islamico, il comandante avvertì tutti: "Saliranno le guardie islamiche, a controllare che nessuno abbia qualcosa che contrasti col Corano. Lei signora si copra. E lei - chiese al vescovo - cosa sta leggendo?". Risposta: "Sono un vescovo cattolico, sto leggendo il Vangelo". Il comandante si spaventò: "Ma come, ha portato un Vangelo? E adesso, dove lo nascondiamo? Se lo trovano, non partiamo più". Al ritorno ho intervistato il vescovo: "Concederebbe ancora la moschea nella sua diocesi, o pretenderebbe la reciprocità?". Rispose: "Se uno viene qui da un paese dove non c'è libertà di parola, dovremo impedirgli di parlare finché non crolla la dittatura?".

È una risposta cristiana e democratica. Noi dobbiamo fare il bene non perché lo fanno gli altri, ma perché è giusto farlo. Il bene è un assoluto. Sottoporlo alla politica significa relativizzarlo. Il modo in cui Pera imposta il rapporto con gli altri (figli di un'altra storia e di un'altra civiltà, riassunte in un'altra religione) è stato ben riassunto da un giovane ascoltatore: "Tutti gli uomini hanno pari dignità e sono figli di un Dio, con la differenza che il nostro Dio è quello vero". Su questa base l'unica integrazione possibile è la conversione o l'assimilazione. "O ci impegniamo - dice Pera - a integrare gli altri facendoli diven-tare cittadini della nostra civiltà, con la nostra educazione, la nostra lingua, la conoscenza della nostra storia, la condi-visione dei nostri principi e valori, o al-trimenti la battaglia dell'integrazione è perduta". L'Europa si sta disponendo alla sconfitta. Non ha voluto mettere nella Costituzione il richiamo alle "radici cristiane", e la mancanza di quel cenno fa della Costituzione un atto di viltà (su questo punto chi scrive questo articolo è d'accordo: se i costituenti hanno lasciato quella lacuna per tener aperta l'Europa agli stati che entreranno domani, Turchia, Tunisia, Israele, può darsi che diano una nuova patria a quei cittadini, ma tolgono agli europei la patria che credevano di avere da migliaia d'anni).

Pera ha però un'idea "pura", "intatta" e "originaria" della nostra civiltà, che ha il dovere di conservarsi fedele a una tradizione che viene "dal Sinai, dal Golgota e dall'Acropoli greca". Mi domando se questa sia "una" tradizione o non piuttosto il risultato di tradizioni diverse e opposte, ossia, per usare proprio il termine che il presidente del senato pronuncia con tanto ribrezzo, un "meticciato".

C'è già stato un periodo in cui l'Europa cristiana diceva alle minoranza religiose: "Potete vivere in mezzo a noi, a patto che diventiate come noi". E successivamente: "Non siete diventati come noi, andate a vivere separati". E infine: "Non siete come noi, non avete diritto di vivere da nessuna parte". Per impedire la terza fase, bisognava impedire la prima.

  di Ferdinando Camon    l'Unità, 23 agosto 2005