UN DISEGNO POCO INTELLIGENTE



Ma per fortuna di noi peggioristi papa Ratzinger sta rimettendo le cose a posto: dopo aver accantonato le aperture wojtyliane, sembra aver sposato il Disegno intelligente (Intelligent Design). In effetti, l’idea di adottare una teoria che salva capra e cavoli – selezione naturale e progetto divino, scienza e fede – poteva apparire una bella pensata. Anzi, poteva apparire addirittura una strada obbligata per la Chiesa cattolica: che non può rinunciare al Creatore senza perdere, per dir così, la sua ragione sociale. E invece bella pensata e/o strada obbligata si stanno rivelando un autentico boomerang: per la gioia di noi peggioristi. Il problema non è solo, come ha mostrato Richard Dawkins nel suo bellissimo L’illusione di Dio (Milano, Mondadori, 2007), che il Disegno intelligente solleva più problemi di qualsiasi tipo di evoluzionismo: questo deve solo spiegare l’evoluzione, mentre il Disegno intelligente dovrebbe spiegare la stessa evoluzione più l’ingegnere che l’avrebbe progettata. Il vero problema è che le manovre di Benedetto XVI contro l’evoluzionismo stanno rivelando preoccupanti analogie con quelle di Urbano VIII contro il sistema copernicano, ricostruite da Egidio Festa nel suo recente Galileo. La lotta per la scienza (Roma-Bari, Laterza, 2007).

Anche nel Seicento la Chiesa cattolica dovette fare i conti con una teoria scientifica per lei ancora più imbarazzante dell’evoluzionismo – il sistema copernicano –e reagì in modo simile, anzi un po’ più sofisticato. Il cardinale Barberini, futuro papa Urbano VIII, appena capì che il sistema tolemaico era indifendibile, suggerì a Galileo una via d’uscita più brillante che combinare Tolomeo e Copernico: come invece la Chiesa di oggi sta cercando di fare con evoluzionismo e creazionismo. Galileo avrebbe dovuto ammettere – con tre secoli di anticipo su Karl Popper – che nessuna teoria scientifica possa mai dirsi vera: a differenza, naturalmente, dei dogmi della fede. L’operazione non riuscì per un pelo: Galileo si rifiutò, e l’Inquisizione dovette costringerlo all’abiura.

Oggi, quattro secoli dopo, la Chiesa cattolica ci riprova: ma, verrebbe da dire, senza più disporre di un Urbano VIII. Come hanno mostrato Orlando Franceschelli e Telmo Pievani (L’outing di Ratzinger contro il darwinismo, in “Micromega”, 5, 2007), la linea è stata dettata nel 2004 dallo stesso Ratzinger, allora Presidente della Commissione teologica internazionale: una scienza che neghi l’intervento divino nell’evoluzione sarebbe solo ideologia. Dunque, nessuna evoluzione senza creazione; e anche se prima o poi il Disegno intelligente si rivelerà un pastrocchio metafisico, nel frattempo sarà servito a intorbidire le acque, comunicando la sensazione che la scienza, dopotutto, non sia più credibile della teologia. Ed è per questo che noi peggioristi siamo – per così dire – al settimo cielo: le gerarchie vaticane lavorano per noi, spianando autostrade ad ateismo e anticlericalismo. I parziali successi che la Chiesa potrà vantare – come l’espulsione dell’evoluzionismo dai programmi scolastici, tentata sotto il ministro Moratti – si riveleranno altrettante vittorie di Pirro: la teologia non può vincere contro la scienza sul terreno scientifico. Qualsiasi sano miscredente alla Dawkins potrà sempre replicare che non è rimasta alcuna regione dell’universo fisico, raggiungibile un giorno dagli astronauti, in cui Dio possa rifugiarsi.

Una sola cosa, a questo punto, può impedire la guerra fra teologi e scienziati e il trionfo del peggiorismo: che la Chiesa cattolica, in un soprassalto di onestà intellettuale, riconosca l’incommensurabilità di scienza e fede. Scienziati e teologi, in realtà, non hanno proprio nulla da discutere: spiegare il mondo è compito della sola scienza. La religione conserva uno spazio solo se accetta un altro compito: attribuire un senso al mondo spiegato dalla scienza.


 

Mauro Barberis       Critica liberale n. 141-142