Un Bertinotti laico e di governo
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Già sapevamo che il primo quotidiano che Fausto Bertinotti sfoglia la mattina è "l'Osservatore Romano". Quindi, non abbiamo fatto un salto sulla sedia quando abbiamo letto il titolo della sua intervista al "Corriere della Sera" di ieri: "Concordato e 8 mille non vanno cambiati". Da questo punto di vista, il segretario di Rifondazione interpreta al meglio una certa tradizione del comunismo italiano che ha sempre guardato con rispetto all'altra sponda del Tevere (anche se il Pci più di una volta ha mostrato una certa subalternità nei confronti di chi – fin dalla breccia di Porta Pia – non vuole che in Italia si radichi uno Stato aconfessionale e laico). A colpire, invece, dell'intervista di ieri è il tono pacato, serioso, estremamente governativo che conferma come Bertinotti non abbia intenzione di offrire pretesti per smontare la sua leale partecipazione all'Unione di centrosinistra. Questa vocazione unitaria, che è davvero una svolta a 360 gradi rispetto al Bertinotti del 1994 o del 1998 o del 2001, finisce però per lasciare in qualche punto dubbiosi. Innanzitutto per la contestualizzazione del rapporto con la Conferenza episcopale italiana (Cei). Il leader del Prc fa bene a ricordare che il cardinale Ruini ha tutto il diritto di dire la sua su temi come il divorzio o l'aborto per indicare quale "per lui è la retta via". Il problema, però, non è questo. Quanto piuttosto quello di una ripetuta ingerenza – dal referendum sulla fecondazione assistita in poi – del Vaticano sulla politica italiana. E qui l'elenco sarebbe davvero lungo, anche se qualche volta (è il caso di ieri con la nota vaticana che prende le distanze dalla "devolution" fatta approvare dal governo in fretta e furia) certe esternazioni possono piacere al centrosinistra. Siamo sicuri che a Bertinotti non sfugge che al di là delle polemiche spicciole, dietro quell'interventismo c'è la questione del "relativismo" che preoccupa smisuratamente Benedetto XVI. E cioè la non accettazione che il mondo moderno sia fatto di culture, religioni, stili di vita e principi plurali. Di qui la giusta e auspicabile competizione culturale tra una visione laica del vivere e un'altra che sembra guardare con nostalgia al tempo in cui era la Chiesa di Roma a dettare legge con editti e scomuniche. Da questo punto di vista, bisognerà attendere la prima Enciclica del nuovo Papa per avere conferma di questo forte tratto che sembra predominare nel suo magistero. Nel merito, è certo – come dice Bertinotti – che la revisione del Concordato "non è una priorità", a differenza di quello che pensano per problemi di spazio elettorale Enrico Boselli e Marco Pannella (in ogni caso, loro stanno andando ad occupare un ruolo lasciato sguarnito da Ds e Margherita). Come ha ragione quando dice che forse invece di togliere i crocefissi dalle scuole e dai luoghi pubblici sarebbe meglio aggiungere altri segni di altre fedi per riconoscere il carattere multireligioso della società italiana. In un ultimo punto affrontato dall'intervista (il credere o non credere), il segretario di Rifondazione dà una raffinata risposta: "Mi ritengo un non credente, non mi definirei adesso un ateo. Ma è bene che la dimensione religiosa privata dei politici resti tale... La mia ricerca ha comunque come centro l'uomo... Per me la domanda di fondo resta quella: l'uomo. E' inevitabilmente sfiora la sfera di Dio". Questa visione della religiosità rende Bertinotti molto vicino a Pietro Ingrao, quando quest'ultimo parla di "necessità dell'insondabile rapporto con l'altro da sé", ma anche a Pier Paolo Pasolini. L'autore di "Lettere luterane" che ci ha dimostrato che si può essere religiosi e laici allo stesso tempo, mentre – di solito – i religiosi non sanno essere laici. |
da www.aprileonline.info N° 52 del 18/11/2005