Un altro scisma
Una successione di decisioni e di documenti romani hanno messo in luce
orientamenti
fondamentali della Roma di Benedetto XVI. Molti cristiani si pongono domande le
cui risposte, purtroppo, sono evidenti.
L'Istituto del Buon Pastore, a Bordeaux, è stato eretto senza che i vescovi
francesi abbiano
partecipato alla decisione. Che significa la parola "collegialità"?
Se questa creazione avesse per unico scopo, come si ripete, l'offerta
dell'unità, perché aver
permesso a questo Istituto di aprire seminari? Questa autorizzazione mostra bene
che c'è una
strategia di restaurazione e di promozione di un clero profondamente segnato
dalle posizioni dottrinali – il rifiuto delle decisioni capitali del Concilio –
di Monsignor Lefebvre. In effetti questa autorizzazione romana è un'opzione per
il ritorno verso un cattolicesimo chiuso su se
stesso, ben lontano dall'aggiornamento conciliare. L'opinione pubblica, anche
poco informata,
sente bene che la Chiesa "ritorna indietro".
I vescovi non hanno affatto manifestato il loro imbarazzo, ancor meno il loro
disaccordo. Il
Papa ha un bel loro scrivere che la loro "autorità" è intatta: il Motu Proprio
mostra che essi non hanno piú il potere di autorizzare o no la celebrazione
della messa in latino; il ricorso alla commissione Ecclesia Dei permetterà
ricatti e pressioni. La centralizzazione e il potere romano hanno appena fatto
un passo in piú nella loro marcia secolare verso il monopoliodelle decisioni. La
retorica della "comunione" non è piú che parole? Un vescovo
recentemente promosso, replicava in luglio a dei preti che gli dicevano il loro
turbamento:
«Siete gallicani!». Bella scappatoia!
La manovra romana vuole, si dice, ridurre o sedurre lo scisma lefebvrista. Ma
gli dà una voce
critica per l'interpretazione del Concilio e possibilità di accrescere la sua
influenza con un
clero tradizionalista piú numeroso. Come non constatare che Roma condivide molto
efficaci: hanno dato un'importanza spropositata a quella corrente, hanno
sfruttato generalizzandoli indebitamente gli abusi che avevano potuto prodursi
talora in certe celebrazioni.
Perché Roma non ha inviato persone per apprezzare tante belle liturgie nelle
lingue dei diversi Paesi? Qui ancóra, impossibile non constatare che i circoli
romani maggioritari condividono le opzioni della corrente tradizionalista.
L'identificazione della tradizione con la liturgia di Pio V (che i papi dei
secoli seguenti già modificarono) fa mostra di un'ignoranza volontaria della
vera Tradizione che ha conosciuto varie esperienze e importanti evoluzioni dalle
origini.Un solo esempio basta per mostrare a qual
punto questa pretesa di ricostruire "la tradizione" occulti la storia: la
resistenza dei tradizionalisti dell'epoca, condotta da Ippolito, all'inizio del
terzo secolo, quando il papa volle introdurre il latino nelle celebrazioni,
perché la popolazione di Roma non parlava piú ilgreco!...
Una volta di piú, dopo la conferenza di Ratisbona e le parole rivolte agli
Indiani in
Brasile, bisogna ben constatare che Benedetto XVI, in nome della "sua" teologia,
non
tiene conto della storia. Il suo timore ossessivo del relativismo contribuisce a
chiuderlo
in una visione dottrinale irrigidita. Come se la presa in considerazione dei
contesti
storici fosse rovinosa per l'accoglienza dell'Assoluto...
La sua concezione "sacrale" della liturgia è strana e molto lontana dalla
creatività liturgica
dei primi secoli cristiani. Perché il "sacro" è salvaguardato quando il
celebrante volta la
schiena all'assemblea che è, secondo San Paolo, "il corpo di Cristo"?
Dopo il "Buon Pastore" e il "Motu Proprio", ci sono state le risposte della
Congregazione
della Dottrina della Fede. Si resta confusi davanti alla sufficienza di questi
testi e la
qualifica data alle altre confessioni cristiane, "vittime di deficienze". Come
se la Chiesa romana
fosse stata e fosse, lei, senza deficienze! I canonisti diranno che è un
linguaggio particolare
che non ostacola il dialogo ecumenico. Come non ne soffrirebbe?
Bisogna far scisma per essere presi in considerazione dalle istanze romane
invaghite di unità?
In realtà, Benedetto XVI, il Cardinal Hoyos e altri dignitari romani condividono
in larga
misura gli orientamenti dei tradizionalisti e la loro visione della Chiesa e del
cattolicesimo. Si
pongono questioni fondamentali: abbiamo lo stesso Gesú? lo stesso Dio?
L'interpretazione del
Concilio, in "continuità", senza rottura, non tende a svuotarlo di ogni novità,
di ogni revisione
degli atteggiamenti del passato?
Un altro scisma è in corso, ma questo non preoccupa affatto Roma. È quello di
molti cristiani che
se ne vanno senza rumore, di molti preti che prendono distanza interiore in
rapporto al
magistero romano e ai loro responsabili gerarchici silenziosi. Questo scisma è
provocato dai
responsabili di una Chiesa che rimane impastoiata in un passato idealizzato e
che non accetta
affatto un mondo, culture, valori, aspirazioni nuove apparsi da qualche secolo.
Ci fu la
stupefacente apertura conciliare...
L'accesso al conservatorismo a cui assistiamo e di cui soffriamo è un episodio
supplementare, temibile, della contrazione di Roma sul potere e le prerogative
ch'essa si è
data nel corso dei secoli. Molte donne e uomini mormoreranno nelle loro
coscienze: "Addio,
Chiesa...". Essi portano e porteranno la luce e lo slancio del Vangelo nel loro
cuore e nella loro vita senza aver ricorso a questa Chiesa.
Possano essi, prendendo le loro distanze, conservare lo sguardo fisso su Gesú...
Gérard Bessière Il Gallo
n. 685 del giugno 2008 ( mensile della Comunità IL GALLO di Genova)