Tutti i burqa che
rivelano l’Europa
In Francia la “liberté” è una religione, sicché i ventilati divieti verso
(presunti) simboli confessionali fanno più rumore che altrove. Ma sono diversi i
paesi europei che riflettono sul velo integrale con animate sessioni
parlamentari e dichiarazioni stampa. L'esito normativo, quasi ovunque, è
peraltro finora vicino allo zero, come del resto lo è la percentuale delle
musulmane che lo portano. A indossare il burqa, ovvero la “maschera”
afgana, o il niqab saudita è infatti un’esigua minoranza, quantificabile
nelle poche migliaia in tutto il Vecchio Continente. E a ben vedere, a dispetto
di preconcetti Fallaci, di minoranza si tratta anche nell’intero universo
musulmano in Asia e Africa, anche perché il Corano suggerisce qualche forma di
velo a fini protettivi e non certo l’oscuramento integrale del mondo femminile.
Più rilevante ancora, l'Islam non è un monolite ideologico, tant’è che, mentre
l'Europa è arrivata a realizzare in passato un “Sacro Impero”, nessun leader
islamico si è mai neppure avvicinato all’utopia di un Califfato unitario. A
essere divisi sul burqa sono quindi anzitutto i musulmani, con una netta
maggioranza degli europei, imam compresi – a cominciare proprio da
francesi e italiani che non disdegnano il divieto, tant’è che lo applicano di
fatto nelle proprie moschee. La “maschera” d’altronde non rivela l’irrompere
dell’Islam bensì la sopravvivenza di alcune tradizioni asiatiche pre-musulmane,
sicché non si capisce perché, fuori da fondamentalismi e speculari islamofobie,
bisogni ancora tirare per la giacca il vecchio Maometto.
E che tale
bisogno sia vano è ribadito dal fatto che molte normative europee – compresa una
legge italiana del ’75 – prevedano già il divieto di coprirsi il volto in luoghi
pubblici sulla base di ragioni di ordine pubblico. “Non basta – spiegano i
concitati discussants – il problema non è solo di difendere la sicurezza
ma anche la nostra identità, a cominciare dall’emancipazione femminile”.
Naturalmente si omette di prender atto che di veli alle donne, seppur non
integrali, l’Europa è stata zeppa e lo è ancora in molte regioni mediterranee. E
men che meno si riflette sui contenuti odierni della presunta emancipazione che,
in alcune carriere (inclusa ora in Italia la politica), impone alle donne
l’obbligo opposto di mostrare il massimo possibile di centimetri di pelle.
Il tema è solo un altro, è l’Islam presunto, a cominciare da quel simbolo che,
in alcuni contesti, è effettivamente strumento di grave oppressione. E se Parigi
ha istituito una commissione parlamentare che ne ha dibattuto per sei mesi con
centinaia di audizioni, raccomandando infine il divieto, il Parlamento olandese
lo aveva proposto già cinque anni fa; ma il governo ha poi deciso di non far
nulla, prendendo atto che il fenomeno è talmente esiguo che una norma suonerebbe
come un’inutile costrizione col rischio di aggravare il conservatorismo
religioso. Per lo stesso motivo la Danimarca ha cestinato il settembre scorso
una bozza analoga. Addirittura il Regno Unito, dopo la “raccomandazione” emessa
in Francia, ha preso le distanze con una nota ufficiale di Downing Street,
che rivendicava: ”Qui siamo a nostro agio con la libera espressione delle
convinzioni, qualunque esse siano”. E anche il Belgio, dove peraltro
alcune amministrazioni locali già richiedono la “visibilità” in alcune strutture
pubbliche, l’ipotesi di generalizzare il no al burqa all’intero spazio esterno
alle mura domestiche suona inconcepibile, non foss’altro per la prossimità con
la Corte europea dei diritti dell’uomo, che potrebbe bocciare la misura,
ritenendola avversa proprio al principio di “libertà”.
Gli schieramenti del dibattito sono trasversali, e se solitamente è la destra a
rilanciare il divieto, in Austria lo ipotizzano i socialisti. Facile previsione:
terminato il periodo elettorale (che coinvolge tra l’altro i francesi come gli
italiani), dei rarissimi burqa d’Europa non si parlerà più.
Alessandro Cisilin il Fatto Quotidiano 30.1.10