Tutti gli esseri umani nascono liberi?

 

La Dichiarazione universale dei diritti umani viene celebrata in questi giorni come un documento internazionale di eccezionale rilievo. Si è trattato d'un importante tentativo di fondare e rendere universali i diritti umani. Il 10 dicembre del 1948 l'Assemblea Generale dell'Onu ha proclamato solennemente che i diritti sono prerogativa assoluta di tutti gli individui, a qualsiasi nazione, cultura o civiltà appartengano. Il primo articolo della Dichiarazione si spinge sino a dichiarare che tutti gli esseri umani «nascono liberi», che sin dalla nascita sono «eguali in dignità e diritti» e che «devono agire verso gli altri in spirito di fratellanza». Si tratta di una assunzione filosofica ispirata all'idealismo etico che si è affermato nel secondo dopoguerra in Europa.
La filosofia universalistica del «diritto naturale», tipica del protestantesimo e del cattolicesimo, è prevalsa enfaticamente su ogni altra dottrina. Il risultato è stato che la Dichiarazione universale non è per nulla universale. Essa impone come doverosa una particolare visione del mondo, impregnata dell'individualismo, del liberalismo e del formalismo giuridico occidentali.
Non è un caso che su questo aspetto si siano scatenate negli anni violente polemiche internazionali. In particolare nella seconda Conferenza delle Nazioni Unite sui diritti umani, del 1993, si sono fronteggiate due concezioni del tutto incompatibili fra loro. Da una parte c'erano le tesi della Dichiarazione universale, con la sua rivendicazione dei diritti individuali, della libertà e della privacy. Dall'altra c'era la posizione di gran parte dei paesi dell'America latina e dei paesi asiatici, con Cuba e la Cina in prima fila. Questi paesi ponevano al centro i «diritti collettivi», ignorati dalla Dichiarazione universale, e in particolare la lotta dei popoli contro la povertà e contro il dominio economico, finanziario e militare dei paesi industriali.
In realtà la Dichiarazione del 1948 ha esercitato e tutt'ora esercita un'influenza minima sulle relazioni internazionali. Essa è stata emanata da un organismo come l'Assemblea Generale che è privo di un effettivo potere normativo. Non a caso il testo della Dichiarazione è strutturato come una proclamazione etico-filosofica priva di sanzioni e di strumenti esecutivi in grado di realizzarla. Per provarne la drammatica inefficacia è sufficiente consultare i rapporti di Amnesty International: oltre due miliardi di persone oggi soffrono per la violazione sistematica dei loro diritti. Il fenomeno è di proporzioni crescenti e interessa un numero elevatissimo di Stati: oltre 150 su circa 200, inclusi tutti gli Stati occidentali. Le violazioni includono una lunga serie di atrocità e di violenze: fra le altre il genocidio, la tortura, la pena di morte, le esecuzioni sommarie, le sparizioni, gli omicidi politici, le violenze sulle donne, la schiavitù, le violenze sui bambini, le esecuzioni capitali di minorenni e di disabili, il trattamento disumano e degradante dei detenuti.
Ma le tragedie del mondo sono soprattutto le guerre di aggressione, la fame e la povertà assoluta, di cui si sono responsabili soprattutto i paesi occidentali, a partire dagli Stati Uniti e dalla Nato. Basti pensare a Guantánamo, ad Abu Ghraib, a Bagram, alle stragi in Iraq e in Afghanistan. E basti pensare, come ha recentemente ricordato Luciano Gallino, che in India, dal 1996 al 2007, si sono suicidati 250 mila contadini, perché oppressi dalla fame e dai debiti. La ragione della loro condizione miserabile è dovuta alle monoculture imposte dalle corporations europee e statunitensi. Ma non nascono uguali tutti gli uomini?

 

Danilo Zolo     Il manifesto 9/12/08