Tutti gli abiti del Cavaliere


Dieci ne pensa, cento ne fa, mille ne mette in mostra con sorprendente ostentazione strategica e funzionale. Così fa effetto vedere il presidentissimo Berlusconi con il fazzoletto da partigiano al collo, sopra l´inconfondibile doppiopetto di Caraceni.
Dice: gliel´hanno messo i veterani della Brigata Maiella, che doveva fare? Niente, doveva; tutto poteva. E dunque: la meraviglia di quella visione, ciò che ancora riesce a stupire del Cavaliere è la naturalezza, la disinvoltura, la soddisfazione, addirittura, con cui ieri esibiva davanti alle telecamere quel glorioso simbolo di sangue e di libertà; lo stesso stato d´animo che ai loro tempi, con qualche titolo, rivelavano Longo, Pertini, Parri, Mattei e poi Taviani. E non per essere irriverenti, né per buttarla in burletta o in commedia – che oltretutto in Italia viene sempre abbastanza naturale – ma a vedere quelle foto un po´ veniva in testa una scenetta di Gene Gnocchi: «Mio papà ha fatto la Resistenza con Forza Italia». E comunque, più in generale: dalla bandana di Portorotondo al fazzoletto partigiano la distanza sembra incolmabile. Attenzione, sembra.
Poi sì, certo, si capisce. Ieri Berlusconi ha anche fatto – dopo tanti neghittosi, fantasiosi, rinunciatari e provocatori 25 aprile – un discorso di apertura, di adesione ai valori della libertà, eccetera. Ma niente più di quell´indizio di stoffa tricolore sulle spalle gli è servita a coronare la svolta. Che poi a veder bene svolta non è, semmai ri-svolta, avendo già pronunciato il Cavaliere nel 2001, a Torino, teatro Carignano, più o meno le stesse cose, gli stessi ricordi famigliari, le stesse calibrate professioni di fede nella Resistenza. Ma senza fazzoletto partigiano, quella volta, per cui per ricordarselo occorre consultare le banche dati; e magari tener conto che al giorno d´oggi la politica, anzi il potere, più che di antiquata e soporifera retorica, vive di segni ottici istantanei, sorprese artificiali, spudorate apparenze. Insomma: ben prima dei conclamati valori ai potenti sta a cuore la conquista dell´attenzione di un pubblico che per giunta è sempre più distratto.
Questo non vuol dire che il presidente del Consiglio abbia ieri tentato di annettersi la Resistenza con una semplice e ipocrita mascherata. E´ che sotto il regime degli spettacoli sono davvero saltati i parametri, e ancora una volta Berlusconi sembra l´unico ad averlo capito, opportunamente sfruttando la novità. Per cui non c´è situazione, né presenza, né iniziativa, né cerimonia che non preveda la possibilità di un cambio di abito, altrimenti detto costume, come pure l´ingresso in scena di accessori a loro modo evocativi, per non dire simbolici.
Con qualche indulgente semplicità, spesso i media rubricano tutto questo sotto la specie del «look» (che è parola corta e funziona bene nei titoli). Ma quando Berlusconi, nei primi giorni del terremoto, per primo si mette in testa il casco da caposquadra dei vigili del fuoco, manda un messaggio visivo fortissimo: quel copricapo segnala il comando, è una specie di corona che si assegna nell´emergenza. C´è da dire che la faccenda si sta intensificando e da qualche tempo, anche a disdoro dei suoi pallidi imitatori, il premier ci dà dentro indossando berretti – serti, ghirlande o diademi che siano – a tutto spiano: da capostazione, per dire, e/o capobanda musicale, e/o carabiniere, pare di ricordare, a parte quello specialissimo Panama, alla messa dei Vip della Costa Smeralda, che secondo Libero sarebbe costato la ragguardevole cifra di 3.500 euri.
Non si vorrebbe qui raffreddare il legittimo entusiasmo dei partigiani della Brigata Maiella, ma nel corso del tempo e delle varie opportunità che gli si paravano innanzi, l´uomo, il personaggio, il presidente, il sovrano, ha sempre offerto una spaventosa vocazione e una mirabolante capacità di trasformismo o travestitismo strategico, da Proteo a Fregoli e ritorno. Via la cravatta (discorso del predellino), maglione sotto la giacca (operativo in Abruzzo), maglione e maniche rimboccate (operativissimo); e ancora, a ritroso: tuta sportiva (però in cashmeer: lui solo così e gli altri alleati tutti acchittati in piena estate), abito di cotone bianco (per spensierati duetti con Apicella), pelliccione eschimese (picnic con Putin), giubbotto militare (per non sfigurare con Bush a Camp David), playboy tipo Toni Manero (con tanto di pendaglio a croce d´oro bianco e cordoncino di caucciù).
Ogni volta una sorpresa da svelare. Anche in privato, vedi quando (luglio 2006) il Cavaliere si nascose dietro il costume da danzatore beduino a Marrakech, recando una collana in dono a Veronica. Ogni volta al di là del bello e del brutto, del vero e del falso. Ma siccome questo non è per certo il teatrino della politica, si azzarderà l´ipotesi che sia il gran teatro del potere. Il quale potere da sempre si distingue, si adatta e si maschera, e Berlusconi lo fa meglio di chiunque altro: così ieri s´è messo pure il fazzoletto partigiano, ma domani  potrebbe mettersi al collo quello che di norma, oramai, non si riesce nemmeno a immaginare – perché il problema, semmai, è crederci o meno.

 

Filippo Ceccarelli     Repubblica 26.4.09