Tutti cattolici se
i laici non parlano
La polemica di Bossi con i vescovi sull’immigrazione. Il distinguo laico sulla
bioetica di Fini, per
inciso l’unico ad ammettere chiaramente di non avere il dono della fede. Il
racconto di Blair della
propria conversione e quello di Chiamparino della sua attrazione per il mondo
cattolico.
Nel giro di pochi giorni, una serie di eventi, solo apparentemente staccati tra
loro, sono venuti a
ricordarci il peso che la Chiesa e i valori di cui è portatrice hanno sulla
società italiana.
Si dirà, che scoperta! Il nostro è un paese cattolico, che anche in tempi di
secolarizzazione «sente»
la presenza del Papa e delle Gerarchie sul proprio territorio, è abituato a
trovare i parroci schierati
sulle frontiere più delicate della società civile e i credenti sul crinale delle
più difficili battaglie di
opinione. Ma il punto è un altro: eravamo abituati, da sempre, a una ripresa
politica di fine estate
affidata alle feste di partito e ai primi duelli stagionali sull’agenda dei
problemi lasciati irrisolti
prima della pausa delle vacanze. E invece, d’improvviso, ci ritroviamo con
il Meeting di Cl che
diventa l’unica area riconosciuta di confronto, nella quale i leader politici si
misurano a partire dai
valori.
Bossi infatti, dopo l’ultima tragedia dell’immigrazione nel mare di Lampedusa,
non se l’è presa con
il governo o con Gheddafi per il mancato rispetto degli accordi. Ma con i
vescovi. E Fini, alla Festa
del Pd, dove peraltro è stato accolto calorosamente e applaudito, ha
accortamente non scelto di
occuparsi di post-fascismo e post-comunismo, ma del diritto della Chiesa ad
intervenire in materia
di bioetica. Né Blair a Rimini, al meeting di Cl, ha ripercorso l’esperienza di
dieci anni di New
Labour al governo del Regno Unito: ha preferito piuttosto parlare della sua
conversione, quasi come
un predicatore, con toni da sermone.
Sull’immigrazione, sulla sicurezza, sulla solidarietà, sulla
giustizia e sul perdono, la Chiesa svolge
da tempo il suo apostolato, così come sulla famiglia e sul diritto alla vita e
su molti altri temi
emergenti. Lo fa senza far sconti a nessuno, senza timore di ritrovarsi contro
il governo o la stessa
opposizione. Ma mai come adesso sono questi argomenti, questi valori,
quest’agenda di punti
qualificanti a definire l’azione politica in Italia.
Non è solo effetto del concetto nuovo di laicità cattolica, che
s’è fatto strada negli anni del lungo
papato woijtiliano, e oggi viene riaffermato con ancora più vigore da Papa
Benedetto XVI. Quel
concetto prevede che la fede sia al centro di ogni ambito della vita umana nella
società. Che i
cattolici parlino a tutti, dovunque, credenti e non credenti, che portino in
ogni momento l’annuncio
del Vangelo.
Non è neppure conseguenza dell’ormai lontana scomparsa della Dc, il grande
partito cattolico che
aveva condizionato per cinquant’anni la Prima Repubblica. La logica
democristiana prevedeva che i
valori venissero canalizzati nella società grazie a una mediazione che tenesse
sempre separato
l’ambito della fede e della cura delle anime, riservato alla Chiesa, da quello,
pubblico, delle
istituzioni in cui i politici cattolici erano presenti. E in cui, certo,
ai cattolici poteva capitare di
contarsi, come accadde sul divorzio e sull’aborto negli Anni Settanta, ma il più
delle volte, invece di
soccombere, di cercare e trovare un compromesso.
In nome di questo metodo, di questa pratica di laicità, De Gasperi negli Anni
Cinquanta non volle
contribuire a Roma alla nascita di una lista di cattolici imposta dal Vaticano.
Fu un rifiuto
clamoroso, storico. E sulla base di questa stessa impostazione, negli Anni
Novanta, Scalfaro,
l’ultimo presidente della Repubblica democristiano, in visita, appena eletto, in
Vaticano, ribadì a
Papa Giovanni Paolo II che il compito dei cattolici impegnati in politica era di
ascoltare la Chiesa,
ma poi di tradurne in pratica l’insegnamento secondo le contingenze politiche e
in piena libertà.
Una libertà che, naturalmente, poteva prevedere momenti di riavvicinamento, ma
anche di
dialettica, e richiedeva, da parte della Gerarchia, il rispetto dei diversi
ambiti e delle conclusioni a
cui il confronto politico doveva arrivare.
C’è una certa differenza tra quell’epoca, ormai lontana, e questa attuale, in
cui può accadere che la
Chiesa, legittimamente, contesti una sentenza del Tar che esclude gli insegnanti
di religione dagli
scrutini scolastici, e il ministro dell’istruzione Gelmini, a nome del governo,
senta il bisogno di
presentare in poche ore ricorso al Consiglio di Stato. Va da sé che la Chiesa è
libera di dire ciò che
vuole su qualsiasi aspetto della vita pubblica e dell’evoluzione della società
italiana. Il problema
non è, o non è più, l’ingerenza della Chiesa in politica. Ma di chi la
subisce perché non ha buoni
argomenti per confrontarsi. L’afasia dei laici, in quest’ambito, è l’altra
faccia della voce dei
cattolici, che, nel tempo mediocre della nostra politica, s’è fatta più forte.
Marcello Sorgi La Stampa 28 agosto 2009
L'anticristo fra
noi
Non fu l'unghia bisulce del Diavolo, ma furono le poppe di Tinì Cansino ad
annunciare la venuta
dell'Anticristo nel Drive In dell'Italia gaudente e volgare degli anni Ottanta.
Comunque si concluda
questo ciclo lunghissimo della vita italiana, dovremo alla fine registrare
il tentativo più massiccio e
riuscito di scristianizzazione della società italiana mai avvenuto nella nostra
storia.
Ma qui non si sta parlando solo dello stile di vita del premier, delle sue
«scostumatezze» e del «gaio
libertinaggio» (in realtà triste e compulsivo) a cui si abbandona: ed è
significativo che solo gli
scandali sessuali abbiano risvegliato sconcerto in una parte della Chiesa,
incapace di vedere quello
che è dietro l'apparenza vistosa, il commercio di corpi, di intelligenze, di
volontà, femminili e
maschili, che è parte integrante di un sistema di disvalori che opera e prevale
da trent'anni.
Il fondo anticristiano del blocco sociale e culturale che domina l'Italia non
può a lungo venire
mascherato dall'ossequio untuoso e ipocrita, tipico di un clericalismo ateo,
alla religione come
fattore di ordine e stabilità, alle battaglie di contenimento e repressione che
parte della Chiesa
giudica «irrinunciabili» sul terreno della bioetica e dei diritti della persona.
Ma emerge da tempo qualcosa che chiama in causa i fondamenti
stessi di una civiltà, che non
dipende da decisioni «storiche» della Chiesa in quanto istituzione (quante
battaglie «irrinunciabili»
della Chiesa dell'Ottocento sono finite giustamente nel dimenticatoio assieme al
Sillabo?) ma
investe il deposito primario e realmente inalienabile del messaggio cristiano.
Su accoglienza ed emigrazione la maggioranza di governo ha espresso, nella
sua cultura quotidiana
ancor più che nelle leggi, quanto di più anticristiano fosse possibile e
ipotizzabile. Le uscite estive
della Lega hanno solo incrudelito qualcosa che era già diffuso e percepibile,
ormai quasi
consuetudinario in una società postcristiana ossessionata solo dai
problemi delle tasse e della
sicurezza.
Per la Lega l'identità cristiana è una tradizione locale come la polenta taragna
o la corsa nei sacchi,
che serve, quando serve, solo a marcare lontananza ed estraneità con quello che
è oltre il piccolo
orizzonte che presidia. Gli sfugge qualunque elemento che richiami alla
misericordia, alla carità e
all'amore del prossimo che è ciò che rende riconoscibile e credibile la sostanza
stessa del
cristianesimo.
È del tutto tipico che si tenti di risolvere il contrasto che sta aprendosi con
contropartite di potere e
vantaggi in favore del Vaticano, sul piano legislativo e normativo, un do
ut des che fa della Chiesa
un Mastella enormemente più grande da compensare e rabbonire. Non è detto
che questo non possa
funzionare nell'immediato: la polemica interna al mondo cattolico testimonia di
uno scontro tra
clericali e democratici ricorrente e abituale negli ultimi decenni. Dove i
cattolici democratici si sono
trovati in questi anni a difendere valori universali della democrazia italiana e
della forma storica che
essa ha assunto nell'esperienza repubblicana: mentre il grosso della sinistra
tentava Bicamerali e
Grandi Riforme, a uomini come Dossetti, Scoppola, Elia, Scalfaro è stata
affidata la difesa della
civiltà costituzionale italiana. Non da soli, ma in posizione
predominante e con coraggiosa
limpidezza.
Ma la partita che si è aperta adesso non riguarda la Chiesa in quanto
istituzione, e neppure il solo
mondo cattolico nel suo complesso, ma l'intera società italiana e la sua
identità più profonda, che
esce snaturata e irriconoscibile da trent'anni di dominio culturale e da
quindici anni di egemonia
politica di questa destra.
Gianpasquale Santomassimo
il manifesto 28 agosto 2009