Tu lavorerai con dolore

Marchionne e Tremonti, con l’imposizione del “modello Pomigliano”, vogliono dimostrare a tutti i costi (costi pesantissimi,
per gli operai) che aveva ragione il vecchio Marx a sostenere che il sistema capitalistico, per massimizzare il profitto, tende a
precipitare il salario del lavoratore al minimo necessario per la mera riproduzione fisica della forza-lavoro. Per dirla in soldoni, a salari
di fame. Qualche operaio, che pure si appresta a subire il diktat di Marchionne, ha detto che saranno condizioni di lavoro “da schiavi”. Si
sbaglia, ma solo perché in Italia ci sono le condizioni di lavoro-schiavitù di Rosarno.
Verso le quali tenderanno comunque le condizioni
di tutti i lavoratori salariati, se verrà interiorizzata – come sempre più avviene anche presso coloro che ne sono vittime – la “sovranità
della globalizzazione”.

La cui logica è semplice: i capitali, nel senso finanziario e degli impianti, possono spostarsi liberamente, e
così anche la forza-lavoro necessaria, ma senza portarsi dietro i diritti e le conquiste, salariali e non, che i lavoratori hanno
ottenuto in un paio di secoli di lotte. In questo modo è lapalissiano che le condizioni dell’operaio italiano si avvicineranno
progressivamente, e con ritmi che diventano sempre più rapidi, a quelle dell’operaio di Shanghai o bene che vada di Bucarest, visto che
il padrone altrimenti trasloca l’intera produzione nei paesi dove il salario è letteralmente da “fame” e i diritti sindacali un miraggio.

Se la “profezia” di Marx risultò clamorosamente sbagliata fu infatti solo perché le lotte dei lavoratori, e dell’opinione pubblica
che le appoggiò, portò i governi a imporre camicie di forza al “capitale” e al grado di plusvalore che potesse essere spremuto
lecitamente dalla forza lavoro. Le otto ore, per dire, la proibizione del lavoro minorile, e poi le condizioni igieniche, di sicurezza, la
tutela dei sindacalisti, fino insomma allo “statuto dei lavoratori”. Il “modello Pomigliano” di tutto questo fa carta straccia (con gli
straordinari ad libitum l’orario vero diventa di oltre nove ore giornaliere). Ma passerà, se continuerà la “guerra tra poveri”,
precari contro occupati, disoccupati contro precari, e tutti contro gli immigrati.
Perché la ricchezza complessiva in Italia continua a
crescere, seppure in modo rallentato, ma cresce a dismisura la sua distribuzione diseguale. Contro questa esplosione del privilegio
dovrebbero unirsi le vittime della crisi, anziché ingrassarne i responsabili dividendosi.

 

Flores d’Arcais    Il fatto Quotidiano 16/6/2010