Triste ma distante
Benedetto XVI è amareggiato. Segue infastidito il verminaio del caso
Feltri-Osservatore e lavora al
suo libro su Gesù. Ma Ferrara sul Foglio minaccia: la decapitazione di Vian è
questione di giorni.
Intanto la Curia vive un clima di disorientamento totale, nave senza
nocchiero in una mefitica
bonaccia. Sembra far parte del destino tragico di questo pontificato il
susseguirsi di tempeste
continue: errori, sviste, conflitti con le grandi religioni, violente polemiche
interne, miserabili risse
dietro le quinte. Nell’ultimo affaire nessuno si assume le sue
responsabilità. Il direttore
dell’Osservatore Romano (e se non lui la Santa Sede) non smentisce accuse
gravissime. Feltri non
porta nessuna prova a sostegno della sua denuncia. L’ex direttore dell’Avvenire
Boffo continua a
non chiarire il perché della condanna per molestie, lasciando che improvvisati
portavoce diffondano
la versione che tace per proteggere una terza persona. Il vero molestatore? I
magistrati di Terni
hanno già escluso pubblicamente che le telefonate di molestie partite dal
cellulare di Boffo siano
state fatte da qualcun altro. In questo groviglio si inserisce pure il brontolio
malmostoso dei ciellini
per non essere riusciti ad approdare sulla poltrona della direzione di Avvenire,
che il cardinale
Bagnasco ha poi attribuito al vice di Boffo, Marco Tarquinio.
Non per caso lo scrittore ciellino Antonio Socci è in prima
fila nell’esigere aggressivamente da Vian di chiarire il suo ruolo nelle
manovre anti-Boffo: “Il giornale del Papa – scandisce Socci – è al tappeto,
nella persona del suo
direttore, e le autorità vaticane, in testa la Segreteria di Stato, non possono
più tirare avanti come se
nulla fosse”. Di fatto, pochi escludono che Feltri una telefonata imprudente da
Oltretevere abbia
potuto riceverla. Il Papa, ammettono i monsignori di Curia, “è triste e
amareggiato”. Il suo
atteggiamento è ambivalente. Si lascia informare degli sviluppi dello scandalo,
perché non può fare
diversamente, e al tempo stesso se ne allontana psicologicamente. Quasi non
fossero queste le cose
che realmente contano. C’è nel suo approccio il realismo del confessore
(che conosce le miserie
degli uomini) e il distacco del monaco che guarda all’orizzonte dell’eternità.
Nel palazzo apostolico
ricordano la sua preghiera-invettiva nella Via Crucis del 2005, mentre Wojtyla
stava morendo:
“Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che nel
sacerdozio dovrebbero
appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza! Quanto
poco rispettiamo
il sacramento della riconciliazione, nel quale egli ci aspetta, per rialzarci
dalle nostre cadute!
Signore, salvaci”. Ma questo mistico realismo fa sì che Benedetto XVI guardi
anche con una certa
distanza alla macchina della Chiesa, agli apparati di Curia, ai conflitti che si
svolgono nelle strutture
ecclesiastiche. “E’ come se tutta questa struttura materiale per lui fosse in
fondo secondaria”, spiega
un vescovo che lo conosce bene.
A cosa pensa, dunque Papa Ratzinger? Si concentra sui suoi
libri, sulle sue encicliche, su tutto ciò che è pensiero e parola del Romano
Pontefice. “Sente come suo
compito – dice chi gli è vicino – quello di ribadire la retta dottrina e
annunciare i valori essenziali
del cristianesimo”. Rivolge il suo impegno alla lotta contro la secolarizzazione
in Europa, al
confronto con la scienza, al dialogo tra fede e ragione, tra credenti e
non-credenti. In ultima analisi
il suo focus consiste nel ribadire al mondo contemporaneo la necessità di
aprirsi alla Trascendenza.
Se il suo sguardo è rivolto a questi ampi orizzonti, la gestione della
Curia e degli “affari interni”
della Chiesa rischia di rimanere affidata a se stessa. Ratzinger
ne conosce bene i peccati. Ancora
mercoledì ha ricordato all’udienza che le ambizioni di “carriera e potere” sono
tentazioni, da cui
“non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di animazione e di governo
nella Chiesa”.
Monito verace. Ma poi, nella gestione complessa della struttura imperiale
cattolica, manca il polso
della guida quotidiana. “C’è come uno spappolamento in Curia – commenta
un veterano dei sacri
palazzi – e in tante vicende, non solo nell’affare Boffo-Feltri, si avverta la
mancanza di diplomazia,
di cautela e di un agire senza strafare, che ha sempre caratterizzatogli uomini
di Chiesa”. Incalza un
altro esponente della gerarchia ecclesiastica: “Non si intravvede il filo logico
delle azioni. Manca la
ratio gubernandi, l’arte del governo. Magari ci fosse un regista occulto,
che regge le fila di questo
scandalo, come si immagina certa stampa! Il guaio è che non c’è, e nessuno sa
cosa sta accadendo”.
La realtà odierna negli organismi centrali della Chiesa, conclude un
monsignore di Curia, appare
piuttosto come un “arcipelago di interessi e visioni differenti”.
Grande è il disordine sotto la Cupola di san Pietro, ma non è segno di vitalità.
Alla fine forse ha
ragione Ratzinger: il futuro della buona novella non verrà dalle strutture,
bensì dalle minoranze
creatrici.
Marco Politi il Fatto Quotidiano 5
febbraio 2010