Tregua, subito
Se abbiamo a cuore la nostra sopravvivenza futura non dobbiamo dimenticare una
cosa
fondamentale mentre è in corso l’operazione «Piombo fuso», così chiamata a
citazione di una
canzoncina di Hannukah che racconta di una piccola trottola.
Quella trottola, uno dei simboli della festività, è ricavata dal piombo fuso.
Gaza non è il Vietnam, né l’Iraq, né l’Afghanistan, e non è nemmeno il Libano. È
una regione che
fa parte della patria comune a noi e ai palestinesi. Una patria che noi
chiamiamo Israele e loro
Palestina.
A Gaza vivono un milione e mezzo di persone, membri di un popolo che conta un
altro milione e
trecentomila componenti in Israele e più di due milioni in Cisgiordania. Gli
uomini e le donne di
Gaza sono innanzi tutto nostri vicini e vivranno spalla a spalla con noi per
sempre, anche se separati
da una frontiera. Le nostre case e le nostre città sono a pochi chilometri di
distanza dalle loro, i
nostri campi lambiscono i loro. Gli uomini di Gaza, attivisti o poliziotti di
Hamas che osserviamo
attraverso binocoli militari, erano in passato attivisti o poliziotti di Al
Fatah, nati a Gaza o giunti lì
come profughi durante la guerra del 1948, o in altre guerre. Nel corso degli
anni sono stati muratori
nei nostri cantieri edili, lavapiatti in ristoranti dove abbiamo cenato,
negozianti presso i quali
abbiamo acquistato merci, operai nelle serre di Gush Katif, o altrove. Sono
nostri vicini e lo saranno
in futuro e questo ci impone di considerare con molta attenzione quale tipo di
guerra combattiamo
contro di loro, il suo carattere, la sua durata, la portata della sua violenza.
Noi israeliani non abbiamo nessuna possibilità di estirpare il governo di Hamas
a Gaza, come non
avevamo nessuna possibilità di estirpare l’Olp dal popolo palestinese. Sharon e
Begin arrivarono
fino a Beirut, pagando un prezzo terribile e sanguinoso, per ottenere questo
risultato. E che
accadde? Sia Sharon sia Netanyahu sedettero a un tavolo con Arafat e i suoi
rappresentanti per
tentare di negoziare un accordo. E ora il vice del defunto leader palestinese,
Abu Mazen, è ospite
fisso e gradito presso di noi.
Dobbiamo rendercene conto: gli arabi non sono creature metafisiche ma esseri
umani, e gli esseri
umani sono soggetti a cambiamenti. Anche noi cambiamo le nostre posizioni,
mitighiamo le nostre
opinioni, ci apriamo a nuove idee. Faremmo bene a levarci di testa al più presto
l’illusione di poter
annientare Hamas, di poterlo sradicare dalla Striscia di Gaza. Dobbiamo invece
lavorare con cautela
e buon senso per raggiungere un accordo ragionevole e dettagliato, una tregua
rapida in vista di un cambiamento di Hamas. È possibile, è attuabile.
È accaduto più volte nel corso della storia. Ma anche se cominceremo fin da oggi
a lavorare a una
tregua ci aspettano ancora giorni di guerra, di lanci di razzi. Almeno, però,
avremo la
consapevolezza di non combattere per un obiettivo irrealizzabile che porterà
altro sangue e
devastazione. Sangue e devastazione che peseranno sulla memoria collettiva dei
figli dei nostri
vicini i quali resteranno all’infinito tali, anche se la trottola continuerà a
girare.
Abraham B. Yehoshua, scrittore israeliano
La Stampa 6 gennaio 2009