TORNIAMO ALLA RIVOLUZIONE FRANCESE

(Intervista di Giampaolo Cadalanu a Jean Ziegler)

 

Il mondo è in mano alle multinazionali. La ricchezza del pianeta, per più della metà, appartiene a 500 corporation in grado di influenzare la politica e -quando occorre- di buttar giù governi eletti dal popolo. Intanto la fame continua a fare strage... Sembrerebbe il proclama urlato da un new-global, appassionato ma fin troppo apocalittico e pieno di illusioni. Invece a parlare è Jean Ziegler, rela­tore speciale dell’ Onu sul diritto all’alimentazione, consigliere personale di Kofi Annan, con tutte le carte in regola per evitare l’accusa di massimalismo, Il suo ultimo lavoro, L’impero della vergogna, che andrà in libreria nei prossimi giorni per Marco Tropea (pp. 256, euro 17), è come una sveglia per l’occidente. E’ un urlo lacerante, come le condizioni dei diseredati che il sociologo svizzero ha incontrato nelle discariche di Rio e nel­le bidonville di Dacca. Ma è anche una promessa pronunciata con voce ferma: rifiutare la rassegnazione.

Il libro nasce da una immensa documentazione, migliaia di pagine, che Ziegler ha consultato per presentare il suo rapporto all’Assemblea delle Nazioni Unite.

Professore, come è stata accolta la sua denuncia al Palazzo di Vetro?

«L’Assemblea ha apprezzato molto il mio lavoro. Al Consiglio di Sicurezza... beh, non credo che siano stati altrettanto contenti..».

Lei fa continuo riferimento alla Rivoluzione francese: è un modo per evitare l’accusa di vetero-marxismo?

«Viviamo in un mondo i cui valori sono eredità della Rivoluzione francese. Liberté, Egalité, Fraternité: non sono utopie, ma valori negati oggi dal neolibetisnio. E bisogna tornare a essi, bisogna supe­rare questa fase di oscurantismo medievale che riconosce il mercato come riferimento supremo. Questa è una regressione terribile, è il ritorno a un nuovo feudalesimo. È l’uomo il punto di riferimento, non il mercato, che invece è solo uno strumento. Invece idee come quelle del­la Rivoluzione francese vivo­no nel cuore, nella speranza, nella coscienza della gente… devono solo essere trasformate in forze materiali».

E come? Nonostante il tono delle sue denunce, lei sembra ottimista.

«Lo sono. Vedo protagonisti nuovi, che gradualmente prendono il posto degli stati. Vedo una crescente mobili­tazione della società civile, che è diventata un nuovo soggetto storico, mentre gli stati sono sempre più succubi delle multinazionali».

Non è esagerato parlare di un nuovo feudalesimo?

«Ogni anno dieci milioni di bambini muoiono per epidemie, inquinamento, condizioni di vita poco salubri…, e la metà di queste morti avviene in soli sei paesi, i più poveri del pianeta. Una tragedia che non è dovuta alla penuria di risorse, ma alla loro ingiusta distribuzione. Io credo che ai nostri giorni la miseria abbia raggiunto il livello più spaventoso nella storia dell’uomo».

Insomma, la globalizzazione che doveva portare benessere in tutto il mondo, ha finito per accentuare le disuguaglianze.

«Oltre un miliardo e ottocento milioni di esseri uma­ni vivono in condizioni di povertà estrema, con meno di un dollaro al giorno. Invece l’uno per cento della popolazione mondiale, che vi­ve in Occidente guadagna quanto il 57 per cento dei più poveri. No, il mercato libero non ha funzionato per distribuire il benessere».

Lei parla anche del ruolo guida degli intellettuali. Ma non crede che l’industria culturale - e i media - abbiano molto da rimproverarsi?

«E’vero: soprattutto la tv è sempre più un fattore di alienazione. Ma media e intellettuali sono indispensabili per suscitare la vergogna».

La vergogna?

«Devo fare riferimento a Immanuel Kant, al suo concetto di imperativo morale. Ognuno di noi ha coscienza dell’identità con l’altro. Vedere togliere l’umanità ad altri, distrugge la nostra umanità. E fa nascere appunto la vergogna, che ha una forza formidabile».

Il suo sembra un linguag­gio d’altri tempi. Qualcuno dice che lei è rimasto agli anni Settanta...

«Ci sono momenti storici in cui i progressisti sono conservatori. Oggi serve resi­stenza, a difesa dei diritti de­mocratici e della sovranità popolare contro le dittature, contro il capitalismo della giungla. Se il moderno è il trionfo delle multinazionali, l’esasperazione della flessibilità, la disoccupazione permanente, allora bisogna essere in difesa. Bisogna diventare conservatori».

Fra le righe del suo li­bro si legge una sorta di rimpianto del sogno delle Nazioni Unite, di quello che l’Onu poteva essere e non è stata.

«Sì. Ci sono tre colonne su cui si regge l’organizzazione: la sicurezza collettiva, i diritti umani, la spinta verso una giustizia sociale planetaria. Ma tutti e tre questi obiettivi sono sotto attacco, soprat­tutto da parte Usa. Si può perseguire la sicurezza del mondo introducendo la “guerra preventiva”? No, ovviamente. I diritti umani sono sempre più minacciati, la tortura è ormai una prassi. Infine, gli aiuti umanitari so­no ormai all’osso, gli stanziamenti tagliati per lasciar spazio alle spese militari».

La guerra al terrorismo...

«…è necessaria, ma assassi­na i poveri».

Chi la critica sostiene che lei non sceglie fra due modelli possibili, che vuole una “terza via” inesistente...

«Ma io non voglio dover scegliere fra Bush e Osama bin Laden. Non voglio essere costretto a decidere se preferisco Putin o gli integralisti ceceni. Se non troviamo questa “terza via”, siamo destinati all’abisso. Il capitalismo finanziario è selvaggio, senza norme di tutela l’uomo perde il suo diritto al destino e alla libertà. Quando l’unico orizzonte è la massimizzazione del profitto, lo Stato perde la sua compe­tenza normativa. Insomma, serve una nuova definizione dell’interesse comune».

Lei usa toni emotivi, ma il suo libro è anche pieno di dati inattaccabili. Non è una caratteristica comune, fra i funzionari Onu...

«Il mio status di relatore mi garantisce l’indipendenza assoluta. Ovviamente nel libro uso toni accorati, che devo evitare al Palazzo di Vetro. Se qualcuno mi criti­ca, il segretario generale risponde: “Quello del libro non è il mio relatore. È l’intellettuale Ziegler, che non risponde a me. Se qualcuno vuole togliergli il mandato, lo deve chiedere all’Assemblea generale”. Però questa è fatta in gran parte da paesi del Terzo mondo. E a loro le mie denunce non sembrano insensate.».

 

Intervista di Giampaolo Cadalanu a Jean Ziegler     “Il Venerdì” del 28.04.06