Torna la messa in latino
Lo ha deciso papa
Ratzinger in una disposizione chiamata «motu proprio». Un tentativo per ricucire
lo strappo con i «tradizionalisti» del vescovo Marcel Lefebvre
Si torna all'antico. La
messa in latino non sarà più un'eccezione o una perla rara per cultori di Orazio
e Virgilio. Magari da ascoltare dai gesuiti di Roma o dai benedettini di
Camaldoli, condita dal canto gregoriano. Spariscono i divieti e i vescovi non
potranno più rifiutarsi di concederla. E' papa Ratzinger a dirlo: lo farà in una
disposizione ufficiale (chiamata «motu proprio», perché esprime gli intenti
precipui della Santa sede) che, secondo un tam tam sempre più incalzante in
curia, sarà resa pubblica entro la fine dell'anno. Il documento autorizza a
celebrare l'antica liturgia tridentina (risalente al 1500) che era stata
riformata dal Concilio Vaticano II (1962-'65), quando la chiesa cattolica scelse
di tradurre il messale nelle diverse lingue nazionali, nel tentativo di
riavvicinare la liturgia al popolo. Se oggi si celebra la messa in farsi, in
hindi, in malay o guaranì, insomma, è stato un merito del Concilio, una
intuizione che ha aiutato la diffusione e la comprensione dell'evangelo a tutte
le latitudini. Non solo: ha anche influenzato fortemente il concetto di
«missione», ponendo le premesse per quell'approccio che oggi, nelle facoltà
pontificie, si definisce «inculturazione» e consiste nella strategia di
avvicinare e compenetrare il messaggio cristiano nelle multiformi culture e
civiltà che il pianeta ha generato. Vangelo e culture indigene devono
incontrarsi e adattarsi reciprocamente, recependo l'una elementi dell'altra.
L'importante, sostenevano i padri conciliari, era che il messaggio e i dogmi
centrali, quelli sì, restassero immutati.
Papa Ratzinger è sempre stato un amante delle tradizioni,
delle liturgie vecchia maniera, pompose e solenni fino ai limiti dello stile
ortodosso orientale: ne ha già dato prova con le indicazioni di restaurare il
canto gregoriano e le musiche liturgiche classiche, a scapito della «messa beat»
e delle celebrazioni, in stile fin troppo disinvolto e giovanile, affermatesi
dagli anni '70 a oggi. Una chitarra non sarà liturgica, eppure serve a
coinvolgere e donare Cristo ai giovani, rispondono gli esperti di pastorale
giovanile.
Oggi il pontefice assesta in altro colpo alla
contaminazione che, nella sua mente, la cultura e la liturgia cattolica hanno
subito nel moderno e nel post-moderno. Per una sorta di intento purificatore,
restituisce legittimità e dignità al latino che, va ricordato, resta ancora la
lingua ufficiale dei documenti della Santa sede.
La motivazione è, come al solito, molto sottile: il papa
crede che, come ha sottolineato più volte, sin da quando era cardinale, occorre
consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano: «Non si vede proprio che
cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in
questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a
poco tempo prima le appariva sacro». Motivazione sensata, è vero, rafforzata poi
da un altro pensiero che occupa la mente e il cuore di Ratzinger sin dal primo
giorno in cui è salito al soglio di Pietro: ricucire lo strappo con i
«tradizionalisti» del vescovo scismatico Marcel Lefebvre, che nel 1988 sbattè la
porta protestando contro le innovazioni apportate dal Vaticano II (come quella
della lingua della messa, appunto).
Oggi il riavvicinamento con Lefebvre si fa dunque molto più
facile e i bene informati leggono l'imminente «motu proprio» del papa come una
precisa volontà di accelerare la riconciliazione ufficiale con il gruppo dei
francesi.
Resta la netta impressione di una visione della chiesa
rivolta al passato, che possa fungere da cuore pulsante della roccaforte
europea: sembra questa la filosofia di fondo che ha ispirato questi passi. Le
priorità di Ratzinger sono oggi rivolte tutte all'Europa, alle chiese europee, a
ritessere i rapporti con le confessioni cristiane e i Patriarchi nella parte
orientale del vecchio continente (vedasi l'incontro con Bartolomeo nel prossimo
viaggio in Turchia).
Tanta attenzione per questioni che toccano pochi
specialisti. A scapito del dialogo con l'islam, dei grandi temi di politica
internazionale, delle missioni all'estero. Ratzinger fa le sue scelte, segnando
in modo sempre più nitido e l'impronta conservatrice che sta dando al suo
pontificato.
Mimmo de Cillis Lettera 22