Torna, caro ideal
Avevo terminato la mia riflessione sulla possibilità di commemorare il 40mo del
'68 col cercare di
realizzare la speranza che quell'anno aveva suscitato, parallelamente a quella
del postconcilio,
dicendo che ogni giorno era buono, quando i risultati delle elezioni politiche
del 13 aprile, inutile
fare giravolte, sparse uno strato di brinata notturno su dei germoglietti "pur
mo' nati" di speranza.
E non perché c'entrino partiti politici coi loro mirabolanti programmi o
schieramenti che si
autodefiniscono per convenzione, non so ancora quanto significativa, di destra,
sinistra e centro, ma
per una sensibilità nei confronti di quanto è, a mio modo di vedere, la vera e
originaria cultura di
tale speranza. So benissimo che si corre il rischio di risultare fissati o
parziali o monocordi o
superati, ma lo affronto volentieri, sperando che, fosse vero tutto questo, sia
un segno d'onore che
rendo a coloro che me ne trasmisero la ragione. Non parlo dunque di programmi
politici, economici
e sociali di una parte o dell'altra, anche se hanno la loro importanza come
punto di riferimento negli
anni riservati all'amministrazione nata dalla vittoria elettorale. Oltretutto i
commenti non solo
esteriori, ma anche delle cause che determinarono quei risultati, annunciati
certo ma senz'altro
inattesi nella loro dimensione, li ho sentiti carenti di un elemento che non è
certamente soggetto a
quantificazioni, essendo fortemente soggettivo, ma non meno determinante, per
delle scelte che
agiscono a livello dello stesso corso storico. L'elemento soggettivo è questo:
la mia storia, per
ragioni anagrafiche, ha il suo punto di partenza in anni di resistenza, in nome
della libertà
dell'uomo, a ogni potere sull'uomo originato dalla costrizione, e di gesti e
atti di lotta rischiando la
propria vita per essere liberati da questo spettro di dominio. Questa
liberazione porta la data del 25
Aprile 1945. Una data che doveva dare avvio alla realizzazione di quell'ideale
d'un mondo nuovo
dove i rapporti fra gli uomini e i popoli fossero improntati a maggiore
giustizia e fosse eliminato il
pericolo di nuove dittature e con esso di guerre. Non era utopia, era un ideale.
Come fu per un
ideale che si resistette al potere brutale che, con l'occupazione tedesca
dell'Italia 1'8 settembre 1943
e con la ripresa sulle armi tedesche del fascismo, aveva portato il nostro Paese
allo sfacelo della
guerra e dell'alleanza col nazismo. Per quell'ideale di libertà si rischiavano
torture e morte. Se
dovesse cadere e dileguarsi un ideale simile, cadrebbe l'elemento fondante del
vivere sociale. Per
questo si sentì il bisogno di fissare l'ideale in una Carta costituzionale,
ossia fondante lo Stato
italiano. Abbiamo dunque una Costituzione che traduce in comportamenti e in
rapporti questo
ideale, col fissare le linee maestre del vivere sociale e dei diritti
inalienabili della persona umana.
Pertanto, ogni tentativo di modificare tale testo, anche se è in vista di una
risposta più chiara e più
puntuale alle richieste di nuovi bisogni, suscita sempre, in chi vede nella
Costituzione in filigrana
l'ideale, un movimento di diffidenza che può diventare l'occasione per
denunciare l'attentato in atto
al baluardo di difesa della libertà. La diffidenza non è un movimento solo
istintivo o inconsulto, ma
si basa su fatti reali e tentativi di cancellare l'ideale. Non è il caso di
ricordare tutta l'opera del suo
smantellamento, che va dal martellio orchestrato sulla riscrittura di quel
periodo, fino alla
negazione più impudica di fatti di sangue e all'inoculamento quotidiano, con
tutti i sistemi propri
per creare opinione pubblica, soprattutto mirando alle nuove generazioni, del
veleno della
dimenticanza o della rimozione, fino a mirare al sostegno di tutto ciò che è
l'ideale facendolo
passare, nel migliore dei casi, come utopia, e fuori dal mondo moderno chi lo
sostiene.
Se l'ideale ebbe il suo momento fondante dei rapporti di un mondo più giusto
nella Costituzione,
quello che immediatamente apparve coi risultati elettorali fu la conclamata
necessità di rivedere la
Costituzione, cui si adeguò anche la parte che si pensava più sensibile a
difenderla, dato che la sua
storia aveva il fulcro in quel periodo di lotta e di liberazione. Dall'analisi
del voto dell'elettorato
sembra che molti tradizionalmente difensori della Costituzione abbiano fatto il
salto dall'altra
parte, da quella cioè che, si dica quel che si vuole ma contro il fatto non
tiene nessuna
argomentazione, proponeva la riforma o la deformazione della Carta fondante che
dava e dà le linee
per quel mondo migliore per cui molti avevano dato la vita resistendo fino alla
conquista della
libertà. Chi poteva immaginare che, come conseguenza del voto, presidente della
Camera e primo
cittadino di Roma rappresentassero la rivincita della parte che,
indipendentemente dalla storia e dai
sentimenti personali dei due eletti, si opponeva con la forza, al seguito di un
esercito invasore,
contro chi affermava col rischio della vita la libertà di un popolo? A mio
avviso, tutte le analisi
fatte per spiegare il fenomeno non tengono conto, appunto perché è un elemento
non
quantificabile, della scomparsa o dell'offuscamento dell'ideale d'un mondo più
giusto, dove i poveri,
ossia la parte più debole, per una ragione o per l'altra, della società avesse
riconosciuti concretamente
i diritti e i doveri che la dignità dell'uomo richiede. Ci potevano essere mille
ragioni per
dire no a quella parte che, bene o male, e piuttosto male, aveva anch'essa
davanti concretamente,
come naturale erede, il mondo nuovo che doveva nascere col 25 aprile 1945, ma
mai risolutive,
giacché nelle scelte concrete non si confrontava, certo faticosamente, ma anche
cocciutamente, in
ogni settore della vita sociale, con l'ideale originario della Resistenza. Se,
per esempio, nei due
inverni del '43-'45, di fronte alle immani difficoltà del continuare la lotta, i
partigiani, i ribelli per
amore, avessero dichiarato irrealizzabile l'ideale per cui combattevano, che
sarebbe stato della
libertà e, soprattutto, della dignità d'un popolo?
So che l'interrogativo e tutto quanto ho sopra scritto per arrivarci può, nella
più benevola
considerazione, essere visto come utopia, e quindi un ideale non realizzabile.
Ma vorrei chiedere a
un vecchio fazzoletto rosso, o verde, o azzurro, o tricolore che fu sempre dalla
parte che
perlomeno non metteva il dubbio o la sordina su quel periodo di Resistenza e
che, con queste
elezioni, fece il salto, forse per la prima volta, dall'altra parte; vorrei
chiedere a quanti festeggiano
con convinzione il 25 aprile e depongono corone d'alloro nei luoghi della grande
memoria, e a tutti
quanti sono pensosi di quanto lasciamo alle giovani generazioni; vorrei dunque
chiedere come lo
chiedo a me stesso: se le cose vanno male, non sarebbe il caso di rimettere a
fuoco il tuo, il nostro
ideale e riprendere la strada per realizzarlo, anche solo col richiamarlo, con
voce forte, ai
responsabili e all'opinione pubblica, quale punto di riferimento nella
cosiddetta azione politica? Io
me lo sono detto, e l'iniziale scoramento s'è trasformato, alla mia età (!) in
pedana di un nuovo
slancio; e mi sono ritornate nitidissime all'orecchio e al cuore parole e musica
di quella bella
romanza di fine '800 di Paolo Tosti, che ha come titolo appunto: "Ideale". M'era
ben presente
l'inizio dell'ultima strofa: Torna, caro ideal... E anche le note erano rimaste
incise con le
parole nella mia memoria (ma, ahimè, la voce non rispondeva più allo slancio
dalle care note
ritrovate). Posso ora completare la strofa, che suona così: Torna, caro ideal,
torna un istante / a
sorridermi ancora. / E a me risplenderà, nel tuo sembiante, / una novella
aurora.
D'accordo, non è Dante che, pure, in fatto d'ideali legati pure essi a visioni
di partiti, aveva
rischiato, e non solo un posto in parlamento, ma è straordinariamente
confortante pensare che basterebbe
anche solo un istante di ripresa dell'Ideale perché si apra un nuovo giorno.
La conclusione potrebbe far sorridere per la sua semplicità e, nello stesso
tempo, complessità,
ma la tiro ugualmente: dovremmo più spesso, e con maggiore convinzione,
confrontarci con
l'Ideale del 25 Aprile 1945 per la costruzione d'un mondo più giusto e di pace.
L'Ideale è
morto? Viva l'Ideale! In fondo giurare sulla Costituzione implica il
riconoscimento del 25
Aprile 1945!
Luisito Bianchi * in “Viator”
n. 6 del giugno 2008 (Il mensile cristiano della pace,
della solidarietà, del dialogo e dei diritti umani)
* Nato a Vescovato (Cr), attualmente svolge funzione di cappellano presso il
Monastero di Viboldone (Mi). Ha
scritto numerosi libri tra cui La messa dell’uomo disarmato, opera di
altissimo valore artistico e civile.