Tolleranza zero, l’ossessione dei potenti
Pubblichiamo alcuni stralci dell’intervento di Luigi Ferrajoli al festival
del Diritto che si svolge a Piacenza da oggi a domenica.
La tolleranza zero, cioè l’impossibilità del crimine, potrebbe forse essere
raggiunta solo in una società panottica di tipo poliziesco, che sopprimesse
preventivamente le libertà di tutti, mettendo un poliziotto alle spalle di ogni
cittadino e i carri armati nelle strade. Il costo della vagheggiata e
comunque sempre illusoria "tolleranza zero" sarebbe insomma la trasformazione
delle nostre società in regimi disciplinari e illiberali sottoposti alla
vigilanza capillare e pervasiva della polizia. Laddove il connotato
principale del diritto penale, in una società liberale, consiste precisamente
nella tolleranza, a garanzia delle libertà di tutti, della possibilità materiale
della trasgressione e nella sua prevenzione sulla sola base della minaccia della
pena: nella difesa, in altre parole, della libertà fisica della trasgressione in
quanto vietata giuridicamente e non impossibilitata materialmente. Di tutto
questo furono ben consapevoli i criminalisti della Scuola classica, che
ammonirono contro il carattere assurdo e funesto dell’illusione panpenalistica e
pangiudizialista. "La pazza idea che il giure punitivo debba estirpare i delitti
dalla terra", scrisse Francesco Carrara, "conduce nella scienza penale alla
idolatria del terrore". E prima di lui Gaetano Filangieri aveva scritto che solo
un legislatore "tirannico" può illudersi e illudere che "le pene potranno
interamente bandire dalla società i delitti", anziché semplicemente "diminuirne
il numero". E Mario Pagano, a sua volta, aveva messo in guardia contro lo zelo
inquisitorio e le ideologie efficientiste, denunciando l’"arbitrario ed
immoderato potere" che "fa d’uopo" lasciare "nelle mani del giudice" ove si
voglia "che il più leggiero fallo non resti impunito", nonché il prezzo "di
necessarie violenze ed attentati sulla libertà dell’innocente" che occorrerebbe
pagare per la ricerca di ogni "occulto delitto".
E tuttavia è sulla base di questa insensata parola d’ordine che è stata promossa
in questi ultimi venti anni la crescita esponenziale, non solo in Italia, della
carcerazione penale, senza che sia in alcun modo diminuita la criminalità che
queste politiche avrebbero dovuto ridurre a zero. Si tratta di un fenomeno di
dimensioni gigantesche, che offre la prova più clamorosa dell’irrazionalità
delle politiche penali informate al progetto insensato della tolleranza zero. In
tutti i paesi occidentali si è prodotta in questi anni una vera esplosione delle
carceri, che ha visto talora raddoppiare, come in Italia, e talora, come negli
Stati Uniti, addirittura decuplicare la popolazione carceraria: una popolazione
formata ormai quasi unicamente, come mostrano le statistiche giudiziarie di
tutti questi paesi, da soggetti poveri ed emarginati: immigrati, neri,
tossicodipendenti, detenuti per piccoli reati contro il patrimonio.
Ma simultaneamente la criminalità, per effetto delle politiche informate alla
vagheggiata tolleranza zero, non è affatto diminuita. Negli Stati Uniti, al
contrario, è aumentata. Da un lato il numero dei detenuti ha raggiunto circa i 2
milioni e mezzo, senza contare i 4 milioni di cittadini sottoposti alle misure
della probation o della parole: 1 ogni 100 abitanti, dieci volte di più che in
Europa, otto volte di più che negli stessi Stati Uniti di 30 anni fa. Ma
dall’altro il numero degli omicidi ha raggiunto il numero di circa 30.000
l’anno, che è quasi dieci volte il numero degli omicidi che, nonostante le mafie
e le camorre, accadono ogni anno in Italia. Aggiungo che il fenomeno si è
sviluppato, pur se in misura incomparabilmente inferiore, anche in Europa. Si
tratta di una carcerazione di massa della povertà, generata da una degenerazione
classista della giustizia penale, del tutto scollegata dai mutamenti della
fenomenologia criminale e sorretta soltanto da un’ideologia dell’esclusione che
criminalizza i poveri, gli emarginati, o peggio i diversi - lo straniero,
l’islamico, l’immigrato clandestino - all’insegna di un’antropologia razzista
della disuguaglianza. In ogni caso l’effetto della cosiddetta tolleranza zero è
stato, in termini di sicurezza, uguale a zero: perfino a New York, dove è stata
sbandierata come un grande successo del sindaco Giuliani, si è risolto nel
nascondere la polvere sotto il tappeto: nel far sparire vagabondi, spacciatori e
piccoli criminali dal centro di Manhattan e nel costringerli a spostarsi in
periferia.
Il diritto penale, luogo, nel suo modello normativo, quanto meno della
uguaglianza formale davanti alla legge, è così diventato, di fatto, il luogo
della massima disuguaglianza e discriminazione. Esso non solo riproduce le
disuguaglianze presenti nella società, riproducendone gli stereotipi classisti e
razzisti del delinquente "sociale" oltre che "naturale", ma ha codificato
discriminazioni e privilegi con politiche legislative tanto severe con la
delinquenza di strada quanto indulgenti con quella del potere. Si pensi solo, in
Italia, all’introduzione di misure draconiane nei confronti della criminalità di
strada e dell’immigrazione clandestina e, insieme, all’edificazione di un intero
corpus iuris ad personam finalizzato a paralizzare i vari processi contro il
presidente del consiglio; simultaneamente - va aggiunto - a una campagna di
denigrazione dei giudici: tanto più accusati di politicizzazione quanto più al
contrario, prendendo in parola il principio dell’uguaglianza davanti alla legge,
hanno cessato di essere condizionati dalla politica.
Si sta così producendo, in una misura ancor più massiccia che in passato, una
duplicazione del diritto penale: diritto minimo e mite per i ricchi e i potenti;
diritto massimo e inflessibile per i poveri e gli emarginati. Mentre nei
confronti della delinquenza dei colletti bianchi la giustizia è sostanzialmente
impotente - si pensi solo alla prescrizione perseguita sistematicamente in
questi processi da agguerriti difensori - nei confronti della delinquenza di
strada la giustizia penale è severissima.
Luigi Ferrajoli l’Unità 26.9.08