Tolleranza. Non c’è «zero» che tenga: no alla retorica del nemico

 

«Tolleranza» è parola che, fino a qualche tempo fa, tolleravo a fatica. Con tutto il rispetto per le sue

nobili risonanze voltairiane, mi pareva gravata da un antipatico complesso di superiorità. Quello di

chi, verso l’altro, è sì disponibile all’incontro, ma non esattamente da posizioni paritarie. Tolleranza,

ai miei orecchi, suonava come malcelata ammissione di supponenza: ti accetto, ti ascolto, benché tu

sia inferiore a me. Ti tollero, nel senso che ti sopporto. E così facendo e dicendo, insieme alla tua

piccolezza, rimarco la mia grandezza. Ostento il mio generoso ascoltarti, il mio altruistico

abbassarmi al tuo livello. La tolleranza come eroica concessione di sé: nei casi peggiori, all’insegna

dell’esibizionismo più compiaciuto, come sorta di tracotanza travestita da buona creanza. Per

descrivere modalità e natura di una giusta relazione con le persone, preferivo altre parole, meno

colorate di egocentrica degnazione: rispetto, attenzione, uguaglianza. Comportamenti e intendimenti

conseguenti ad un atteggiamento di base: l’immedesimazione. Mettersi nei panni degli altri per

capire cosa gli altri vorrebbero da noi. Duemila anni fa qualcuno lo aveva detto benissimo, riguardo

alle buone (non)azioni: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso. Oggi, però,

«tolleranza» mi è più tollerabile. Almeno in rapporto a quanto invece io non la digerisca allorché si

accompagna ad un numeretto: «zero». «Tolleranza zero» è la truce espressione di questi tempi truci.

La scandiscono a tormentone (dis)onorevoli (mal)destri, come parola d’ordine contro il Crimine, e –

allargando il bersaglio e degradando i concetti – il Nemico, il Diverso, lo Sconosciuto, il

Clandestino.

Capri espiatori da infilzare in tutte le edizioni dei tiggì brandendo, appunto, quell’espressione

verbale (e una analoga facciale) ruvida e basica, da spaghetti western. «Tolleranza zero» sola igiene

dell’Italia. Basta ringhiarla in favore di telecamera per assurgere a Inflessibile Difensore del Bene

contro le subdole forze del Male: il carichissimo ministro dell’Agricoltura in carica non esita a

«tollerare zero» anche il pesce congelato spacciato per fresco. Incurante di dubbi e sfumature, e

delle cause sociali di disagio e illegalità, il Tollerante Zero non tollera e basta. Furbissimo nel

capitalizzare la trionfante ottusità di massa con la telepolitica degli slogan, azzerando il pensiero, e

chiudendo gli occhi davanti alle declinazioni popolari della sua fortunata formuletta: se l’amata

«ggente» si sente autorizzata a tollerare zero sprangando un nero o bruciando un pakistano,

pazienza. Si può sempre dire che la colpa è di chi governava prima, e tollerava mille.

Enzo Costa    l'Unità  6 agosto 2009