Il
Tibet d'Italia
C'è un "Tibet italiano" che non è fatto di monaci, ma di rovistatori di
spazzatura, mendicanti,
prostitute, impiegati statali, insegnanti, lavavetri… E dunque, per
quanto ci riguarda, il "Tibet
tibetano" è solo un parlar d'altro, un modo per nascondere che intanto, qui da
noi, non si è scatenata
– come vorrebbero far credere – l'Italia liberista di destra contro le bandiere
stataliste della sinistra,
ma l'Italia dei poveretti contro l'Italia dei poveracci, l'Italia del vuoto
morale e intellettuale contro
l'Italia dell'indigenza materiale.
Così, il "cinese" Alemanno reprime il "tibetano" che fruga nei cassonetti di
Roma. E Madame
Carfagna con le Hogan ai piedi si conturba dinanzi alla lucciola con i tacchi da
trapezista. E il don
Rodrigo Maroni fa il viso dell'arme a tutti i fra' Galdino mendicanti. E a
Firenze il sindaco di
sinistra, dopo avere sgombrato gli ingombri dei senzatetto, ha messo il verboten
persino ai panni
stesi in strada. L'idea è quella di bandire l'umanità che sta sotto i mille
euro, perché il lamento è
incostituzionale, la questua disturba la quiete e distrae la cittadinanza da
cose più importanti. Il
Tibet italiano è dunque il divieto dell'infelicità sociale (sulla quale, come si
sa, speculano gli
avvoltoi della sinistra). Manca solo che vengano vietati le ambulanze, i pronti
soccorsi e, per
decreto legge, anche gli incidenti stradali.
Come si vede non c'entrano nulla né con la destra né tanto meno con la sinistra
questi governanti
italiani – compresi certi sindaci, appunto, di sinistra – che un giorno battono
le battone e lapidano le
Maddalene, un altro giorno licenziano i precari, un altro ancora multano gli
accattoni, poi partono in
crociata contro i fannulloni e Hegelianamente – Ci Si Passi l'Omaggio alla "Maiuscolità"
del
Sindaco Cacciari – sanzionano (con la confisca degli stracci?) gli straccioni
che chiedono
l'elemosina davanti agli ospedali e alle chiese di Venezia o, veri e propri
uomini-topo, si sfamano
razzolando tra i rifiuti urbani di Roma. Chissà che presto, insieme ai clienti
delle prostitute, non
vengano multati anche i parenti dei donatori di organi: cinquecento euro a
marchetta e cinquecento
euro a rene.
Vogliamo dire che c'è una filosofia sociale della destra che può non piacere, ma
che comunque ha
una sua forte rappresentazione storica: guerriera, nazionalista, corporativista,
antioperaia,
autoritaria… Si sa che in Italia, dopo il regime fascista, non ci sono stati né
un De Gaulle né una
Thatcher né un Reagan o un Sarkozy. Ma qui siamo alla dissoluzione di qualsiasi
tensione etica e
intellettuale che non sia la bastonatura del cane che annega, qui non c'è
nemmeno la destra italiana
del manganello e dell'aspersorio (ricordate Scelba?) e ovviamente neppure quella
nobile dei
Prezzolini e dei liberali alla Malagodi sino a Montanelli. Insomma, qui non c'è
la destra, con la sua
visione del mondo. C'è, invece, una patologia da affidare alla psicanalisi
perché – accanto
all'evidente crudeltà di punire un disgraziato che raspa nei bidoni – c'è la
stupidità di un macellaio
che per eliminare una piaga ne apre un'altra. O se volete c'è la stupidità
intrinsecamente crudele, la
stupidità che invece di avere intelligenza delle cose le elimina, nascondendole
sotto il tappeto,
beandosi della sua assolutezza, del suo finto coraggio, della sua baldanza. Il
paradosso del ministro
dell'Interno è svuotare l'Interno. Se gli architetti tendono a riempire gli
spazi per animarli, Maroni li
vuole svuotati, deserti, ordinati ed esanimi.
Ovviamente noi sappiamo bene che nelle strade d'Italia c'è il rapinatore e che
lo stupratore c'è.
L'immigrazione comporta rischi di delinquenza. La prostituzione, che non è un
crimine, è però in
mano ai criminali. E magari sarà vero che il mondo si è imbruttito e che in una
brutta Italia viene
fuori il brutto Maroni perché è diventata impossibile quella sicurezza che
rimanda al latino "sine
cura", nel senso che non si può più vivere senza affanno, senza problemi e senza
preoccupazioni.
Ma maltrattare e perseguitare il mendicante che cosa c'entra con la sicurezza?
Forse sarebbe di destra dare in appalto la sicurezza ai gorilla e alle guardie
private e sarebbe di
sinistra cercare di coniugare la durezza della repressione con l'equità e la
pietà. Intendiamoci, si
possono inventare nuove forme di solidarietà e nuove forme di controllo del
territorio. Ma cosa
c'entrano i lavavetri con la sicurezza? Se li sposti e non li fai vedere
non hai certo aumentato la sicurezza.
È vero che è uno sconcio vedere la gente che rovista nell'immondizia,
ma è molto peggio
reprimerla, opprimerla, cacciarla, punirla. Ricorda quella vecchia idea
– questa sì criminale – che
per combattere la disoccupazione basta ammazzare i disoccupati. Allo stesso
modo: se vuoi ridurre
gli accattoni, falli sparire. E speriamo di non avere suggerito così un'altra
bella pensata a Maroni e a
Brunetta, i nostri due titani (non nel senso dei giganti, ma dell'ipotetico
plurale di titanio).
Questi non sono gli allievi di Carl Schmitt, di Jung, di Spengler e nemmeno di
Evola. Sono gli
allievi dell'egro Bossi, lo stesso che rimprovera al presidente Napolitano la
sua vecchiaia che, alcontrario, è invidiabile.
È Bossi ad incarnare l'acciaccato Zeitgeist che ispira il governo italiano,
vale a dire: picchiare i deboli, sputacchiare e sbavare sugli emarginati,
insolentire i donatori di
sangue, accanirsi sui sofferenti, inventarsi i fannulloni. E chiamare tutto
questo sicurezza.
No, il nostro Tibet è abbassare le tasse degli imprenditori ma tempestare di
multe i nullatenenti. Il
nostro Tibet è mettere la divisa alla scuola invece di immettere risorse nella
scuola. Il nostro Tibet è
la messa in esubero della forza lavoro qualificata dell'Alitalia. Il nostro
Tibet è legittimare i
licenziamenti in nome della flessibilità (‘accà nisciuno è flesso, caro ministro
della Funzione
pubblica). Il nostro Tibet è il Parlamento italiano nominato – grazie alla legge
porcellum – dai
capipartito e non scelto dal popolo. Il nostro Tibet è questa assurda
guerra del miserabile contro il
povero: del miserabile di testa e di cuore contro il povero di euro e di
opportunità.
State dunque attenti alle liti sul Tibet dentro il governo, a questo scontro di
grandi ideali sui diritti civili dei monaci tibetani.
È un modo di indicare un luogo diverso sul quale deviare l'attenzione e le
sensibilità. La Cina è solo un alibi che in latino significa appunto "altrove"
ed è roba da colpevoli, i
quali trovano nei diritti umani dei monaci tibetani un altrove su misura. Da
italiani i nostri
governanti sono contro i bambini rom. Se fossero cinesi sarebbero contro i
monaci tibetani e da
furbi protesterebbero contro i lontanissimi italiani. Già Vitaliano Brancati si
meravigliava molto che
nessuno nella sua città si occupasse delle prostitute e del degrado del
quartiere San Berillo. «In
compenso - notava - qui escono bellissimi articoli intitolati "dove va la
Cina?"».
Francesco Merlo la Repubblica 8 agosto
2008