Tettamanzi: basta lavoro nero e sfruttamento

 

Le parole escono dagli altoparlanti col rimbombo tipico dei comizi di una volta: «Ci sono

situazioni, purtroppo non rare e non piccole, che non possono che essere denunciate come ingiuste».

È ieri sera e siamo a Sesto San Giovanni, quella che «le grandi fabbriche sono scomparse ma Sesto

è tuttora un simbolo», e siamo alla vigilia della Festa dei Lavoratori, che infatti sono lì a centinaia in

tutta la loro varietà postmoderna, impiegati e terziari, operai e commesse, assunti e precari, italiani e

stranieri: tutti lì ad ascoltare in silenzio. Solo che a parlare non è un sindacalista ma un cardinale,

l'arcivescovo Dionigi Tettamanzi. Che le elenca tutte, le «situazioni ingiuste » di cui parla: il

«lavoro nero e sottopagato» di immigrati e non; lo «sfruttamento», causa prima dei tanti «incidenti

anche mortali sul lavoro»; la «discriminazione ai danni delle donne e dei più deboli »; e poi

«l'emergenza della casa», e altro ancora. Con un monito preciso ad aziende e istituzioni: attenzione,

dice, perché ogni soldo risparmiato sulla pelle dei lavoratori «si trasformerà presto in un costo

sociale ben più elevato».

Niente di rivoluzionario, si schermisce quasi il cardinale, la sua non è altro che la posizione di

sempre della Chiesa: cita il futuro Paolo VI Montini che proprio qui nella (ex) Stalingrado d'Italia si

definì nel '55 «l'arcivescovo dei lavoratori», cita anche papa Wojtyla che nell'83 venne qui a sua

volta a dire «so cosa significa stare in fabbrica». Ma Tettamanzi pensa all'oggi: nel mondo del

lavoro «molte cose sono cambiate, dobbiamo affrontare la nuova situazione».

E la «nuova situazione» comincia dal «lavoro nero e sottopagato al quale sono costretti molti,

specie donne e uomini immigrati». Le tragedie della (mancata) sicurezza sono solo l'ovvia

conseguenza, il cardinale fa esplicito riferimento alla «cronaca anche recente dei tanti che hanno

perso la vita». Colpa di «condizioni di lavoro in cui l'uomo rischia di non essere più considerato

come persona ma come strumento da usare al limite delle sue possibilità per profitti sempre più

elevati »: ma «non basta — dice — individuare le cause dei troppi incidenti, occorre rimuoverle».

In che modo? Tettamanzi indica una strada a suo avviso obbligata: mettere insieme politiche di

«giustizia» lavorativa, interventi di «sostegno alla famiglia », politiche concrete per la casa.

«Politiche familiari più adeguate — dice — e senza scorciatoie, che poi significa non limitarsi a

qualche aiuto esterno, ma ad esempio sostenere sul serio le donne che lavorano, senza discriminare

chi chiede il part-time, aumentando gli asili nido...».

Ancora, il capitolo stranieri: bisogna «favorire i ricongiungimenti familiari», dice, perché «la città

continuerà ad attrarli, ma non possiamo pensare a loro solo come braccia per lavori che i milanesi

non fanno più». D'accordo, riconosce Tettamanzi: «Le aziende non possono sostenere questi costi

da sole. E proprio per questo serve una virtuosa alleanza tra istituzioni, imprese e forze sociali».

Alleanza che in tema di casa potrebbe far molto, volgendo in positivo i mutamenti sociali ormai

avvenuti: «Dove le fabbriche non ci sono più, perché non usare le aree dismesse per opere di

edilizia popolare?».

I lavoratori di Sesto non applaudono solo perché sono in chiesa: nonostante tutto non è un comizio,

è una preghiera. Nello stesso momento la Curia manda su YouTube, ormai suo canale mediatico

fisso, l'intervista a una donna-lavoratrice che racconta come fa a tirare su da sola cinque figli. In tre

ore, ieri sera, l'hanno cliccato in più di tremila.

 

Paolo Foschini        Corriere della Sera  1 maggio 2008