Al generale Fabio Mini abbiamo rivolto alcune domande sull'ormai vero e proprio sequestro degli operatori sanitari di Emergency in Afghanistan.
Come giudica la vicenda che ancora una volta mostra il conflitto tra
civile e militare in un teatro di guerra?
Mi sembra che una perquisizione ed un arresto di personale delle
organizzazioni umanitarie sia una novità in assoluto anche per l'Afghanistan.
Mi sembra anche unico il fatto che i servizi segreti afgani si facciano
accompagnare da membri dell'esercito e della polizia e perfino da personale di
Isaf. È vero che questo supporto reciproco è abbastanza normale in
operazioni contro ribelli e insorti in armi. Ma in quel caso sono gli afgani a
fare da supporto. Qui in teoria si trattava di un accertamento di polizia e
nessuno stava sparando su bambini innocenti o si era barricato.
La messa in scena è
stata evidente e quindi è lecito chiedersi cosa sia cambiato sia fra gli afgani
sia all'interno di Isaf. Nell'ambito
di Isaf non contiamo più niente, non come individui o come unità militari, ma
come paese. Inoltre le autorità locali afgane cominciano ad accusare la
stanchezza e non sono abituate al controllo democratico. Emergency dà
fastidio a molti non tanto e non solo perché cura tutti, ma soprattutto perché
denuncia tutti. Parla, fa attivismo sociale e riesce a mobilitare molte
coscienze. Per le autorità afghane l'ospedale è un pericoloso esempio di
sostegno ai ribelli, diretto e indiretto, medico e sociale, umanitario e
politico. Per le autorità militari internazionali Emergency è un punto di
riferimento per i ribelli e quindi va smantellato o almeno delegittimato. Ma
soprattutto è un occhio vigile e ipercritico nei riguardi del loro operato. È
un testimone non tanto nel senso che va in giro raccogliendo informazioni o
curiosando, ma nel senso che raccoglie in primissima battuta la realtà delle
operazioni. Non c'è nulla di più credibile di un corpo straziato per
raccontare la verità. Emergency ha fatto di questa possibilità di accesso
alla verità uno strumento politico e perciò dà fastidio a tutti quelli che hanno
qualcosa da nascondere e quelli che da nove anni inventano una formula al giorno
per giustificare le morti di civili. In questo senso si può dire che si stia
tornando alla guerra ai civili cominciando da quelli che hanno qualcosa da
recriminare, da testimoniare e da denunciare.
Come va la guerra della Nato-Isaf nel frattempo?
La guerra non va bene sotto il profilo operativo e malissimo sotto quello
strategico e politico. Le operazioni sono sempre meno incisive, ma non sono
integrate da una chiara strategia civile. Le forze stanno aumentando ma si ha
la sensazione che l'Afghanistan non sia più lo scopo delle azioni militari.
Molte zone dell'Afghanistan hanno meno presenze internazionali di alcuni mesi fa
mentre altre vedono concentrarsi forze militari. Tutto il settore al confine
con l'Iran pullula di soldati di Isaf e americani. Ad Herat e Farah, nei
settori teoricamente sotto il comando italiano e dove i talebani sono assenti
fin dal 2001, le forze americane sono triplicate. Molti segnali indicano un
possibile cambiamento di obiettivo strategico da parte americana:
dall'Afghanistan ed i suoi problemi interni si è passati prima al Pakistan, poi
al complesso Pakistan e Afghanistan e ora all'Iran sempre rimanendo in
Afghanistan. Mi sembra che un ampliamento strategico di questo tipo comporti
innanzitutto una preponderanza americana e del comando di Centcom rispetto alla
Nato e poi la completa indifferenza per ciò che può succedere al popolo afgano.
La stabilità dell'Afganistan come «stato finale» delle operazioni non ha
funzionato, di guerra al terrore internazionale da condurre in Afghanistan non
si parla quasi più e allora si cerca di far diventare questo paese una base
di partenza per una nuova avventura politico-militare con il rischio di far
saltare tutta l'Asia Centrale e oltre. Spero tanto di sbagliarmi.
Cosa pensa delle reazioni del governo italiano, impegnato più a prendere
le distanze dagli italiani arrestati che non a difenderli?
In queste ore si assiste ad un progressivo disgelo da parte della Farnesina,
ma quello che è successo nei giorni passati non è consolante. Abbiamo
visto mobilitazioni e prese di posizione ufficiali molto decise per eventi e
cause molto meno importanti di questa. Abbiamo pagato riscatti di milioni di
dollari a dei terroristi per stabilire il punto che i cittadini italiani vanno
salvaguardati soprattutto se si dedicano a cause umanitarie. Non abbiamo mai
chiesto perché fossero nei guai e come ci fossero finiti. Non abbiamo neppure
applicato la regola che normalmente si applica ai soldati: sono volontari e se
la sono cercata. Abbiamo pagato e ci siamo anche fatti ammazzare per portarli a
casa. In questa circostanza è sembrato quasi che si sperasse che i nostri
connazionali fossero veramente colpevoli. Non è neppure stato applicato il
beneficio del dubbio o la presunzione d'innocenza che merita chiunque ma che che
Emergency si è guadagnata facendo un mestiere che non fa nessun altro in
Afghanistan: salvare la vita di tutti senza chiedere a quale parte o fede
appartengono. Si sono usate figure retoriche per dire una cosa e farne capire
un'altra e questa è la prova che Emergency dà fastidio anche a qualcuno del
nostro governo. Da dove venga questa avversione non è chiaro. Che si tratti
soltanto di diverso schieramento politico mi sembra un insulto alla democrazia e
una dimostrazione di meschinità. Su Giuliana Sgrena si disse di tutto, ma mentre
certa stampa la faceva a pezzi, il governo, di tutt'altro segno della
giornalista, stava trattando la sua liberazione. Poi partì uno dei più alti
funzionari dei servizi segreti per tirarla fuori. Rimettendoci la pelle. È vero
che il clima da allora è cambiato, ma non credo si tratti solo di faziosità.
Può trattarsi di imbarazzo nei riguardi degli americani, degli inglesi e della
Nato. Essi sanno essere molto persuasivi quando si mettono in testa di
eliminare un ostacolo. Ma non necessariamente dicono sempre la verità. Non è
escluso che qualcuno abbia convinto le nostre autorità che Emergency sia
veramente collusa con il terrorismo. Tuttavia anche in questo caso dovrebbe
prevalere la forza della sovranità nazionale a salvaguardia dei nostri cittadini.
Chiunque si trovi in quelle condizioni e in paesi che non danno alcuna garanzia
di rispetto dei diritti umani e di quelli legali deve prima essere tirato fuori
e poi processato. Ma sembra che noi ci vergogniamo di essere italiani e
piuttosto che fare le cose che gli altri invece fanno normalmente preferiamo
alludere alle collusioni o accreditare una presunta legalità afghana.
Tommaso Di Francesco Il Manifesto, 13 4-2010