Il testamento del
cardinale
Da vescovo ha spesso chiesto a Dio: «Perché non ci dai idee migliori? Perché non
ci rendi più forti
nell'amore e più coraggiosi nell'affrontare i problemi attuali? Perché abbiamo
così pochi preti?».
Oggi, entrato in uno stato d'animo crepuscolare, confida di domandare a Dio di
non essere lasciato
solo. Nell'ultima stagione della sua vita Carlo Maria Martini si confessa ad un
confratello austriaco
e ne nascono i "Colloqui notturni a Gerusalemme", appena editi da Herder in
Germania, che
rappresentano il suo testamento spirituale. Confessa di essere stato anche in
conflitto con Dio,
elogia Martin Lutero, esorta la Chiesa al coraggio di riformarsi, a non
allontanarsi dal Concilio e a
non temere di confrontarsi con i giovani. Un vescovo, rammenta, deve saper anche
osare, come
quando lui andò in carcere a parlare con militanti delle Brigate Rosse «e li
ascoltai e pregai per loro
e battezzai pure una coppia di gemelli di genitori terroristi, nata durante un
processo».
Con padre Georg Sporschill, gesuita anche lui, l'ex arcivescovo di Milano è di
una sincerità totale.
Sì, ammette, «ho avuto delle difficoltà con Dio». Non riusciva a capire perché
avesse fatto patire
suo Figlio in croce. «Persino da vescovo qualche volta non potevo guardare un
crocifisso perché
l'interrogativo mi tormentava». E neanche la morte riusciva ad accettare. Dio
non avrebbe potuto
risparmiarla agli uomini dopo quella di Cristo?
Poi ha capito. «Senza la morte non potremmo darci totalmente a Dio. Ci terremmo
aperte delle
uscite di sicurezza». E invece no.
Bisogna affidare la propria speranza a Dio e credergli. «Io spero di poter
pronunciare nella morte
questo sì a Dio».
Però, se potesse parlare con Gesù, Carlo Maria Martini gli chiederebbe «se mi
ama nonostante le
mie debolezze e i miei errori e se mi viene a prendere nella morte, se mi
accoglierà». I discorsi di
Gerusalemme sono come un lungo simposio notturno, senza bevande, alimentati
soltanto dallo
scorrere dei ragionamenti, rassicurati dalle ombre calde di una sera che si
prolunga fino all'alba. C'è
stato un tempo - racconta - in cui «ho sognato una Chiesa nella povertà e
nell'umiltà, che non
dipende dalle potenze di questo mondo. Una Chiesa che concede spazio alle gente
che pensa più in
là. Una Chiesa che da coraggio, specialmente a chi si sente piccolo o peccatore.
Una Chiesa
giovane. Oggi non ho più di questi sogni. Dopo i settantacinque anni ho deciso
di pregare per la
Chiesa».
Eppure a ottantun anni il cardinale, grande biblista, non rinuncia a suggerire
alla Chiesa di avere coraggio e di osare riforme.
È essenziale avere la capacità di andare incontro al futuro. Il
celibato,
spiega, deve essere una vera vocazione. Forse non tutti hanno il carisma.
Affidare ad un parroco
sempre più parrocchie o importare preti dall'estero non è una soluzione. «La
Chiesa dovrà farsi
venire qualche idea. La possibilità di ordinare viri probati (cioè uomini
sposati di provata fede, ndr)
va discussa». Persino il sacerdozio femminile non lo spaventa.
Ricorda che il Nuovo Testamento conosce le diaconesse. Ammette che il mondo
ortodosso è
contrario. Ma racconta anche di un suo incontro con il primate anglicano Carey,
al tempo in cui la
Chiesa anglicana era in tensione per le prime ordinazioni di donne - sacerdote
(avversate dal
Vaticano). «Gli dissi per fargli coraggio che questa audacia poteva aiutare
anche noi a valorizzare di
più le donne e a capire come andare avanti».
Sul sesso il cardinale invita i giovani a non sprecare rapporti ed emozioni,
imparando a conservare
il meglio per l'unione matrimoniale, ma non ha difficoltà a rompere tabù,
cristallizzatisi con Paolo
VI, Wojtyla e di Ratzinger. «Purtroppo l'enciclica Humanae Vitae ha provocato
anche sviluppi
negativi. Paolo VI sottrasse consapevolmente il tema ai padri conciliari». Volle
assumersi
personalmente la responsabilità di decidere sugli anticoncezionali. «Questa
solitudine decisionale a
lungo termine non è stata una premessa positiva per trattare i temi della
sessualità e della famiglia».
A quarant'anni dall'enciclica, dice Martini, si potrebbe dare un «nuovo sguardo»
alla materia.
Perché la Bibbia, ricorda, è molto sobria nelle questioni sessuali. Assai netta
è soltanto nel
condannare chi irrompe, distruggendo, in un matrimonio altrui. Chi dirige la
Chiesa, sottolinea,
oggi può «indicare una via migliore dell'Humanae Vitae». Il Papa potrebbe
scrivere una nuova
enciclica. E l'omosessualità? Il porporato ricorda le dure parole della Bibbia,
ma rammenta anche le
pratiche sessuali degradanti dell'antichità. Poi aggiunge delicatamente: «Tra i
miei conoscenti ci
sono coppie omosessuali, uomini molto stimati e sociali. Non mi è stato mai
domandato né mi
sarebbe venuto in mente di condannarli». Troppe volte, soggiunge, la Chiesa si è
mostrata
insensibile, specie verso i giovani in questa condizione.
C'è un filo rosso che lega i suoi ragionamenti nella quiete di Gerusalemme. I
credenti non hanno
bisogno di chi instilli loro una cattiva coscienza, hanno bisogno di essere
aiutati ad avere una
«coscienza sensibile». E vanno stimolati continuamente a pensare, a riflettere.
«Dio non è cattolico», era solita esclamare Madre Teresa. «Non puoi rendere
cattolico Dio»,
scandisce Martini. Certamente gli uomini hanno bisogno di regole e confini, ma
Dio è al di là delle
frontiere che vengono erette. «Ci servono nella vita, ma non dobbiamo
confonderle con Dio, il cui
cuore è sempre più largo».
Dio non si lascia addomesticare.
Se questa è la prospettiva ci si può rivolgere con spirito più aperto al non
credente o al seguace di
un'altra religione. Con chi non crede ci si può confrontare sui fondamenti
etici, che lo animano. Ed
è bello camminare insieme a chi ha una fede diversa.
«Lasciati invitare ad una preghiera con lui - suggerisce con mitezza Martini -
portalo una volta ad
un tuo rito. Ciò non ti allontanerà dal cristianesimo, approfondirà al contrario
il tuo essere cristiano.
Non avere paura dell'estraneo».
Per il cardinale la grande sfida geopolitica contemporanea è lo scontro delle
civiltà. Conoscono
davvero i cristiani il pensiero e i pensieri dei musulmani - si chiede Martini -
e come fare per
capirsi? Tre sono le indicazioni. Abbattere i pregiudizi e l'immagine del
nemico, perché i terroristi
non possono davvero fondarsi sul Corano. Studiare le differenze. Infine
avvicinarsi nella pratica
della giustizia, perché l'Islam in ultima istanza è una religione figlia del
cristianesimo così come il
cristianesimo è figliato dal giudaismo.
La regola aurea del cristiano - Martini lo ribadisce in questo suo scritto che
assomiglia tanto ad un
testamento spirituale - è «Ama il tuo prossimo come te stesso». Anzi, spiega con
la precisione dello
studioso della Bibbia, Gesù dice di più: «Ama il tuo prossimo perché è come te».
Da lì sorge
l'imperativo a praticare giustizia. È terribile, insiste Martini, invocare
magari Dio nella costituzione
europea, e poi non essere coerenti nella giustizia. E qui il cardinale di Santa
Romana Chiesa tira
fuori il Corano e legge la splendida sura seconda. Non si è giusti, se ci si
inchina per pregare a
oriente o a occidente. Giusto è colui che crede in Allah e nell'Ultimo Giudizio.
Giusto è colui che
«pieno di amore dona i suoi averi ai parenti, agli orfani, ai poveri e ai
pellegrini». Chi fa l'elemosina
e riscatta gli incarcerati.
«Costui è giusto e veramente timorato di Dio».
Poi torna riflettere sull'Al di là. C'è l'Inferno? Sì. «Eppure ho la speranza
che Dio alla fine salvi
tutti». E se esistono persone come un Hitler o un assassino che abusa di
bambini, allora forse
l'immagine del Purgatorio è un segno per dire: «Anche se tu hai prodotto tanto
inferno (sulla terra)
forse dopo la morte esiste ancora un luogo dove puoi essere guarito».
Non finirebbero mai i discorsi notturni di Gerusalemme. Lo si capisce
dall'andamento quieto delle
domande e delle risposte. Come onde che si susseguono. Martini nel frattempo è
rientrato in
Lombardia, fiaccato dal Parkinson. A chi lo ascolta, lascia questo segnale:
«Possiamo anche lottare
con Dio come Giacobbe, dubitare e dibatterci come Giobbe, rattristarci come Gesù
e le sue amiche
Marta e Maria. Anche questi sono sentieri che portano a Dio».
Marco Politi la
Repubblica 19 maggio 2008