Teodemocrazia
americana
Che paese è quello in cui perfino il laico New York Times è solito, nella
rubrica delle recensioni
cinematografiche, avvertire il lettore dei comandamenti che vengono violati
dalla sceneggiatura di
un film? (Nel caso del film dei fratelli Coen appena uscito qui in America e
recensito il 2 ottobre, «i
comandamenti 3, 5 e da 7 a 10»). Per capire l’America è necessario
comprendere la religione
americana e il libro di Jean-François Colosimo, Dio è americano. La
teodemocrazia negli Stati
Uniti (Jaca Book 2009, pp. 158), è un tentativo interessante. Scritto con
uno stile eccessivamente
sincopato e con qualche manìa da nouveau philosophe, Colosimo non ha
rivisto il suo libro per la
traduzione italiana, nonostante la densità del tempo trascorso tra il 2006 (anno
dell’edizione
originale francese) e l’elezione di Obama. Colosimo affronta la questione del
rapporto tra religione
e democrazia americana con brevi capitoli di taglio cronologico-tematico: dalla
fondazione del
“nuovo mondo” da parte dei Padri Pellegrini, alla cronologia dei “risvegli
religiosi” che hanno
attraversato l’America nel corso degli ultimi tre secoli, alle sfide del
rapporto tra politica e religione
negli Usa post-11 settembre. Colosimo tenta di far comprendere ad un pubblico
europeo il fascino
della “teodemocrazia americana”, a partire dalla rappresentazione classica di
Alexis de Tocqueville
(la religione americana come centro della democrazia) e dalla più recente tesi
di Robert Bellah
(l’America come “religione civile” sostenuta da un «insieme istituzionalizzato
di credenze sacre
sulla nazione americana»).
L’interlocutore del libro è un’Europa che, di fronte ad
un’America
disperatamente religiosa, si presenta disperatamente secolarizzata:
un’Europa scissa tra richiami
culturali ancora fortissimi e tipici di un nuovo ellenismo (ora anglofono e
proveniente da
oltreoceano), malcelata Schadenfreude per la bancarotta morale del capitalismo
americano, e ansia
per il possibile smarrimento del riferimento geopolitico dell’America, cruciale
per l’Europa nido
delle guerre mondiali del Novecento. Colosimo confessa la fascinazione per la
teodemocrazia
americana, e non esita a colorarla di riferimenti autobiografici. Ma è una
fascinazione in cui manca
talvolta la dimensione storica della discontinuità tra il Covenant, il patto
originario con il Dio
d’America, e l’America contemporanea come supermarket delle religioni.
Uno dei problemi che rimane sottotraccia nel libro è la questione, teologica e
politica al tempo
stesso, del rapporto tra il “vangelo dell’arricchimento”, il prosperity
gospel delle mega-chiese
americane contemporanee e l’eredità profetica del cristianesimo del nuovo mondo:
un rapporto che
pare volgere a tutto vantaggio del business delle prime e ridurre al
silenzio il profetismo. In questo
senso, il libro di Colosimo sembra solo accennare ad alcune rotture, in primo
luogo quella tra
l’evangelicalismo e il fondamentalismo teologico di nobile tradizione (quello
che fondò l’Università
di Princeton) e la politicizzazione dell’evangelicalismo prodotta da Bush
padre prima e figlio poi (il
primo con l’aiuto di Lee Atwater, il secondo grazie a Karl Rove). Ma anche altre
discontinuità
vanno rilevate all’interno della teodemocrazia americana: la differenza tra la
scelta della
democratizzazione dell’evangelicalismo americano negli anni Settanta e la piega
neonativista (se
non razzista) dell’evangelicalismo politico post-11 settembre; la rottura
introdotta dalla
legalizzazione dell’aborto nel 1973 e i suoi effetti su tutte le questioni
politiche-sociali (riforma
sanitaria, sistema fiscale, sistema scolastico, etc.); l’abisso tra il
cristianesimo del born again G.W.
Bush e la fede globalizzata di Obama; la recente e profonda spaccatura tra il
cattolicesimo
neoconservatore e il cattolicesimo conciliare e l’impatto politico di questa
spaccatura.
D’altra parte, Colosimo individua correttamente nella
presidenza di Jimmy Carter e nel passaggio da Carter a
Reagan un momento fondamentale per comprendere il ruolo della religione nella
politica americana
contemporanea: da allora in poi «essere born again diventa
imprescindibile per entrare alla Casa
Bianca» (p. 117). Tuttavia nella sua interpretazione della fondazione
dell’America come
“teodemocrazia” Colosimo sembra sottovalutare il fatto che la Costituzione
americana fu elaborata
nel momento meno religioso e più illuminista nella storia d’America.
Ma l’autore riconosce che
ogni successiva reinterpretazione della “separazione” tra Stato e Chiesa
(sancita dal Primo
emendamento della Costituzione) ha dovuto fare i conti con una costituzione
materiale sempre più
vicina alla protezione di una grazia individualista e a buon mercato,
tipica di un «protestantesimo
senza Riforma» – come Dietrich Bonhoeffer definiva la teodemocrazia americana.
Attorno alla religione americana ruotano alcune questioni chiave: gli effetti
dell’11 settembre sul
linguaggio del cristianesimo contemporaneo; le ragioni dell’attrazione di una
parte del cattolicesimo
contemporaneo per la “laicità religiosa” del sistema americano; la sfida
planetaria proveniente
dall’Asia di fronte al legame tra cultura religiosa e missione civilizzatrice
dell’America
novecentesca. Molto resta da scrivere, ma si potrebbe intanto iniziare a
tradurre. Il libro di
Colosimo è un primo passo. Ma finora non è stato tradotto in italiano nessuno
dei magistrali libri di
Mark Noll (ora docente alla University of Notre Dame) sulla lunga storia
del “Dio d’America”, dai
Padri Pellegrini fino alla controversia teologica attorno alla schiavitù che
portò alla guerra civile del
1861-1865: un dato che dice molto della superficialità degli americanismi come
degli
antiamericanismi italiani.
Massimo Faggioli in “Europa”
13 ottobre 2009