Temi
etici: libera scelta in libera fede
Vittorio Possenti, membro della Pontificia accademia per le scienze sociali e
del Comitato nazionale
di bioetica, è personalità assai ascoltata all'interno delle istituzioni del
cattolicesimo italiano e non
solo. In un articolo (il Foglio di domenica scorsa), Possenti fa alcune
affermazioni assai
significative, che rappresentano una vera e propria novità nel dibattito intorno
alle scelte di fine
vita. In particolare, questa: «Sul piano razionale il criterio di un’assoluta
indisponibilità della
propria vita non è fondato. Diverso appare il discorso della fede che non
possiamo dare per valido
in modo cogente per tutti». Nonostante quanto dichiarato da un “custode
dell’ortodossia” come
Francesco D’Agostino («non trovo che affermi qualcosa di diverso...»)
l’approccio di Possenti è
decisamente innovativo. Al punto da indurre Giuliano Ferrara, che da tempo
esprime posizioni
intransigentiste (fino a paventare cedimenti e «timidezze» da parte delle
gerarchie ecclesiastiche), a
definirlo «una svolta radicale».
L’articolo di Possenti è la conferma più limpida del fatto che non è
l’ispirazione religiosa e la
professione di fede a dettare automaticamente, come una conseguenza ineludibile,
le posizioni ostili
all’autodeterminazione individuale e, più direttamente, l’atteggiamento critico
verso le scelte
assunte da Piero Welby e da Eluana Englaro (attraverso il proprio tutore).
In gioco non c’è un
dogma di fede, ma le possibili traduzioni di quella stessa ispirazione religiosa
in differenti letture
antropologiche: e infine, sul piano pubblico, in norme. Di più: con l’intervento
di Possenti, viene
messa in discussione la fallace contrapposizione non solo tra laici e cattolici,
ma anche quella tra
cattolici progressisti e cattolici conservatori e tra cristiani “adulti” e
cristiani “ubbidienti”. La
pluralità delle opzioni è assai più ampia e mobile di queste ripartizioni
tradizionali. E ciò, in ultima
istanza, ha una implicazione anche sul piano più strettamente politico. La
trascrizione in legge di
questa o di quell’opzione sulle scelte di fine vita, non può essere misurata con
il criterio della
appartenenza alla confessione cattolica o con quello dell’estraneità ad essa.
E anche quello
dell’identificazione con la pastorale della Chiesa risulta, e sempre più
risulterà, un indicatore
approssimativo: dal momento che è ipotizzabile che le stesse gerarchie
ecclesiastiche assumeranno
posizioni progressivamente (magari tacitamente) differenziate. Come
pensabile, dunque, che sia il
Partito democratico a mostrarsi subordinato a quello che ritiene (sbagliando, si
scopre via via) la
dottrina della chiesa, quasi essa fosse monolitica e quasi essa corrispondesse
ad un dogma di fede?
Luigi Manconi l'Unità 16
dicembre 2008