Tanti delitti. È femminicidio


Tra le mura di casa gran parte delle brutalità. Il marito o il convivente è spesso l’aguzzino. All’origine ci sono sessismo e misoginia


Così Barbara Spinelli, una giovane giurista bolognese che collabora con l'Associazione Giuristi Democratici, descrive nel suo libro, «Femminicidio», (Franco Angeli), la strage di donne scoperta alla metà degli Anni Novanta in Messico. Le domande su quella discarica di corpi femminili nel deserto sono tante.
Quanti corpi vi furono seppelliti? C'era una organizzazione che convogliava gli assassini verso quel cimitero clandestino? «Si calcola che ne furono seppelliti oltre 4500. Purtroppo non è stata provata l'esistenza del reato di associazione a delinquere nei processi che si sono svolti. Nonostante che Patricia Gonzales, il Pubblico Ministero speciale nominato dal Governo, abbia chiesto l'incriminazione di 231 funzionari corrotti che tendevano a coprire gli assassinii».
Le ipotesi più credibili sulla strage di Ciudad Juarez sono, nell'ordine: vendette tra bande rivali di narcotraffico, tentativi di immigrazione clandestina attraverso il confine con gli Usa, «punizioni esemplari» per scoraggiare le rivendicazioni sindacali delle donne indigene che lavorano nelle multinazionali Usa delocalizzate in Messico. «Queste donne erano pagate un dollaro al giorno» - mi dice Barbara. E conclude: «La vita di giovani donne povere ,spesso indigene, non ha nessun valore in una cultura machista».
Ed è proprio qui il nodo-la cultura machista - che, alla luce del termine "Femminicidio", da poco immesso anche nel femminismo militante italiano, consente di collegare l'horror del cimitero clandestino messicano con le cifre degli assassinii di donne in Italia. Secondo le statistiche compilate dalla Casa delle Donne di Bologna, dal primo gennaio 2007 al 31 gennaio 2008 le donne assassinate in Italia sono state 126.In testa, tra gli autori dei delitti, il marito(35%), quindi l'ex marito(8%),seguono gli altri ex: convivente, fidanzato,amante(7%).
La prima parte del libro di Barbara è dedicata alla genesi della parola «Femminicidio». Vi si analizza l'antologia curata dalla sociologa e criminologa femminista statunitense Diana Russell ed intitolata «The politics of women killing» (1992). L'autrice identifica la caratteristica dell'uccisione di una donna nella misoginia o nel sessismo.
Nel primo caso è l'odio per il genere femminile ad armare la mano dell'assassino, nel secondo il virus «femminicida» si scatena dalla convinzione maschile della propria superiorità. Più o meno inconsciamente, l'assassino vuole punire chi, donna, «non sta al proprio posto».
Chiedo ancora a Barbara che cosa si sta facendo in Italia per ottenere il riconoscimento politico e giuridico del femminicidio?
Pensate di sviluppare anche una azione diretta a introdurre nel nostro Codice Penale il reato di «femminicidio»? «Non credo che si debba pensare alla formulazione di un nuovo reato. Abbiamo invece proposto che misoginia e sessismo siano considerati,al pari del razzismo,una aggravante nell'assassinio di una donna».

Adele Cambria     l’Unità 22.11.08