E’
difficile comprendere il recente affondo della Chiesa italiana contro il
governo per i ventilati tagli alle scuole paritarie, tra cui quelle
cattoliche hanno un peso rilevante. Lo sconcerto è diffuso più
nell’opinione pubblica che nel mondo politico (sempre diplomatico nei
rapporti con la gerarchia ecclesiale) e coinvolge non solo l’area laica
ma anche non pochi ambienti cattolici.
Intendiamoci: la Chiesa può avere molte frecce nel suo arco nel
rivendicare la parità di trattamento per le famiglie che scelgono la
scuola privata rispetto a quella pubblica, nel ricordare che questo tipo
di scuole hanno un peso piuma nel bilancio dell’istruzione (l’1%), nel
denunciare che il decurtamento previsto dal governo di 1/3 dei fondi a
suo tempo pattuiti dalla legge sulla parità scolastica può decretare la
fine di questo importante servizio «pubblico»; ancora, nell’osservare
che l’eventuale chiusura delle scuole «private» costringerebbe lo stato
a prendersi a carico anche gli allievi di questi istituti, con un forte
aumento della spesa pubblica per l’istruzione. Di qui la discesa in
campo della Cei, che parla di «crisi profonda» della scuola paritaria e
minaccia una mobilitazione in tutto il Paese degli istituti cattolici.
Ciò che colpisce in questa dura reazione non è il merito di una
questione da tempo controversa e sin qui senza una chiara (e
auspicabile) soluzione, quanto i tempi e i modi in cui essa si è
manifestata e il comportamento messo in atto al riguardo dagli attori
coinvolti.
In un momento di forte deficit delle risorse pubbliche, in cui la crisi
della finanza creativa sta affossando l’economia reale, in cui si
prevedono tagli e amputazioni per tutti i settori della società, desta
sorpresa che le scuole cattoliche pensino di sottrarsi alla cura da
cavallo a cui è sottoposto il Paese. La rivendicazione della Cei avrà
richiamato a molti la penosa situazione in cui versa la scuola pubblica,
che di tanto in tanto produce morti e feriti tra i giovani che la
frequentano, per la carenza di adeguate risorse per riqualificare gli
spazi e renderli all’altezza di un Paese civile. Chi ha più voce in
capitolo? Chi ha più diritto ad alzare la voce?
Il potere della Chiesa
Altro punto controverso della vicenda è la pronta risposta del governo
di fronte alla protesta dei vertici ecclesiali, che ha fruttato alle
scuole paritarie l’immediato ripristino dei fondi decurtati (120 milioni
per il 2009). Qui è emerso sia il «potere» della Chiesa nel far
cambiare idea al governo nel giro di qualche ora; sia il diseguale
trattamento che l’esecutivo riserva alle diverse parti sociali, pur in
un tempo in cui si predicano sacrifici per tutti. Le opere della
religione meritano certamente grande considerazione pubblica. Ma perché
i partiti al governo sono stati così solleciti nel ripristinare i fondi
per le scuole paritarie, mentre da mesi sono inflessibili nel confermare
i pesanti tagli che attendono le università italiane e una ricerca
scientifica sempre più ridotta al lumicino? È davvero sufficiente, come
qualche «maligno» ha detto, che il Vaticano fischi perché Tremonti e
Berlusconi obbediscano?
Singolare è anche la minaccia avanzata nella circostanza dalla Chiesa
per costringere il governo a modificare un provvedimento che penalizzava
le sue strutture. Se non ascoltate, le scuole cattoliche scenderanno in
piazza, potranno organizzare sit-in e lezioni all’aperto, «occuperanno»
i media, proprio come hanno fatto in questi mesi il personale dell’Alitalia,
le famiglie che protestavano contro il maestro unico, i dipendenti di
aziende travolte dalla crisi. Come a dire, che il linguaggio
rivendicativo è ormai di casa anche negli ambienti ecclesiali, disposti
a mostrare (magari con pudore) i muscoli per difendere i propri valori e
«interessi» e meglio operare per il bene comune.
L’insieme della vicenda è comunque intricato. Anzitutto, quella del
finanziamento della scuola privata (cattolica in particolare) è
un’annosa questione che divide tutti i raggruppamenti politici, anche se
i partiti del centro-destra sembrano i più sensibili e ossequienti ai
richiami della Chiesa. Inoltre, la campagna della Chiesa per la scuola
cattolica cade in un momento favorevole per l’istruzione privata, per la
crescente domanda delle famiglie di ambienti più seri e omogenei per la
formazione dei propri figli. Il trend rischia dunque di bloccarsi se lo
Stato non interviene, se le famiglie in un periodo di crisi devono
accollarsi per intero questo investimento formativo. Più in generale, la
Chiesa italiana non si capacita del perché nella «cattolica» Italia non
vi sia la parità di condizioni di scelta scolastica riscontrabile in
molti altri Paesi europei, pur più distaccati dalla tradizione
religiosa. Perché chi sceglie la scuola cattolica deve essere
economicamente penalizzato in Italia, mentre ciò non succede nella laica
Francia, dove gli istituti cattolici attraggono un numero di studenti
tre volte superiore a quello delle omologhe scuole italiane? In sintesi,
anche la crisi economica alimenta la battaglia sui temi della laicità
dello Stato, coinvolgendo quel finanziamento alla scuola paritaria che
da anni è oggetto di contesa pubblica. |