SUL CORPO DELLE DONNE

Il Vaticano condanna la campagna di Amnesty contro la violenza sulle donne e afferma di non voler più finanziare l'organizzazione.  Ma questa smentisce di aver mai ricevuto soldi dalla Chiesa o da organizzazioni legate ad essa. Anzi, finanziamenti del genere sarebbero addirittura incompatibili con il suo statuto


Ognuno, coi propri soldi, fa quello che vuole: non siamo obbligati a darli a una buona causa e, se proprio vogliamo farlo, possiamo scegliere quale causa sia la migliore, se finanziare la ricerca sul cancro, la profilassi antimalarica in Africa o i rifugi per cani abbandonati, o ancora un po' tutte queste cose insieme. Non si può pertanto fare una colpa alle gerarchie vaticane se hanno deciso, per bocca del cardinale Renato Martino, di non dare più un centesimo ad Amnesty International, che ha scelto, nel quadro della sua campagna contro la violenza sulle donne, di sostenere quella che il Vaticano chiama una posizione "abortista". Insomma, se per le gerarchie cattoliche l'aborto è un crimine orribile, non si può pensare che ne sostengano la depenalizzazione, e fin qui nulla da eccepire.

Il problema è che Amnesty dichiara di non aver mai ricevuto fondi dal Vaticano o da organizzazioni legate dalla Chiesa, e puntualizza che tali finanziamenti sarebbero incompatibili con il suo statuto, che sancisce l'assoluta indipendenza dell'organizzazione da ogni Chiesa e Stato. Insomma, non solo questi soldi non sono mai stati dati, ma non si sarebbero nemmeno potuti prendere, e proprio perché Amnesty vuole mantenere la propria indipendenza di giudizio politico e morale, vale a dire che vuole evitare di trovarsi nella posizione in cui, stando alle gerarchie vaticane, dovrebbero stare tutti i fedeli di Santa Madre Chiesa: inginocchiati a farsi dire che fare.

Nel merito, la posizione dell'organizzazione è semplice: il divieto di abortire è di fatto un'imposizione sul corpo delle donne, che in alcuni casi (specie in America latina) arriva, con la piena benedizione della Chiesa, a prevedere la prigione per donne e medici colpevoli di aborto anche in caso di gravidanza extrauterina, vale a dire quando è in pericolo la vita della madre. Riconoscere alle donne la possibilità di interrompere la gravidanza in strutture che non mettano a rischio la loro vita, e di potersi rivolgere agli ospedali invece che alle mammane, significa semplicemente ridurre uno dei casi più evidenti, e più elementari, di discriminazione sessuale: dire che l'aborto deve essere perseguito con la forza delle leggi significa prevedere una fattispecie di reato legata in modo essenziale alla forma degli organi riproduttivi, né più né meno.

Ciò non implica, ovviamente, che Amnesty si schieri a favore dell'aborto o che si riduca il suo impegno contro il ricorso coatto a pratiche abortive come forma di controllo della popolazione imposto da alcuni Stati, o contro l'aborto selettivo, che si esercita soprattutto per prevenire la nascita di figlie femmine. A queste condizioni, la presa di posizione della Chiesa diventa decisamente più eloquente e inquietante: al di là della scarsa efficacia fattuale del rifiuto di finanziare Amnesty, quello che emerge è che, in nome del "diritto alla vita", si toglie ogni legittimità a qualsiasi soggetto che non ne rispetti la forza assoluta, nella misura in cui la Chiesa viene percepita come un'autorità morale superiore alla stessa Amnesty International. Significa che chi non condivide la guerra santa all'aborto diviene con ciò stesso complice di questo preteso crimine, e che ogni altra attività, per quanto meritoria, viene semplicemente obliterata.

La sovranità delle donne sul proprio corpo è la vera posta in gioco, sia quando si vuole la depenalizzazione dell'aborto, sia quanto si cerca di impedire l'aborto coatto: ma proprio qui, su questa sovranità illimitata della persona su se stessa, si abbatte il fulmine della maledizione ecclesiastica. Maledizione che trae ogni sua forza dall'assunto che questa piena sovranità sarebbe illusoria e blasfema, visto che negherebbe la supremazia divina su ogni creatura, e che lo Stato, come il braccio secolare di qualche tempo fa, non può altro che interpretare questa fondamentale verità di natura. In gioco, insomma, c'è la libertà nella sua forma più elementare e ineludibile, quella del proprio corpo: un corpo che non può essere torturato, seviziato, imprigionato secondo l'arbitrio dell'autorità, e nemmeno costretto ad abortire o a partorire. Non stupisce che Amnesty ne faccia il tema di una sua campagna mondiale, e stupisce ancora meno che lo faccia la Chiesa, sempre attenta a ribadire la natura umana come fondamentalmente prigioniera del suo Gendarme assoluto.

 

Nane Cantatore      Aprile online 13 giugno 2007