Storie di fede e di
tornaconti
L’invito di Benedetto XVI ai ragazzi raccolti nel meeting australiano, conferma
la dottrina morale
della Chiesa: no alle guerre, al razzismo, all’ emarginazione. Impegna ogni
cattolico a combattere la
povertà e a disertare l’iperconsumismo, pericolo mortale che allarga la
diffidenza tra le classi
fortunate e la folla dalle tasche vuote. Diventa radice di un disordine etico
che soffia nel disordine
sociale. Impossibile non essere d’accordo. Ogni fedele lo è. Ecco lo sconcerto
dell’inchiesta che fa
sapere come in Italia la maggioranza dei cattolici obbedienti al magistero della
Chiesa abbiano
votato per i teologi delle impronte digitali, o per divorziati che confessano al
telefono trasgressioni
goderecce, o per signori che per pudore nascondono la tessera della loggia
segreta P2 ma non la
ricchezza che gli intrighi di banche e finanza hanno accumulato attorno ad un
potere dai misteri
impenetrabili.
Potere ormai assoluto, come tutti sanno. Nessuno lo può giudicare, nemmeno tu:
vecchia canzone
trasformata nella legge che ammanetta la giustizia. Storie quotidiane della
nostra democrazia
privatizzata.
Solo una curiosità: tornando in Italia da Sidney con l’entusiasmo che la
fraternità accende, cosa
avranno raccomandato i ragazzi ai genitori che hanno scelto la destra xenofoba
per blindare conti,
giornali e televisioni con leggi modellate sul tornaconto di una sola persona?
Non proprio sola: la
proteggono cortigiani insediati come guardaspalle in Parlamento. E i genitori il
cui voto non tiene
conto delle indicazioni del Papa, con quali parole possono avere risposto? E
sacerdoti e vescovi e
principi della Chiesa con quale passione operano nella società disuguale per
favorire la messa un
pratica delle raccomandazioni di Ratzinger?
L’impressione è che la gerarchia di Roma continui a sfogliare buoni propositi
senza viverli assieme
al popolo dei credenti i quali si arrendono a modesti tornaconti. Se votano così
vuol dire che Sua
Santità va bene quando benedice i pellegrini dalla finestra di piazza San
Pietro, per il resto meglio
lasciar perdere: esistono profeti più piacevoli. Impressione italiana che
riflette il dramma dei fedeli
dell’America Latina, continente dove si raccoglie la maggioranza dei cattolici
del mondo.
Si è aperta una crisi della quale si parla poco anche se avvilisce il primato di
Roma. Il Brasile perde
un milione di cattolici l’anno: si rivolgono alle sette del nuovo
protestantesimo. E chi mantiene
l’obbedienza si trova a disagio per la lontananza di Roma dai problemi
quotidiani dopo le ombre
calate con educata perseveranza sulla teologia della liberazione: messi tra
parentesi i preti che
condividevano le pene dei meno felici cercando assieme una dignità sociale
accettabile.
Vent’anni dopo l’oscuramento cosa è rimasto? «Dio e i poveri», risponde Pedro
Casaldaliga,
vescovo emerito di una sterminata diocesi brasiliana. L’ultima protesta sta
provocando la scissione
che minaccia le gerarchie romane del Venezuela. Per il momento limitata, ma
l’allarme dei vescovi
locali ne fa capire l’agitazione. Nello stato petrolifero di Zulia un anno fa è
stata annunciata la
nascita di una Chiesa Cattolica Riformata. La settimana scorsa, a Caracas,
Leonardo Martin
Saavedra, primate della Chiesa Anglicana in America Latina, ha consacrato i
primi tre vescovi in
apparenza cattolico-protestanti, e monsignor Ubaldo Santana, presidente della
conferenza
episcopale lancia l’allarme: attenti a non lasciarvi ingannare da preti senza
vere gerarchie, sciolti da
ogni castità e schierati col presidente Chavez. Ne vengono considerati «angeli
politici». Non è
proprio così. I preti della Chiesa riformata vivono nei barrios (favelas) e zone
disagiate. Assieme a
sacerdoti e missionarie cattoliche appoggiano l’impegno del governo a combattere
la miseria.
La ribellione a Roma è forse il riflesso della ribellione alla sbiadita Chiesa
locale, conservatrice e
pragmatica nella difesa dei privilegi di una borghesia che non ha problemi di
sopravvivenza. Ma se
l’America è lontana e l’inquietudine moltiplica le sette, altre inquietudini
attraversano le nostre
abitudini. Di ieri il botta e risposta tra «Noi siamo Chiesa» e il portavoce
della sala stampa vaticana
padre Federico Lombardi. Assieme a 58 associazioni cattoliche americane ed
europee,
Vittorio Bellavite di «Non siamo Chiesa» italiana, prega il Papa ad avviare un
processo di riforma
restando fedele agli aspetti positivi della dottrina cattolica sulla sessualità
e abrogando la
proibizione alla contraccezione. Le posizioni di Roma avrebbero esposto milioni
di persone al
rischio della vita nell’Africa divorata dall’Aids. Padre Lombardi si limita a
dire: chi firma l’appello
è noto per le posizioni contrastanti al magistero della Chiesa. Forse non al
magistero, ma alla
lontananza da situazioni drammatiche condivise da una certa parte di sacerdoti
brasiliani i quali
distribuiscono ai fedeli che tirano la vita nei gironi della miseria, le solite
cose: profilattici, eccetera
«per evitare lo sterminio africano».
Non è la disperazione italiana; è una disperazione diversa, ma non tanto. Lo
testimonia proprio «We
are Church», Noi siamo Chiesa, movimento nato attorno all’appello firmato in
Svizzera e Germania
da 2 milioni e 300 mila fedeli. Ad inquietare i cattolici non banali non è solo
una morale che
riguarda sesso, controllo nascite, staminali, aborto ed eutanasia, ma la società
che sta rialzando quei
muri caduti vent’anni fa e si sperava per sempre. Cercano risposte negli
incontri che si moltiplicano
nelle vacanze: Cittadella di Assisi; interventi al convegno tra agosto e
settembre della Rosa Bianca,
cattolici cresciuti sulle testimonianze di Dossetti, Turoldo, Camillo Dal Piaz,
Scoppola, Ardigò,
Prodi, Veltroni, Rosy Bindi. Tanti così.
Attenzione, questa Rosa Bianca non è il fiore rubato da Pezzotta e dal senatore
Baccini: volevano
trasformare in ventaglio elettorale il martirio di quattro ragazzi e il loro
professore, decapitati nella
Germania di Hitler. Stava per diventare l’icona del movimento politico del
Baccini che ha favorito
l’elezione di Alemanno postfascista a sindaco di Roma. Per fortuna un tribunale
lo ha impedito.
Forse per approfondire la spiritualità dei cattolici berlusconiani, Macondo,
associazione di impegno
religioso diffusa nel Veneto e guidata da padre Giuseppe Stoppiglia a Pieve del
Grappa, cuore del
nord est leghista; Macondo, organizza fine agosto ad Asiago un raduno che ha per
titolo: «Amore
politico». Incontri col filosofo Robero Mancini ed Alessandra Comaso, magistrato
di Trapani,
impegnata nell’educazione alla legalità. L’introduzione di Stoppiglia fa capire
quale sarà il filo
conduttore: «Parliamo di politica anche per reagire al clima di sgomento e di
rassegnazione: subire
l’esito e il significato degli avvenimenti è segno di subalternità e di
indifferenza verso xenofobia e
razzismo che fanno leva sulla paura. Il governo dei ricchi voluto dai poveri è
democrazia ma non è
giustizia. Se la Chiesa tace o acconsente, disorienta. Il ricco che esibisce il
potere della ricchezza e
l’ammiratore del ricco sono tipi umani regrediti nell’evoluzione. Il ricco ha
necessità di esercitare il
potere sugli altri, ma il ricco ha sempre paura: per difendere il potere si
costruisce leggi favorevoli.
Quando il ricco diventa modello sociale, il problema non è tanto politico, ma
antropologico.
Privilegia i lati deteriori della natura; governa con blandizie e sviluppa
aspetti non essenziali alla
convivenza umana. Prima o poi questo tipo di violenza svuota le energie della
gente dirottandole su
obiettivi minuscoli: l’interesse privato e il possesso materiale primeggiano
sugli ideali. La nostra
società - scuola e cultura, religione e Chiesa, politica e informazione, vita
quotidiana e famiglie-
non ha saputo produrre frutti migliori per evitare che la maggioranza fosse
attratta da un certo
esemplare umano. Bisogna allontanare i ricchi epuloni che banchettano sulle
anime dei poveri.
Provocazione troppo forte ? Provocare è l’esigenza della verità. Solo se
abbiamo l’occhio lungo e
libero da ossequi storici programmati, possiamo accorgerci del messaggio di
Cristo, quello della
“folla dei servi inutili”. Dobbiamo ripensare e discutere assieme per
sconfiggere la rassegnazione».
Radicale ma chiaro.
Nelle stesse ore arriva l’annuncio che la Conferenza dei vescovi italiani
progetta parrocchie
disegnate da grandi architetti. Altari preziosi, che allegria; anche se non sono
proprio i mattoni dei
quali i cattolici a disagio sentono il bisogno. Desiderano che la Chiesa
riprenda posto fra i problemi
della gente, non importa dove e non importa in quale cornice.
Maurizio Chierici l'Unità 28 luglio 2008