La nascita del papato. Alcuni interrogativi

Panoramica del V secolo

I processi che abbiamo visto iniziare nella chiesa del IV secolo (dopo la svolta costantiniana) troveranno il loro completamento nel V. Tra essi, uno dei più inquietanti riguarda l'istituzione del papato, la cui nascita, anche se i prodromi sono precedenti, si può ben collocare in questo periodo. Tuttavia, il papato, così com'è giunto fino ai nostri giorni, risale a Gregorio VII, sette secoli più tardi

. Alcune date importanti di questo secolo sono:

476 - caduta dell'Impero Romano d'Occidente. La Chiesa si sostituisce, di fatto, all'Impero.

498 - battesimo cattolico di Clodoveo, re dei Merovingi. Il suo è il primo grande regno barbarico che, in qualche modo, entra in accordi con Roma. Per i regni barbarici che si andavano affermando, ciò significava ereditare tutte quelle ricchezze di vario tipo appartenenti all'Impero Romano ormai scomparso. Vedremo come la Chiesa gestirà questi regni, cercando di attirarli a sé e riuscendoci in maniera formidabile. Clodoveo sarà appunto il primo. Nel 1998, in Francia, è stato celebrato l'anniversario di quell'evento, riproponendo, in modo moderno, la logica dei secoli IV e V.

431 – Concilio di Efeso.

451 – Concilio di Calcedonia.

I contenuti delle eresie si sposteranno dagli aspetti cristologici a quelli trinitari e ai problemi legati all'antropologia; si pensi alle dispute tra Agostino e Pelagio sulla salvezza dell'uomo.

Nel V secolo la chiesa comunitaria si trasforma sempre più in chiesa centralizzata. Si passerà dal vangelo alla dottrina e la Bibbia diverrà appannaggio del monachesimo, la cui versione occidentale nascerà, appunto, il secolo successivo. La Chiesa si sente sempre più erede di Roma, da cui riceve in eredità la burocrazia ed anche il concetto dell'unità che, se nell'Impero era garantita dalla persona dell'imperatore, nella Chiesa lo è dalla figura parallela del sommo pontefice. Ciò porterà allo spostamento, dal paradigma ellenistico-cristiano (che nel terzo secolo aveva sostituito quello giudaizzante), a quello romano-cattolico. Accanto a questo, nascerà anche il paradigma germanico. I due rimarranno a lungo in parallelo, scontrandosi ferocemente. Con Gregorio VII il paradigma romano vincerà su quello germanico.

Come cambia la visione della Chiesa nei secoli

Inizia una storia di documenti falsi usati ancora oggi per supportare pretese di temporalità della Chiesa. Da un potere di merito si passerà ad un potere d'autorità religioso, giuridico e burocratico. Questo potere diventerà poi temporale con Gregorio Magno (VI/VII secolo) e assoluto con Gregorio VII (XI secolo).

Il Papato

Nei primi tre secoli non esiste un papato, anche se al vescovo di Roma è riconosciuto un potere di merito. Potere che, tuttavia, può essere (e spesso lo è) contrastato. Poi questa supremazia si trasforma gradualmente in autorità religiosa (imposizione alle altre chiese delle verità da credere o da non credere). Dal V secolo comincia a divenire un potere giuridico-burocratico (ingerenza nelle altre chiese, per esempio sulla nomina dei vescovi).

Con Gregorio I (Magno), 590-604, il vero iniziatore del paradigma romano, il potere diventerà anche temporale. Gli scontri saranno tra il paradigma germanico che vuole l'impero autonomo dal papato e il paradigma romano che postula la supremazia del papato. Con Gregorio VII il potere non sarà solo temporale, ma anche assoluto, in cielo, in terra e sotto terra, su re ed imperatori. L'evoluzione sarà continua ed arriverà alle soglie del nostro secolo con la costituzione Pastor aeternus del concilio Vaticano I (1870) che sancisce l'infallibilità del papa.

Evoluzione del potere del vescovo di Roma

Un presunto catalogo, apparso nel 354 come “Catalogus Liberianus” ed imposto da papa Liberio (352/366), riporta un elenco ufficiale di papi da Pietro, l'apostolo:

Pietro 67-68 (però, secondo gli studi, dovrebbe essere morto almeno 10 anni prima…), Lino 67-76, Anacleto (o Cleto) 76-88, Clemente I 88-97, Evaristo 97-105, Alessandro I 105-115, Sisto 115-125, Telesforo 125-136, Igino 136-140, Pio I 140-155, Aniceto 155-166, Sotero 166-175, Eleuterio 175-189, Vittore I 189-199, Zefirino 199-217, Callisto I 217-222, Urbano I 222-230, Ponziano 230-235, Antero 235-236, Fabiano 236-250, Cornelio 251-253, Lucio I 253-254, Stefano I 254-257, Sisto II 257-258, Dionisio 259-268, Felice I 269-274, Eutichiano 275-283, Caio 283-296, Marcellino 296-304, Marcello I 308-309, Eusebio 309-310, Melchiade (o Milziade) 311-314, Silvestro I 314-335, Marco 336, Giulio I 337-352, Liberio 352-366.

Questo catalogo si svilupperà in seguito nel Liber Pontificatis, un testo ufficiale privo di fondamento storico.

Il primato del vescovo di Roma è riferito all'inizio all'apostolo Pietro, usando il vangelo di Matteo:

“E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli.” (Matteo 16,18-19)

A parte ciò che sostiene il catalogo dei papi, le tracce storiche che potrebbero sostenere un primato del vescovo di Roma sono, nei primi secoli, scarsissime. Verso la fine del II secolo, il vescovo romano Vittore scomunicò l'intera Asia Minore perché non accettava la data della Pasqua. Ireneo protestò annunciando che sarebbe giunto a Roma per cacciare via Vittore il quale allora ritirò la scomunica. Più tardi (siamo alla metà del III secolo) Stefano minaccia la scomunica a chi battezza gli eretici, ma Cipriano, vescovo di Cartagine, e i vescovi di Alessandria e Cesarea continuano a farlo. Stefano, per affermare la sua autorità, si richiama alla promessa fatta a Pietro, ma non è accettato dagli altri vescovi. È, però, talmente deciso nella sua posizione, da giungere ad oltraggiare Cipriano. È il primo caso di manipolazione di Mt 16,18-19 e di arroganza di un vescovo verso un altro vescovo.

Questi episodi, però, oltre ad essere rari, dimostrano che il potere del papa è solo successivo. Sicuramente è sconosciuto al tempo di Pietro, ma poi c'è da osservare che né Vittore né Stefano potevano imporsi con le loro richieste, essendo l'imperatore il vero Pontifex Maximus, titolo che sarà riservato a lui fino alla caduta dell'Impero nel 476. L'imperatore aveva potere di decisione sulle questioni ecclesiastiche (ius in sacris). Per esempio Costantino non si sogna nemmeno di consultare il vescovo di Roma per convocare il concilio di Nicea: lo convoca e basta.

Dopo la svolta di Costantino, il citato testo di Matteo è usato a sostegno di un diritto di Roma (come città) di essere al primo posto (Damaso e Leone). Questa è una svolta fondamentale per la nascita del papato. L'esegesi orientale, fino all'VIII secolo, riferiva questo testo solo alla fede personale di Pietro ed al potere di rimettere i peccati.

La data del 350 si può usare per segnare un inizio dell'ascesa della comunità di Roma e del suo vescovo il quale comincerà ad avere una supremazia monarchica. Questo in Occidente. L'Oriente non accetterà mai la supremazia del vescovo di Roma, anzi, nel 1054 se ne staccherà definitivamente con lo scisma che segnerà l'inizio della chiesa ortodossa.

Le riflessioni teologiche sul monoteismo favoriranno le inclinazioni monarchiche della chiesa romana: un solo Dio, un solo papa.

Solo a Roma cominciano a crearsi delle cancellerie, con tanto di archivi con la registrazione di tutta la posta in arrivo e in partenza. Le parrocchie rimarranno per secoli l'unica anagrafe attendibile, perché registreranno tutte le nascite e le morti. È la struttura organizzativa “imperiale” che si trasferisce alla Chiesa.

Cominciano forme di privilegio riservate al clero romano, come per esempio l'esenzione dalle tasse, e nasce una giurisdizione ecclesiastica per le questioni di fede del diritto civile. I vescovi di Roma cominciano ad ampliare tenacemente le loro competenze, imponendo una sorta di patriarcato nell'Occidente e tendendo ad acquisire un dominio su tutta la chiesa universale.

Tappe della nascita del papato

Individuiamo ora, in modo più dettagliato, le varie tappe che hanno portato alla nascita del papato. Le date si riferiscono al periodo in cui è in carica il vescovo protagonista, per così dire, della tappa.

1a tappa: 337-352 Giulio
Giulio, vescovo di Roma, decide che Roma deve diventare “Istanza di Appello”. Questo significa che, per quanto riguarda le controversie che sorgono nelle varie chiese, le parti contraenti possono appellarsi a Roma se non sono soddisfatte delle decisioni locali. Nel 343, un canone del sinodo di Serdica (l'attuale Sofia in Bulgaria), composto di soli vescovi occidentali, permette l'appello a Roma dei vescovi deposti.

2a tappa: 366-384 Damaso
Sotto il vescovo Damaso, Roma applica autonomamente a se stessa la promessa neotestamentaria fatta a Pietro (Matteo 16,18-19). Ricordiamo che Damaso era stato uno dei tanti protagonisti della lotta fra ariani e cattolici; la sua elezione, contrastata dal rivale Ursino, fu segnata da sanguinosi tumulti nel popolo romano in cui morirono ben 137 persone. Il fatto gli costò l'accusa di omicidio, ma Damaso si salvò dalla condanna grazie ad amici dell'imperatore che intervennero a suo favore. La sua stessa intronizzazione a vescovo di Roma avvenne per l'appoggio del prefetto imperiale dell'Urbe. Quest'ambizioso vescovo romano, chiamato dalle cronache del tempo “solleticatore delle orecchie delle donne”, usò, per la prima volta, il termine “Sede Apostolica” per Roma la cui chiesa, a suo giudizio, era superiore a tutte le altre. Cominciò anche ad ornare riccamente le tombe e le chiese dei martiri Pietro e Paolo, anticipando la munificenza dei papi del rinascimento e dell'epoca del barocco, allo scopo di favorire i pellegrini che cominciavano a venire a Roma, ma soprattutto per accrescere il prestigio della Sede Apostolica. Lo affianca un collaboratore fidato, Girolamo (cui abbiamo accennato nella panoramica dei padri del IV secolo) famoso per la cosiddetta Volgata. Per ordine di Damaso, infatti, Girolamo traduce, in un latino più comprensibile alla gente del suo tempo, la Bibbia, in sostituzione di traduzioni precedenti (sembra che ce ne fossero almeno due: una a Roma ed una in Africa) che erano scritte in una lingua più antica. Per l'A.T. si basa sul testo ebraico, mentre per il N.T. si limita a rivedere l'antica versione latina. Questo latino moderno traduce molte espressioni della Bibbia ebraica con locuzioni prese dal diritto romano, per cui la traduzione finisce spesso col tradire il testo originale; però diventerà normativa dal punto di vista ecclesiastico, teologico, liturgico e giuridico. Lo stesso termine Volgata deriva da volgo: è la versione che deve avere il popolo.

3a tappa: 384-399 Siricio
Con Siricio, Roma adotta lo stile ufficiale della casa dell'imperatore. Siricio comincia a definire apostolici i propri statuti (quello che scrive è apostolico, nel senso che deriva direttamente dagli apostoli) e si designa con il termine papa. Alla fine del V secolo tutti i vescovi di Roma prenderanno questo titolo.

4a tappa: 401-417 Innocenzo
Roma promuove definitivamente con questo vescovo il centralismo. Con una serie di decreti, Innocenzo sostiene che ogni affare discusso nei sinodi locali deve essere presentato al vescovo di Roma per la decisione finale. Afferma inoltre che il vangelo sarebbe giunto alle varie province (la Gallia, l'Iberia, ecc.) solo attraverso Roma. Tutte le chiese, pertanto, dovranno seguire la liturgia romana. Solo la chiesa di Milano resiste con il rito ambrosiano che conserva tuttora.

5a tappa: 418-422 Bonifacio
Bonifacio rafforza la decisione del suo lontano predecessore Giulio, affermando che non esistono appelli alle decisioni di Roma che diventa “apostolicum culmen”. Al di sopra di Roma non esistono altre istanze: la prima sede può giudicare, ma non essere giudicata da alcuno. Ad onor del vero ci sono ancora vescovi di altre chiese che si possono permettere di ignorare queste imposizioni. Agostino, per esempio, vescovo di Ippona, non accetta che esista una giurisdizione di Pietro; per questo, circa un millennio dopo, sarà rimproverato dal Concilio di Trento.

6a tappa: 440-461 Leone I (Magno)
Leone Magno è un personaggio di alto livello, brillante giurista, ottimo pastore e predicatore. Nel 451 diventa anche uomo di stato e fa parte della delegazione romana inviata dall'imperatore incontro ad Attila, re degli Unni, che si preparava ad invadere l'Italia. Nella leggenda, accolta per primo da Paolo Diacono, Leone si presenta solo, ma protetto visibilmente dalla spada di Dio, davanti al terribile barbaro, alla confluenza del Po col Mincio. In realtà il suo successo sembra che derivi da un'ingente somma di denaro portata dalla delegazione ad Attila; e anche dal fatto che, nel frattempo, il generale romano Ezio stava entrando con le sue truppe a Mantova. Non ebbe, però, lo stesso successo nel 445 quando l'imperatore lo inviò incontro a Genserico, re dei Vandali; in quell'occasione l'unico accordo possibile fu di risparmiare dal saccheggio le basiliche romane! Elevato agli onori degli altari è stato il primo ad essere seppellito in S. Pietro come papa. È suo il termine plenitudo potestatis per indicare la pienezza del potere conferito a Pietro per la direzione dell'intera chiesa di Cristo (giuridico e pastorale) che passerà da successore a successore.

Dal punto di vista storico, la successione di Pietro da parte del vescovo di Roma viene giustificata anche con l'aiuto della lettera che il “papa” Clemente I invia a Giacomo “vescovo” di Gerusalemme alla fine del I secolo (quando Giacomo “fratello del Signore” dovrebbe avere più di 100 anni!), nella quale si sostiene che Pietro, in estrema disposizione, avrebbe trasmesso a Clemente il potere di legare e di sciogliere, costituendolo così suo unico e legittimo successore, con l'esclusione degli altri vescovi. In realtà la lettera di Clemente è un falso storico del II secolo, trascritto intorno al IV/V.

Dal punto di vista giuridico, la posizione del successore di Pietro viene definita esattamente con l'ausilio del diritto ereditario romano, secondo il quale Pietro “nomina” come erede il vescovo romano. Questi, però, non eredita le qualità ed i meriti dell'apostolo, ma l'ufficio, la funzione. Leone riconoscerà che tanto lui quanto i suoi successori sono indegni, ma affermerà l'importanza dell'essergli successori nell'ufficio. Secondo Leone, quindi, l'ufficio è più importante delle qualità della persona che lo esercita, anzi arriverà ad affermare che l'ufficio del papa è valido anche se chi lo sta esercitando in un dato momento è una persona indegna. Con queste premesse, non ci si può stupire che nel Medioevo si sia dato il caso di un papa eletto all'età di 13 anni.

Nel 451, al Concilio di Calcedonia (un concilio ancora non soggetto all'autorità del papa) il Tomus ad Flavianum di Leone, letto dai legati pontifici, venne accolto con gran successo, tanto da suscitare l'esclamazione: "Leone e Cirillo hanno insegnato la stessa dottrina, Pietro ha parlato per bocca di Leone”. La dottrina di Leone, malgrado alcune opposizioni, vince.

Oltre alle decisioni in materia di fede (in opposizione alle dottrine di Eutiche e di Nestorio) il concilio emise anche trenta canoni disciplinari, tra i quali diventò famoso il canone 28:

“Seguendo in tutto i decreti dei santi Padri e riconoscendo il canone dei 150 vescovi (concilio di Costantinopoli), abbiamo preso le medesime risoluzioni riguardo ai privilegi della santissima chiesa di Costantinopoli, la nuova Roma. I Padri, infatti, hanno accordato con ragione alla sede dell'antica Roma i suoi privilegi, perché questa città era la città imperiale. Per il medesimo motivo, i 150 vescovi hanno accordato che la nuova Roma, onorata dalla residenza dell'imperatore e del senato con i medesimi privilegi dell'antica città imperiale, deve avere i medesimi vantaggi nell'ordine ecclesiastico ed essere la seconda dopo di lei, di guisa che i metropolitani soltanto delle diocesi del Ponto, dell'Asia e della Tracia, ed i vescovi delle parti occupate dai barbari saranno consacrati dalla santa sede di Costantinopoli…”.

I legati papali chiesero invano l'annullamento del canone e vollero che almeno la loro protesta restasse agli atti. Leone, informato di tutto ciò, protestò contro il canone 28, ricordando la diversità dei due ordinamenti, ecclesiastico e civile. Gli storici, tuttavia, ritengono che la dichiarazione di principio del canone 28 non era allora presa alla lettera dai suoi autori, solleciti solo di ottenere nuovi onori a Costantinopoli, senza negare la supremazia a Roma. Le polemiche, però, non si placarono, anzi sfociarono dopo sei secoli nello scisma del 1054.

7a tappa: 492-496 Gelasio I
L'Impero Romano d'Occidente è già caduto quando Gelasio, segretario di Felice III, si stacca da Costantinopoli (capitale dell'Impero d'Oriente) mettendosi sotto la protezione dell'ariano Teodorico re degli Ostrogoti.

Divenuto papa, Gelasio sostiene che l'imperatore ha soltanto un'autoritas profana, mentre il papa ne ha una sacerdotale, spirituale. L'autorità spirituale, però, è superiore a quella profana e, di conseguenza, è competente dell'amministrazione dei sacramenti e, davanti a Dio, è responsabile dei sovrani secolari. È l'inizio di una lunga storia che, sei secoli dopo, culminerà in Gregorio VII.