IL SOVRANO E L'IDEOLOGO
La forma della Repubblica cambia nell'aula del senato alle
20 in punto, 171 sì 128 no e 6 astensioni al lodo Alfano che rende Silvio
Berlusconi immune dal virus della giustizia. Lo spettro del Sovrano Assoluto si
materializza, rigurgito di premodernità che scava la democrazia postmoderna. Ma
è di prima mattina, ore 10.30, seduta appena iniziata, che entra in scena
l'intendenza, addetta alla divisione ideologia. La guida Gaetano Quagliariello,
professione storico, senatore da due legislature, vocazione intellettuale
organico. Non nega, non sdrammatizza, non derubrica: rivendica, «a testa alta».
Altro che interessi personali del premier, dice: il lodo rende uno storico
servigio al paese.
Il paese, argomenta, soffre da sempre di una malattia, che si chiama
«illegittimità del potere politico» e si manifesta nel fatto che l'esercizio del
potere viene vissuto come un'usurpazione, fino a che il potente di turno non dà
segni di cedimento e diviene oggetto di spietata crudeltà popolare. Con
scientificità, diciamo, opinabile lo storico cita vittime illustri, da De
Gasperi a Fanfani, da Moro a Craxi; con furbizia da guitto si annette l'idea
dell'autonomia della politica di Togliatti, perché risalti di più l'ignavia dei
suoi eredi che a un certo punto presero a considerare la magistratura «una
casamatta gramsciana da conquistare per derivarne il potere sullo stato». Poi
arriva al punto: dopo l'89, la storia d'Italia è storia del doppio conflitto fra
potere politico e potere giudiziario, e fra giudici militanti e giudici
«servitori (o servi?) dello stato». Sì che tre vittorie elettorali non sono
bastate a togliere ai giudici il vizio di provare a delegittimare Berlusconi.
È tempo di voltare pagina: si sappia d'ora in poi «che un risultato elettorale è
definitivo fino alla successiva elezione», perché chi è legittimato dal popolo
deve poter fare quello che vuole senza sottostare a legge alcuna. E
l'opposizione ringrazi, perché il lodo le dà la storica occasione di liberarsi
da quella «sindrome di superiorità morale» che un altro storico, com'è noto, le
rimprovera un giorno sì e l'altro pure dalle colonne di un grande quotidiano.
Applausi. L'intellettuale organico ha svolto bene il suo compito. Ha preso i
fatti e li ha messi a testa in giù e piedi in aria, come si conviene a una buona
ideologia. Ha preso le carte e le ha mischiate col trucco, come si conviene a un
mediocre illusionista. Ha scambiato lo storico deficit di legalità che affligge
in Italia potere politico, potere economico e società civile e l'ha ribaltato in
un deficit di legittimità. Ha preso l'equilibrio fra i poteri, che in
Costituzione vincola il principio della legittimità politica al principio della
legalità, e l'ha trasformato in «due legittimità concorrenti, quella
dell'autorità giudiziaria e quella che deriva dalla sovranità popolare»,
rivoltando la tragedia in farsa. La tragedia, per dirla con le parole di
Gustavo Zagrebelsky, è il rischio assai prossimo che lo scarto che si sta
spalancando tra legalità e legittimità si trasformi nel conflitto insanabile
«tra una legittimità illegale e una legalità illegittima». La farsa è il
banale quadretto sempreverde di Silvio Berlusconi rincorso da frotte di toghe
rosse.
Da ieri però c'è anche una farsa che può rivoltarsi in tragedia. Finora troppo
pop, troppo cheap, troppo naïf, Silvio Berlusconi ha capito che gli serve un
apparato ideologico, un pennacchio intellettuale, una rilettura della storia
nazionale adatta allo scopo. E' l'ultima casamatta da espugnare all'egemonia che
fu della sinistra. Lo spettro della sinistra ci rifletta e riemerga anch'esso da
dov'è nascosto. È ora di ritrovare quantomeno una propria versione dei fatti e
dei misfatti.
Ida Dominijanni Il manifesto 23/07/08