Sottomessi e plaudenti

 

 Berlusconi che se la ride e se la gode non dovrebbe far parte del copione (l´uomo è pur sempre il presidente del consiglio e gli piacerebbe accreditarsi da statista), ma rispecchia la personalità e i sentimenti profondi: tanta arroganza e tanta strafottenza nel rivendicare per sé le virtù del lodo Alfano sono tipiche del bauscia (lombardo, sta per vanaglorioso) che vincendo tre a zero vuole anche infierire (con il medio allungato, alla maniera di Bossi) ma rappresentano pure, con schiettezza, con la più candida evidenza, utilmente quindi, la realtà per quella che è, vale a dire che un parlamento, numerosi ministri e uno in particolare hanno lavorato (e continueranno a lavorare, è più che probabile) nell´interesse esclusivo del capo. Tanta sudditanza di una maggioranza nei confronti del padrone non s´era mai vista. Neppure ai tempi neri del fascismo, probabilmente, perché allora la si poteva immaginare o fingere nobilitata da qualche adesione ideologica.

Adesso no, l´ideologie sono morte, secondo molti teorici della politica, e quindi, nella dominanza del mercato, gli affari sono affari, ovunque, pesati a colpi di carriere e, banalmente, di quattrini. Provate a fare i conti nelle tasche dell´onorevole avvocato Ghedini, che ha mirabilmente e vantaggiosamente fuso il mestiere del difensore a quello del parlamentare. E che sarebbe di Alfano, salito alla pompa del Guardasigilli (basta l´enfasi del nome), senza la sua instancabile e scattante operosità nel nome di Berlusconi? Un «onorevole» impiegato di provincia, un civilista di Agrigento? Più che la sgangherata autocontemplazione di Berlusconi, colpisce nei momenti comandati l´attonita atarassia di una folla di deputati e senatori, che si potranno dividere sui tagli della manovra ma si presentano compattissimi dove il capo ordina: sono una compagnia a libertà condizionata, in licenza se si parla d´altro, se non si parla di retequattro o di processi. Se il centrosinistra avesse mostrato qualche volta un decimo di tanto granitica certezza, magari Prodi sarebbe ancora al governo e ci risparmieremmo gli spettacoli peggiori.

Nell´obbedienza c´è di mezzo una legge elettorale, che cancellando le preferenze la pretende assoluta, ma un tocco di dignità dovrebbe lasciar correre qualche sfumatura. Non è possibile credere che a proposito di giustizia o di reti televisive i pareri siano sempre così unanimi nel secondare le aspirazioni del capo, non è possibile che Gasparri si immedesimi nella parte da non mostrare la virgola di un distinguo o che un vecchio dc o un vecchio socialista non sentano la voglia di rispolverare qualcosa dell´antica verve polemica. Niente. Partecipiamo della gloria, cantiamo in coro, le figurine attorno al sovrano. I postfascisti ricorderanno con nostalgia: «Potevo fare di quest´aula sorda e grigia il bivacco dei miei manipoli», Mussolini aveva anticipato tutti.

Ovviamente la ricaduta è universale: dal trono di Berlusconi alla sedia elettrica di Novegro la distanza sembra un abisso, ma è meno profondo di quanto sembri. Non sembra che le reazioni (parliamo della cosiddetta società civile) siano forti. Ci saranno, ma minoritarie ed essere minoritari (e quindi critici, renitenti al potere, forti degli ideali eccetera) non aiuta di fronte alla sordità dei più. Le tappe intermedie nel degrado del belpaese sono tante e quelle importanti ovviamente le percorrono i media nazionali (basterebbe mettere assieme due o tre ore di serate televisive per capire che cosa ormai sia diventata la cosiddetta «cultura popolare» in Italia). Anni fa si dibatteva sull´uso della parola «regime» e la vittoria di Prodi ovviamente smentì i suoi propagandisti. Non sarebbe una consolazione accertare ora che al «regime» siamo finalmente arrivati. Il problema è dell´opposizione (quella politica e quella civile): come rianimare la coscienza del Paese (quando ascoltiamo Bossi viene da dubitare che esista un paese, quando ascoltiamo i suoi alleati viene da pensare che il Paese sia solo la somma di interessi delle più diverse lobbies). Berlusconi se la ride e se la gode grazie pure a tal Giuliano Tavaroli, ex brigadiere, capo della sicurezza di una delle più vistose aziende italiane, regista di trame oscure. Tavaroli non solo dà il fangoso quadro generale e nel quadro getta fango su Fassino e il suo partito (cioè su un bel pezzo dell´opposizione politica), ma spiega anche con competenza quanto velenoso sia intreccio procure-informazione, quante «balle» si gonfino così, quanto sia torbida l´acqua. Quanto abbia ragione Berlusconi.

 

Oreste Pivetta       L’Unità 25/7/08