Sotto il segno
della teologia della liberazione
Non si può parlare del Paraguay senza prima chiedere scusa per l’etnocidio
perpetrato dalle forze
della Triplice Alleanza (Brasile, Argentina, Uruguay) durante i cinque anni
della guerra. Allora, fra
il 1865 e il 1870, fu commesso un brutale genocidio in cui più del 90% degli
uomini adulti furono
uccisi o passati a fil di spada, e fra loro molti bambini. E’ un debito antico
che dobbiamo ancora
onorare. Ma adesso bisogna guardare avanti. Dopo 60 anni di dominio del Partito
Colorado,
finalmente, ha fatto irruzione una figura di alto livello etico e politico nella
persona di Fernando
Lugo. E’ stato un prete della Congregazione del Verbo divino e vescovo di San
Pedro, una diocesi
con molti poveri. Possiede un eccellente curriculum accademico, formato
all’Università gregoriana
di Roma in Scienze religiose e in Sociologia con specializzazione in dottrina
sociale della chiesa. E’
stato professore di teologia e membro del selezionato gruppo di consiglieri del
Consiglio Episcopale
latino-americano. Quello che ha marcato la sua vita sono stati gli anni in cui
ha lavorato in Ecuador
con le comunità indigene sotto l’ispirazione del vescovo di Riobamba, Leonidas
Proaño, famoso per
la sua pastorale indigenista di stampo nettamente liberatore poiché si proponeva
di formare una
chiesa dalla faccia indigena nella sua forma di pregare, di pensare e di vivere
la fede. Di ritorno in
Paraguay e divenuto vescovo, si calò profondamente fra i poveri e nella cultura
guaraní (lui il
guaraní lo parla fluentemente). Questa pratica pastorale gli fece capire
l’esattezza delle intuizioni e
dei metodi della Teologia della liberazione che aveva appreso con monsignor
Proaño: partire
dall’universo dei poveri, dar loro visibilità e voce, unirsi con la loro causa,
partecipare delle loro
angustie e delle loro gioie lavorando perché divengano soggetti della loro
liberazione, costruttori di
un altro tipo di società e di un altro modello di chiesa fondato su una rete di
Comunità ecclesiali di
base. Calato negli ambienti popolari, ha sentito sulla sua pelle l’urgenza di un
cambiamento politico
nel suo paese. Non avendo personalità significative in grado di rompere la
«dittatura» del Partito
colorado e di combattere la corruzione presente in tutte le istanze del potere,
ha capito che poteva
essere lui a prestare questo servizio al suo popolo.
«Liturgia» nel senso antico della chiesa, più che un insieme di riti e
celebrazioni, era intesa come
servizio al popolo nella ricerca del bene comune. E’ questo tipo di
«liturgia» che è stata assunta dal
vecovo Lugo. Ha coordinato la formazione della «Alleanza patriottica per il
cambio», appoggiata
dal Partito liberale radicale autentico e da un gruppo di partiti minori che
l’hanno portato alla
presidenza della repubblica. Da principio il Vaticano si è opposto alla sua
decisione, arrivando fino
a sospenderlo «a divinis», ossia a proibirgli di esercitare il ministero. Ma una
volta eletto ha
prevalso la sensatezza e ha accolto la sua richiesta di tornare allo stato
laicale. E’ poco felice
l’espressione canonica «riduzione allo stato laicale» per il semplice fatto che
questo stato è quello di
Gesù, come dice l’epistola agli ebrei, poiché notoriamente Gesù non era della
tribù di Levi, quella
dei sacerdoti, ma della tribù di David, quella dei laici, dei re e dei poeti.
Pertanto, è stato promosso
allo stato laicale, quello di Gesù. Vuole esercitare il potere dando
centralità ai poveri e al popolo
guaranì. Ha messo in chiaro che non vuole fare della politica il suo obiettivo
di vita, ma solo una
fase passeggera di servizio. E’ un uomo che sa ascoltare e prendere
quello che viene dal basso,
frutto dell’esperienza di molte generazioni. E’ un onore per la chiesa e per la
stessa Teologia della
liberazione offrire un quadro di tale spessore politico ed etico per servire un
popolo che ha tanto
sofferto nel corso della storia e che merita un destino migliore, al fianco e
insieme alle nuove
democrazie del continente.
Leonardo Boff ( teologo brasiliano)
il manifesto 15 agosto 2008