Sono razzista, ma
sto cercando di smettere
Di razze umane ce n'è una sola, quella umana, diceva Einstein. Eppure
certi sentimenti non
smettono di circolare. Siamo tutti parenti, discendenti dagli stessi
antenati africani che hanno
colonizzato in poche migliaia di anni tutto il pianeta, ce lo hanno insegnato in
prima quando facevamo
la preistoria.
Niente razze, ma molto razzismo. Nella nostra cultura, nei tanti luoghi comuni
in cui inciampiamo
ogni giorno, nei pregiudizi che ci guidano attraverso le piccole e grandi
vicende della vita e che ci
portano a subire, dire, fare o semplicemente pensare cose razziste. Un esempio?
Ero su Facebook.
Stavo navigando a caso. Vedo un bel po' di gruppi con lo stesso titolo: «+rum, -
rom». Mi
incuriosisce. Il più popolato ha più di tremila iscritti. Leggo alcuni
interventi. La maggior parte dei
commentatori, a giudicare dalle foto, ha sui vent'anni. Ne riporto alcuni, con
nome e cognome.
Sedetevi. Marco Piras: «Mettiamoli nel Colosseo con i leoni dentro!». Carlo
Angioni: «Vanno
sterminati». Mauro Contu: «Vanno accolti... nelle camere a gas... ehehehhe... 60
anni Fa una
persona aveva capito il da farsi con questi bastardi... ci vorrebbe una bella
pulizia etnica!». Andrea
Cocco: «Che poi quando vengono intervistati i rom del c*** dicono sempre "non
essere colpa loro,
e loro essere brava gente"... quelli lì che hanno stuprato li buttassero dentro
all'Etna!». Michele
Placido: «Li metterei dentro una piscina di benzina e poi ci butterei un
fiammifero dentro!». Simone
Ragonesi: «Secondo me bisognerebbe sparare a vista appena si nota un gommone al
largo!». E via
di questo passo.
respingimenti
Ma io non scriverei mai certe frasi. Non invoco la censura, ma vorrei capire.
Internet è uno
strumento nato per migliorare le nostre comunicazioni. E questo sarebbe il
risultato? Rinfocolare
parole d'ordine che hanno più di 50 anni! Si potrebbe anche sostenere che queste
sono solo parole.
Forse. Ma possiamo consolarci così? La cronaca, anche di recente, segnala
un crescendo di atti di
violenza nei confronti di immigrati che potrebbero far pensare a una sterzata in
senso razzista del
nostro paese. Ne ricordo un paio. Un leghista, Matteo Salvini, il 7
maggio ha dichiarato: «Prima
c'erano i posti riservati agli invalidi, agli anziani e alle donne incinte.
Adesso si può pensare a posti
o vagoni riservati ai milanesi». Un episodio poco importante in sé, ma molto
rivelativo. Un altro,
più grave, che ha suscitato le preoccupazioni della Chiesa e perfino dell'Onu.
Alcune motovedette
italiane hanno riportato in Libia oltre 200 extracomunitari, tra i quali 40
donne (3 incinte) e 3
bambini, dopo averli soccorsi nel Canale di Sicilia. «E l'ordine più infame che
abbia mai eseguito.
Non ci ho dormito, al solo pensiero di quei disgraziati», ha detto uno degli
esecutori del
respingimento. Sì, perché la linea dura del governo ha anche inventato una nuova
parola:
«respingimento». E il presidente del Consiglio, difendendo la
scelta del governo della tolleranza-
zero nei confronti dell'immigrazione clandestina, l'8 maggio ha commentato
(titolo del «Sole 24
ore»): «La nostra idea dell'Italia non è multietnica».
Spostiamoci nel tempo e nello spazio. «Non amano l'acqua, molti di loro puzzano
perché tengono lo
stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e
alluminio nelle periferie
delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad
avvicinarsi al centro affittano a
caro prezzo appartamenti fatiscenti. Molti bambini vengono utilizzati per
chiedere l'elemosina.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al
furto e, se ostacolati, diventano violenti. Le nostre donne li evitano perché si
è diffusa la voce di
alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne
tornano dal lavoro. I
nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma,
soprattutto, non hanno saputo
selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che
pensano di vivere di
espedienti o, addirittura, attività criminali». No, non sono i rom, o i romeni o
gli extracomunitari.
Sono gli italiani. Il testo mi è arrivato via mail, sarebbe tratto da una
relazione dell'Ispettorato per
l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati
Uniti del 1912. Non
sono riuscito a controllarne la fonte. Vero o falso che sia, la materia del
pregiudizio è sempre la
stessa: la puzza, la poca voglia di lavorare, la prolificità, l'elemosina, la
violenza, la tendenza al
crimine, e in particolare allo stupro.
ma proprio un rom?
Come mai tanti italiani, a lungo stranieri nel mondo, in America ma non solo,
respingono l'altro?
Marco Aime, un antropologo dell'università di Genova, ha cercato di spiegare
come si è diffuso nel
nostro paese il pregiudizio contro gli stranieri in un libro, La macchia
della razza (Ponte alle
Grazie). Come mai tanti italiani, a lungo stranieri nel mondo, in America ma
non solo, respingono
l'altro. E lo fa rivolgendosi in forma di lettera aperta a Dragan, un bambino
rom, uno di quelli cui si
vorrebbero prendere le impronte digitali. Confesso che tra tutti proprio gli
zingari, i rom, non sono
mai riuscito a farmeli piacere, anche sforzandomi. Insomma: se uno zingaro mi
passa di fianco, mi
viene istintivo mettermi la mano sulla tasca posteriore dei pantaloni. In fondo,
tutti abbiamo avuto
un nonno o una nonna con la badante romena, ma uno zingaro in casa... no, quello
non ce lo vedo,
se non per rubare! E aprendo il pc leggo sempre su Facebook: «Il papa difende i
rom? Spostiamo i
campi nomadi nei giardini vaticani!». Ecco una delle conclusioni di Aime:
«Non è il razzista che mi
spaventa, Dragan, sono gli altri a fare paura. Tutti quelli che sanno, che
vedono e tacciono. I
complici silenziosi. Guardano il tuo dito sporco di nero e... Nulla. Qualcuno
tace, pensando che in
fondo te lo meriti, ma non ha il coraggio di dirlo apertamente. Zingaro, ladro,
in fondo cosa vuoi da
noi? Altri pensano che sia sbagliato, ma tacciono anche loro. Perché complicarsi
la vita? E poi, cosa
ci posso fare io?». Dunque c'è qualcosa di più pericoloso per Aime
dei razzisti. Sono quelli come
me, quelli che non accetterebbero di sentirsi dare del razzista. E che però di
fronte alla deriva
recente, non si mettono a rompere le scatole agli amici cercando di farli
ragionare. Sul fatto che il
vero problema è l'immigrazione, un fenomeno complesso e difficile da regolare.
Che in ogni caso
non si può trascurare il fatto che coinvolga persone umane che hanno diritto ad
essere trattate come
tali. Che il declino demografico che caratterizza il nostro paese soltanto gli
immigrati sono in grado
di colmarlo. Che l'Italia è ormai di fatto una nazione multi-etnica, con oltre 4
milioni e mezzo di
immigrati regolari. Con buona pace del presidente del Consiglio. Che la lentezza
con la quale l'amministrazione concede le regolarizzazioni fa sì che centinaia
di migliaia di persone
lavorino da anni in Italia come «clandestini». Che è poi il discorso che fa la
Chiesa.
Ma un discorso del genere servirà a convincere chi ha scritto le frasi razziste
su Facebook? Non
credo. Forse bisogna andare più a fondo. Forse bisogna vedere che cosa c'è
dentro di me, cominciando
dal rovesciare la convinzione che io non sono razzista nel suo contrario: sono
razzista, ma
sto cercando di smettere (come dice il titolo di un libro di Barbujani-Chioli).
E di Iì provare a trovare
qualcosa di comune tra me e i «razzisti». Più che di «razzismo» si
dovrebbe allora parlare di
paura del diverso, generata da fatti sociali ma rafforzata da conflitti
interiori. Insomma gli
extracomunitari non sarebbero altro che il capo espiatorio di una società in
declino morale, che
pretende di essere migliore di altre basandosi su paure che i nostri politici
non fanno altro che
alimentare. L'uomo avrà sempre paura di confrontarsi con l'altro, con il
diverso, perché vuol dire
cambiare e rivedere le proprie opinioni. E questo non tutti sono disposti a
farlo.
Antonello Ronca in “il foglio” n. 364 . mensile di
alcuni cristiani torinesi - del settembre 2009