Il sogno di Ratzinger: ricomporre lo Scisma d'Oriente
Benedetto XVI vuole accelerare il processo di riconciliazione con la chiesa ortodossa e lasciare un'impronta nella storia del cristianesimo. Ma le divisioni tra la concezione orientale e quella occidentale sono antiche e profonde
 

Il cuore della visita di Benedetto XVI in Turchia si avvicina: è la «Dichiarazione congiunta» che oggi il papa siglerà con il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Il motivo principale del viaggio di Ratzinger era sin dall'inizio il tentativo di rafforzare le relazioni ecumeniche e di dare un'accelerazione al processo di riconciliazione e alla comunione con la chiesa ortodossa. Un senso puramente interecclesiale, su cui si sono poi innestati tutti gli altri motivi.
Tant'è che il papa incontra per ben tre volte il Patriarca: per una liturgia ortodossa (celebrata ieri), per la firma della dichiarazione ufficiale (molto attesa, quest'oggi), per durante la messa cattolica a cui Bartolomeo parteciperà domani.
È un chiodo fisso quello di Ratzinger: nel suo pontificato intende lasciare un'impronta nella storia del cristianesimo soprattutto per i rapporti con le altre chiese cristiane. E fra queste quella ortodossa ha la priorità. Si tratta oggi di cercare di sanare una distanza allargatasi in oltre mille anni: il processo sarà dunque lungo e difficile, dato che vi sono alla base divisioni cronicizzate dalla storia, differenti percorsi culturali e, non ultime, insoluti nodi teologici e dottrinari.
Ma Benedetto XVI è armato di pazienza e ha messo in moto tutte le risorse possibili: dopo sei anni di stallo, ad esempio, è ripresa nel settembre scorso l'attività di studio e di confronto della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la due chiese. Il fine ultimo è, senza mezzi termini, l'unità piena, cioè la ricomposizione definitiva dello scisma d'Oriente che nel 1054 sancì il distacco dei Patriarcati di oriente (Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli) da Roma. Ripartendo, come ha sottolineato ieri papa Ratizinger, dai «sette Concili ecumenici che ortodossi e cattolici riconoscono come pietre miliari lungo il cammino verso la piena unità». Benedetto XVI ritiene che il cammino di riunificazione sarebbe oltremodo significativo anche in chiave europea, visto che le due chiese di oriente e occidente sono state definite già dal suo predecessore Wjotyla «i due polmoni della cristianità». Due polmoni che devono respirare, insieme, per ossigenare un organismo che oggi, a detta del papa, appare malato di relativismo e secolarismo: l'Europa. È pur vero che le divisioni fra concezione occidentale e orientale del cristianesimo ha radici molto antiche. Ben prima della simbolica data dello scisma si andavano infatti delineando due visioni del mondo: «cesaropapista» a Bisanzio (l'imperatore era capo civile e religioso), «bicefala» a Roma (almeno sulla carta, imperatore e papa erano figure distinte, detentori di potere temporale e spirituale). Alle ragioni storico-politiche si affiancarono ben presto quelle teologiche: il nodo principale, ancor'oggi irrisolto, è quello del «filioque», cioè da chi far «procedere» lo spirito santo: dal padre e dal figlio (per i cattolici); solo dal padre (per gli ortodossi).
Seguirono secoli di reciproca indifferenza, in cui le divisioni si sono accentuate: oggi la maggior parte dei vescovi ortodossi non riconosce i sacramenti cattolici, come invece accade ufficialmente (dal Concilio vaticano II) nella chiesa di Roma. Motivo ufficiale: la chiesa cattolica, non professando la «piena verità di fede», viene ritenuta «eretica». Ostacolo che sembra insormontabile è la nota questione del «primato petrino», cioè del ruolo del papa, la cui infallibilità è stata sancita nel Concilio vaticano I, nel secolo XIX. Tema, questo, su cui ci si attende un esplicito riferimento nella dichiarazione congiunta che oggi sarà divulgata. Non sembra invece tanto difficile trovare un accordo sui dogmi mariani del secondo millennio (l'immacolata concezione di Maria e la sua assunzione), proclamati in modo unilaterale dai papi Pio IX e Pio XII.
Bisognerà attendere il '900 perché la parola «dialogo» torni a fare capolino. In tre grandi fasi: quella del «dialogo della carità» degli anni 1958-1980, segnata da numerosi gesti simbolici e significativi testi di apertura ecumenica, come la lettera inviata da Giovanni XXIII al Patriarca Atenagora nel 1963, o come lo storico incontro fra Paolo Vi e lo stesso Atenagora, con l'abrogazione delle reciproche scomuniche, ieri ricordata da Ratzinger.
La seconda fase è stata quella del «dialogo teologico», con la nascita della Commissione mista cattolico- ortodossa. La terza fase è quella della soluzione dei nodi da sciogliere, fra i quali il primato del vescovo di Roma. Va notato però che questo cammino è stato condiviso in modo differente dalle 15 diverse chiese ortodosse, che sono «autocefale», cioè del tutto indipendenti fra loro. In questa famiglia di chiese, il Patriarca di Costantinopoli è «primus inter pares», ma il suo primato è di natura onorifica, non giurisdizionale. È quanto si chiede accada anche per il pontefice romano.

 

il manifesto 30/11/2007