Sintomi dello stato
di salute del cattolicesimo
Non è facile stabilire quale sia lo stato di salute del cattolicesimo italiano.
Molti i segnali, ma spesso
contraddittori. Espressioni di salute, ma anche sintomi di malattia: difficile
comprendere se
prevalgano i primi o i secondi. Difficile anche perché la comunicazione dei
segnali è quasi sempre
inquinata da pregiudizi, interessi, faziosità.
Si può partire da qualche segnale chiaramente negativo. Un titolo dell'agenzia
di informazione
«Adista»: «La secolarizzazione avanza e la chiesa cattolica arretra».
Qualche cifra, a conferma.
A Milano, un divorzio ogni due matrimoni (nel 2007, circa quattro mila
matrimoni, ma circa
duemila divorzi). Si noti che nel 2000 le statistiche parlavano di
millesettecento divorzi su poco più
di cinquemila matrimoni. Si aggiunga che a Milano ormai i matrimoni civili
superano nettamente
quelli religiosi (nel 2000 una certa parità).
Sul piano nazionale la situazione non cambia. Calo netto delle celebrazioni dei
«riti di passaggio»
(battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio).
Fra il 1991 e il 2006 i battesimi sono diminuiti del 18 per cento (nel 2006
soltanto il 76,6 per cento
è stato battezzato). Su mille cattolici nel 1991 circa dieci ricevevano la prima
comunione, nel 2006
soltanto otto ogni mille.
Le cose non vanno meglio se si guarda al mondo intraecclesiale.
Scendono notevolmente i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Crollano le
iscrizioni nei seminari,
mentre aumentano, per colmare le assenze, i sacerdoti importati da altre
nazioni.
Alla crisi interna si deve aggiungere l'arrivo nel nostro paese di una forte
immigrazione di altre
religioni, soprattutto musulmana. La gerarchia cattolica, comunque, non
sembra molto preoccupata.
Cerca soprattutto di mantenere una forte presenza istituzionale: si è parlato
addirittura di
neoguelfismo.
Non si intravede una seria e profonda riflessione su una situazione di laicità
ormai diffusa.
Non accettarla non è possibile e molto probabilmente non giova né alla
laicità né alla fede religiosa.
Filippo Gentiloni il manifesto
11 gennaio 2009