Silenzio di morte
Fino a due anni fa all’inizio dell’estate i titoli sulla «emergenza Lampedusa»
riempivano le prime pagine. Quest’anno l’«emergenza» è finita.
E il ministro Maroni se ne gloria. Ma tace, come quasi tutti i media, sul
costo di questo meschino trionfo in termini di vite umane.
Il costo è la condanna a morte di centinaia di uomini e di donne. I conti sono
semplici: dal 2008 al 2009 le domande d’asilo che per la metà venivano accolte
si sono dimezzate (da 15.000 a 8000). E il calo continua nel 2010. C’è la
sicurezza statistica che alcune migliaia di perseguitati non hanno potuto
raggiungere le coste italiane e salvarsi. Alcune migliaia di persone. Una
briciola rispetto agli ingressi illegali che infatti, via terra, continuano
massicci. I respingimenti hanno bloccato solo i disperati che fuggivano da
dittature feroci e dalle guerre.
Per assecondare la propaganda della Lega Nord il governo si è fatto
complice di un crimine contro l’umanità. E i media che in passato avevano dato
un contributo determinante nella creazione della falsa “emergenza Lampedusa” ora
quasi coralmente tacciono.
Ci sono dei bavagli che il sistema dell’informazione si è messa da tempo, senza
bisogno di alcuna legge.
Giovanni Maria Bellu l’Unità 2.7.10
Desaparecidos. 250 eritrei arrestati sulla rotta di Lampedusa e finiti nel lager libico
La
protesta. Gli immigrati rifiutano le generalità, scontri con la polizia: i
feriti deportati a Brak
Il pugno duro di Gheddafi sulla rivolta dei senza diritti
I «desaparecidos» di Maroni. Centinaia di eritrei respinti a Lampedusa,
picchiati in Libia, di cui da giorni non si hanno notizie. La denuncia della
comunità eritrea in Italia. I silenzi delle autorità italiane.
La rivolta dei senza diritti si consuma nel silenzio. Il silenzio complice
della Comunità internazionale. Il silenzio di un Governo, quello italiano, che
ha aperto un credito illimitato al Colonnello di Tripoli.Il silenzio che copre
la vergogna dei « desaparecidos» voluti dall’Italia. Un silenzio rotto dalla
coraggiosa e documentata denuncia di Fortress Europe e del suo giovane e
instancabile animatore, Gabriele Del Grande.
NESSUNA
NOTIZIA
Ciò che aspetta i respinti è cosa nota (tranne ai governanti italiani...):
rinchiusi in carcere in Libia. Ma adesso rimarca Del Grande il problema è
capire che fine faranno. All'alba del 30 giugno Fortress Europe ha perso
le loro tracce. Due container sono partiti carichi di 300 persone uomini,
donne, bambini lasciandosi alle spalle i cancelli del campo di detenzione di
Misratah. Un reparto dell' esercito ha fatto irruzione nelle celle in piena
notte. Le ultime telefonate d'allarme sono giunte alle cinque del mattino. Poi
il silenzio: tutti i telefonini sono stati sequestrati. I detenuti portati via
sono tutti eritrei, uomini e donne, compresi una cinquantina di minorenni e
diversi bambini.
Tutti arrestati sulla rotta per Lampedusa, chi respinto in mare nell'ultimo anno
e chi fermato nelle retate della polizia libica a Tripoli. «La diaspora eritrea,
da Roma e da Tripoli, ci ha chiesto afferma Del Grande di dare la massima
diffusione alla notizia, perché il rischio di un'espulsione di massa a questo
punto è molto alto». Che a Misratah tirasse una brutta aria lo si era capito da
un pezzo. Da quando, tre settimane fa, il governo libico aveva espulso l'Alto
Commissariato dei Rifugiati delle Nazioni Unite, che proprio a Misratah aveva
regolare accesso da ormai tre anni. Ma i guai sono arrivati nella giornata
dell’altro ieri.
I militari libici è sempre Del Grande a denunciarlo hanno consegnato ai
detenuti i moduli dell'ambasciata eritrea per l'identificazione. Tutti si sono
rifiutati categoricamente di fornire la propria identità all'ambasciata,
temendo che fosse il primo passo per un'espulsione collettiva. Al loro rifiuto
la tensione è salita, fino a sfociare in una rivolta, con un durissimo scontro
con le forze di sicurezza. Qualcuno ha tentato di scavalcare il muro di cinta e
fuggire, ma l'evasione è stata presto sventata e la protesta duramente repressa
a colpi di manganellate.
APPELLO
ACCORATO
Secondo Mussie Zerai, responsabile dell’agenzia Habesha (Ong che si
occupa dell’accoglienza dei migranti africani) che da Roma ha potuto raggiungere
telefonicamente alcuni detenuti di Misratah, ci sarebbero una trentina di feriti
gravi, che sarebbero stati portati via nei container insieme a tutti gli
altri. Habesha riferisce anche di tentati suicidi per evitare la
compilazione dei moduli di identificazione: «La situazione è drammatica»,
conferma a l’Unità Zerai. La comunità degli eritrei di Tripoli ha lanciato
ieri pomeriggio un allarme per lo stato in cui versano i loro connazionali
trasferiti ieri dal Centro di Detenzione di Misurata al carcere di Brak, nella
valle dello Shaty, nel Sud della Libia, a circa 75 chilometri da Seba. Dopo una
intera di giornata di viaggio all'interno di tre camion-container,gli eritrei
sono arrivati al centro di Brak nella serata di ieri. «Li stanno picchiando
riferisce un eritreo in contatto con alcuni di loro temono di non sopravvivere».
Secondo alcune testimonianze sempre di fonte eritrea, fra loro ci sarebbero
anche diversi feriti, che però non avrebbero ancora ricevuto alcuna cura.
Intanto le Ong di Tripoli che si occupano di rifugiati, Cir e Iopcr, riferisce
una fonte vicina alle associazioni, riceveranno nella giornata di domenica una
visita da parte del direttore del Centro di Brak e nei prossimi giorni hanno
programmato una visita a Misurata, dove sono rimaste 80 donne eritree e alcuni
bambini e poi, almeno questo è nelle loro speranze, una visita a Brak per
constatare le condizioni degli eritrei. La diaspora eritrea da anni passa
attraverso Lampedusa per chiedere asilo politico in Europa. La situazione ad
Asmara si fa di giorno in giorno sempre più grave.
VIOLENZE
QUOTIDIANE
Non è da oggi che Fortress Europe documento le violenze che segnano la
quotidianità di migliaia di disperati nei «campi di accoglienza» libici. Grazie
a Fortress Europe sappiamo, ad esempio, del massacro di Benghazi.
Attraverso foto scattate con un cellulare, e sfuggite alla censura, Del Grande
ha svelato come la polizia libica ha ucciso sei rifugiati somali a Ganfuda. E
sempre grazie a Fortress Europe si è saputo che erano eritrei i passeggeri
dell’imbarcazione respinta al largo di Lampedusa il primo luglio di un anno fa.
Rifugiati eritrei. Respinti nell’inferno libico dall’Italia di Berlusconi
e Maroni.
Umberto De Giovannangeli l’Unità 2.7.10
«Non dimentichiamo che
siamo un Paese di immigrati, dobbiamo avere coraggio»
Usa, 11 milioni di clandestini Obama: non possiamo cacciarli
Undici milioni di clandestini in terra americana. Barack Obama non vuole girare
la testa dall’altra parte. «Non possiamo mandarli a casa», dice al Paese
lanciando la nuova sfida sul tema rovente dell’immigrazione.
È la nuova sfida di un presidente che sa cosa significhi «immigrato». Quello
dell'immigrazione è uno «dei temi fondamentali» di questa generazione, e
l'America «non deve dimenticare di essere un Paese di emigranti»: ad affermarlo
è il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che ieri alla American
University di Washington è intervenuto per presentare le nuove linee
politiche per una «riforma complessiva» delle leggi che in Usa regolano
l'immigrazione.
SFIDA
EPOCALE
Questa amministrazione «si rifiuta di ignorare le sfide fondamentali del
nostro tempo» dice Obama, sottolineando che dopo la riforma sanitaria,
la riforma finanziaria, la nuova politica energetica, la sua amministrazione
intende affrontare una riforma complessiva dell'immigrazione. Una battaglia di
civiltà. Un sistema di regole sull'immigrazione che funzioni «non è solo un
tema di carattere politico o economico, è anche un tema di carattere morale»,
afferma Obama. Per una riforma dell' immigrazione «all'altezza del nostro
tempo», «l'America deve ricordarsi di essere una terra di immigrati»,
e rifarsi alla storia di milioni di americani giunti «in questa terra di
opportunità dall'Olanda, dall'Italia, dalla Polonia, da altri Paesi europei»:
in questi termini Obama ha invitato il Congresso ad affrontare la questione
immigrazione. «È tempo di avere coraggio ha detto -, di porre in secondo piano
gli interessi politici di parte» e cercare, insieme, di mettere a punto «un
sistema funzionale e giusto» ispirato a quegli stessi valori da cui l'America
deriva. Nel suo discorso Obama è stato comunque molto attento a non usare la
parola sanatoria, vista come il fumo negli occhi dai repubblicani, anzi
affermando che l'idea di dare automaticamente a tutti i clandestini lo «lo
status legale» è «ingiusta e poco saggia». Ma, ha poi sottolineato, come possa
essere ingiusto dal punto di vista morale «punire persone che stanno cercando
solo di guardagnarsi da vivere». «È impossibile pensare di mandare a casa 11
milioni di persone, che sono strettamente integrate nel tessuto economico
dell'America», sottolinea Obama. Nello stesso tempo «ogni Paese ha il diritto e
il dovere di avere il pieno controllo dei suoi confini»; e gli immigrati
illegali «non devono pensare che se varcano i confini illegalmente non subiranno
per questo alcuna conseguenza».
VALORI E
PRAGMATISMO
Per quanto riguarda i confini, Obama ricorda come ora siano più controllati di
20 anni fa e che intende continuare ad impegnarsi in questa direzione. Ma anche
aggiunto che il problema non si può risolvere solo costruendo barriere sempre
più alte e aumentato il numero di pattuglie: «I nostri confini sono troppo
vasti per risolvere il problema solo con barriere e pattuglie, non funzionerà».
«Per fermare l'immigrazione illegale dobbiamo riformare il nostro sistema
che non funziona dell'immigrazione legale ha detto il presidente la domanda è
se abbiamo il coraggio e la volontà politica di far passare la legge al
Congresso e avere finalmente la riforma». Obama ha ricordato come la
controversa legge approvata dall'Arizona abbia drammaticamente portato alla
ribalta la questione: il Paese si è diviso, «alcuni hanno sostenuto la legge,
altri l'hanno criticata lanciando boicottaggi, ma tutti condividono la
frustrazione per un sistema che non funziona». «La magggioranza democratica è
pronta ad andare avanti» afferma Obama, che è forte anche del sostegno, secondo
i sondaggi, della maggioranza degli americani e di molte associazioni civili
Usa, quelle religiose in testa. Ora la palla passa ai repubblicani, senza il cui
sostegno la legge non potrà passare al Senato. È tempo di scelte
coraggiose e di un Paese che non alzi Muri divisori: è la nuova sfida di Obama.
Virginia Lori l’Unità 2.7.10